Messico: un nuovo Chávez?

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elezioni

Il 6 giugno prossimo 88 milioni di elettori messicani (su 120 milioni di abitanti) andranno alle urne per un’importante tornata elettorale. Si rinnovano la Camera dei deputati, 30 congressi locali, 15 governatori e 1.900 giunte municipali. Sono in palio 3.500 ruoli politico-amministrativi.

Secondo gli osservatori, l’elezione potrebbe influenzare il paese per i prossimi quindici anni.

Sarà anche un momento di verifica per la presidenza di Andrés Manuel López Obrador, eletto nel 2018 col 53% dei voti e sull’onda di una condivisa domanda di riforme. Promise di realizzare un cambiamento epocale, la «quarta trasformazione» dell’intera storia messicana, una nuova cultura politica, la guerra al narcotraffico e il riscatto delle aree più povere.

A tre anni di distanza, il bilancio non può che essere gravemente negativo. Si ha ragione di temere una deriva verso un populismo dittatoriale alla maniera di Hugo Rafael Chávez Frías (1954-2013) che, assieme ai suoi successori, ha distrutto il Venezuela.

L’oracolo e le istituzioni

Una forma di ideologia populista e paternalista ha preso il posto della politica dialogata e combattuta con strumenti democratici. Si sta assistendo al progressivo smantellamento delle strutture istituzionali e del sistema di bilanciamento tra poteri che dovrebbe stare alla base di un paese democratico.

I toni degli interventi pubblici di Obrador e, in generale, del dibattito politico sono polarizzanti e offensivi. Ogni giorno si inventa un nemico contro cui la gente dovrebbe combattere. Il suo linguaggio assume una connotazione pseudo-profetica e l’annunciata «quarta trasformazione» altro non è che l’abbandono del sistema democratico-liberale. Persegue la centralizzazione del potere sulla presidenza, mortificando il potere giudiziario e le agenzie autonome del paese.

Quando l’Istituto nazionale elettorale ha depennato alcuni candidati al ruolo di governatore per gravi insufficienze, fra cui “candidati amici” del presidente in Guerrero e Michoacan, López Obrador ha attaccato frontalmente l’autorità indipendente, minacciando di cancellarne l’esistenza. Il candidato sindaco di Michoacan compare nella lista dei ricercati della Drug Enforcement Administration americana.

L’auspicato “nuovo Messico” è chiamato a rimuovere la sua storia per un paese sociale, populista, radicale, post-liberale e post-cattolico, dove l’unico riferimento sembra essere la sua persona, il Padre della patria. La sua ideologia cerca di svuotare dall’interno l’identità messicana, trascurando le necessità quotidiane della gente: il lavoro, la cultura, la riconciliazione nazionale, l’unità di fronte alla violenza, il sentimento religioso della maggioranza dei messicani.

Il rischio di avviarsi sulla scia della “rivoluzione” venezuelana è reale anche se la situazione socio-economica del Messico è assai diversa.

Obrador ostenta un richiamo alle radici ancestrali. Assieme al presidente del Guatemala, Alejandro Giammatei, ha proclamato le scuse ufficiali al popolo maja (3 maggio, Carrillo Puerto) per i torti commessi dalla conquista spagnola (500 anni fa) e per il conflitto delle caste (1847-1901) fra indigeni e popolazione bianca e meticcia. Annuncia trionfalmente la costruzione di una linea ferroviaria di 1.500 km, fino alla penisola dello Yucatan, ignorando i previsti danni ambientali e sociali, ma assicurandosi un facile consenso.

La Chiesa: storia e democrazia

A tutto questo si aggiunge l’esplicita rimozione e manipolazione del deposito cattolico del paese. Chiamare il proprio movimento Morena non è senza assonanze con la Morenita, la popolarissima Nostra Signora di Guadalupe.

Ha preteso (invano) dal papa, ma anche dalla Spagna e dalla Francia, una richiesta di perdono ai popoli indigeni che è già stata compiuta, motivata in fondo dal fatto che lui è il Messico e viceversa. In compenso utilizza strumentalmente le affermazioni papali a favore dei diseredati come ha fatto il 7 aprile, invocando la preminenza dei poveri come essenza del Vangelo.

Uno scenario conflittuale che la Comunità cattolica esperimenta, memore della sofferenza dei primi decenni del ’900 e dei regimi anticattolici e antidemocratici dei lustri successivi. Una contrapposizione sorda, quella attuale, ma non meno dura.

Si capisce la preoccupazione dei vescovi, già provati dalla questione abusi (Legionari di Cristo), dal Covid (cinque vescovi e decine di preti morti), dalla violenza endemica, rispetto alle pericolose prospettive politiche. Alla fine della loro 40ª assemblea plenaria (15 aprile) hanno pubblicato un messaggio al popolo di Dio in cui manifestano la loro apprensione davanti alla crescente polarizzazione dei discorsi politici, al tasso allarmante di candidati assassinati, ai territori (intere regioni) sotto il potere della criminalità organizzata, alla violenza sui migranti, al disinteresse per l’ecologia e al disprezzo per gli istituti della democrazia.

L’invito è a ritrovare le ragioni dell’unità del paese, «unità nello sforzo di uscire insieme da questa crisi; unità nell’impegno per i più colpiti dalla pandemia; unità nella solidarietà per uno sviluppo più veloce per tutti; unità nella volontà di riconciliare il tessuto sociale, superando le barriere che ci dividono». Gli interessi di parte devono piegarsi al bene di tutti, al bene comune. Si invitano i cittadini a partecipare al voto, libero e responsabile, gli imprenditori ad agire per la ricostruzione del paese, i politici a non polarizzare la società e a non monetizzare il loro servizio.

I cartelli e la politica

Qualche giorno dopo (26 aprile), il ministero dell’Interno condanna le ingerenze clericali nella politica dei partiti e ricorda l’indicazione costituzionale ai ministri di culto «a comportarsi in modo tale che, nell’attuale periodo di campagna elettorale, continuino a contribuire alla costruzione di una società pienamente democratica, rispettosa delle indicazioni costituzionali, nel quadro della laicità dello stato messicano». Ammonimento che riguarda la Chiesa cattolica, visto che alcuni dei pastori evangelicali sono candidati nelle liste filo-governative.

Quanto ai vincoli costituzionali formalizzati una trentina d’anni fa, la Chiesa suggerisce di aggiornarli negli elementi più legati ai conflitti precedenti, col pieno riconoscimento della laicità dello stato.

Nel commento del settimanale cattolico Desde la Fe, dell’arcidiocesi di Città del Messico, si ricorda la legittimità e l’estraneità dell’intervento rispetto agli indirizzi dei partiti e si ammoniscono gli elettori e non fidarsi né dei sondaggi, spesso pilotati, né della manipolazione dei social.

Una ripresa e una specificazione del messaggio sono state operate da molti vescovi. È il caso dei porporati della provincia di Chihuahua e del vescovo di Ciudad Valles che formula per i credenti sei indicazioni: attenti alle proposte concrete; conoscenza dei candidati; confronto fra programmi e valori della fede; rifiuto delle manipolazioni mediali; voto libero e di coscienza; gli eletti sappiano che devono perseguire il bene comune e non il consenso immediato.

Cosa vogliono dire, nel vissuto del popolo, la tensione e i conflitti della battaglia elettorale, nei territori più esposti e difficili, l’ha testimoniato il vescovo di Apatzingan, Cristobal Ascencio Garcia, denunciando una «smania di potere a tutti i costi», anche con alleanze con la criminalità organizzata dei cartelli della droga.

Tanto che il potere non è più nelle mani dei governanti eletti. Alla sua richiesta esplicita, molti candidati si disinteressano dei crimini, addebitando il compito della sicurezza allo stato centrale. Non è questione loro. «Il potere in molte località è in mano alla criminalità organizzata. Sembra che la politica sia al suo servizio».

Al di là del passaggio elettorale, la Chiesa cattolica è il riferimento spirituale più significativo del paese (78%), anche in presenza della crescita del pentecostalismo (11%; cf. Settimana News), spesso ispirato alla «teologia del benessere». Ma emergono anche forme settarie e disumane come il culto a Gesù Malverde, un narcotrafficante dell’inizio del Novecento, e i culti alla «dea morte» contigui e alimentati dai cartelli della droga.

L’episcopato sembra tentare, con modi dialoganti, di favorire una maggiore serenità nei rapporti con l’attuale classe politica, ma appare chiaro che quest’ultima sta portando avanti un’agenda propria che non prevede alcun coinvolgimento del mondo cattolico nella costruzione del Messico futuro.

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2 Commenti

  1. Alberto 20 maggio 2021
  2. Nino Remigio 16 maggio 2021

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