Le firme sono 11; un cardinale (Alvaro Ramazzini Imeri) e dieci vescovi, al vertice delle organizzazioni ecclesiali che, nel Centro-America e sui confini, sono coinvolti nel dramma dei migranti, degli sfollati interni e dei sopravvissuti alla tratta.
Alla presentazione era presente anche il card. Michael Czerny del Dicastero per lo sviluppo umano integrale. I firmatari appartengono a Guatemala, Honduras, Messico, Stati Uniti, Costa Rica, Canada, Repubblica Domenicana.
Il titolo del documento, uscito l’11 novembre, richiama il racconto evangelico del buon Samaritano: Lo ha visto, lo ha trasportato e si è preso cura di lui. Il testo si estende in tre capitoli e 94 punti.
La povertà: bacino di coltura delle migrazioni
Il contenuto è una ragionata sintesi delle riflessioni e delle prassi ecclesiali che, da vent’anni, accompagnano l’impegno delle Chiese cattoliche dei vari paesi interessati verso l’impressionante fenomeno delle migrazioni.
Nel rapporto Social Panorama si annota che il 32% dei 201 milioni di persone dell’area interessata sono poveri e il 13% in povertà estrema: un’enorme sacca pronta per l’emigrazione. Situazione aggravata in seguito alla pandemia.
Solo nel corridoio di Darién fra Panama e Costa Rica sono passati nel 2023 500.000 immigrati. Nonostante sia, assieme al confine fra Messico e Stati Uniti, il passaggio più pericoloso.
Il tradizionale flusso proveniente dal Messico e dal Centro-America è stato ingrossato dai venezuelani, ma anche da cinesi, pakistani, indiani, bengalesi, da fuggitivi dal Medio Oriente e dall’Africa sub-sahariana. Mentre quelli che scappano da Haiti e Cuba affrontano la pericolosa traversata del mare dei Caraibi.
C’è anche un flusso in senso opposto con centinaia di migliaia di persone detenute e riportate nei paesi d’origine.
Ci sono, inoltre, flussi fra i paesi del Centro America. Per esempio, gli haitiani fuggono nella vicina Repubblica Domenicana, mentre i domenicani vanno verso Porto Rico.
L’ignavia dei governi, la scelta della sicurezza e della militarizzazione dei confini favoriscono la vasta rete di malavita organizzata che pesa sui migranti (in particolare sulle donne e i bambini) e su quanti se ne prendono cura.
Globalizzazione dell’indifferenza
«Le cause (del fenomeno) sono molteplici e complesse: instabilità politica e sociale, diseguaglianze e povertà, mancanza di accesso ai diritti di base […], degrado ambientale, crisi agroalimentare, rischi e catastrofi naturali» (n. 3).
«È impossibile distinguere chiaramente tra coloro che fuggono per mancanza di opportunità economiche e coloro che fuggono dalle persecuzioni, sia per motivi politici che a causa della criminalità organizzata» (n. 4).
I modelli economici, i sistemi politici, le fratture culturali di fondo danno luogo a ingiustizie e strutture di peccato che spingono a un crescente autoritarismo.
La Chiesa si è mossa e si muove con generosità resistendo alla “globalizzazione dell’indifferenza” e alla criminalizzazione dei migranti. In ragione del suo patrimonio biblico e spirituale difende la centralità del principio della dignità di ogni persona umana.
I primi anni di intervento si sono concentrati soprattutto sull’ospitalità e sulle strutture di accoglienza. Ora si tratta di mettere in rete, nei diversi stati e regioni, tutte le iniziative per una più efficace assistenza. «La prossima tappa della nostra pastorale deve partire da una visione regionale (sopranazionale) che integri i frutti del processo sinodale […] e deve essere espressione del Dio che cammina con il suo popolo» (n. 63).
«Il nostro impegno è quello di rafforzare la comunione episcopale nelle comunità di origine, di transito, di destinazione e di ritorno in tutta la regione, cercando soprattutto di sostenere le Chiese che si impegnano in una risposta per sviluppare un ministero della migrazione inclusivo e integrale» (n. 72).
Appello ai “Caini”
Le Chiese esprimono preoccupazione per la pericolosa esposizione di agenti pastorali e volontari a favore dei migranti. Riconoscono in loro «un sentimento talora profondo di abbandono. Molti sacerdoti e responsabili di questo ministero si sentono sopraffatti da una realtà superiore a loro e sono ripetutamente esposti a rischi e persino a persecuzioni». Garantire il loro equilibrio e serenità è compito essenziale.
Davanti all’enorme spinta culturale, politica e istituzionale anti-migranti, davanti alla forza bruta della malavita organizzata e degli interessi economici, le Chiese, in coerenza al Vangelo, non possono tacere.
Si pronunciano a favore della richiesta della Chiesa messicana per una commissione nazionale di indagine sulle gravi violazioni dei diritti umani verso i migranti e verso quanti li difendono.
Denunciano «le pressioni esercitate dagli Stati Uniti sui paesi della regione, in particolare sul Messico, per attuare politiche di dissuasione al fine di interrompere i flussi migratori. Gli Stati Uniti stanno adottando un approccio aggressivo nel collaborare con i governi della nostra regione per frenare le migrazioni restringendo le proprie frontiere e utilizzando le stesse tattiche di pattugliamento, detenzione, espulsione, deportazione e militarizzazione» (n. 83).
Più in generale «Rivolgiamo un forte appello a coloro che sono i “Caini” del nostro tempo. In questo appello includiamo il crimine organizzato, così come i governi che sono stati spesso corrotti attraverso le loro varie istituzioni, in particolare le forze di pubblica sicurezza, le autorità migratorie e gli organismi militari. Li chiamiamo fermamente al pentimento e alla conversione: non possono vivere con il presupposto che esista solo la vita terrena e per questo cercano di accumulare potere e ricchezza. Il vostro obbligo è quello di rivolgere il volto a Dio perché ogni volta che fate del male alle vostre figlie e ai vostri figli, offendete Lui» (n. 79).
Dignità e diritto
Le Chiese riaffermano i diritti fondamentali delle persone, a partire dalla dignità di ciascuno. Il diritto a migrare quando gli stati «non sono in grado di garantire alle persone di vivere in modo dignitoso e in pace, libere da violenze, persecuzioni e fame» (n. 51).
Contestualmente c’è il diritto a non emigrare quando è consentito «nella loro patria uno sviluppo umano integrale e dignitoso» (n. 52).
L’ampiezza del fenomeno migratorio fa emergere anche un interrogativo sui confini che delimitano gli stati. «Troppo spesso sono stati usati per escludere e dividere la nostra comune umanità […] Riconosciamo che i confini nazionali hanno uno scopo, ma non possiamo fare a meno di sottolineare che hanno anche dei limiti» (nn. 74-75).
Il testo originale del documento può essere letto qui.