Il fallimento dei dialoghi fra il governo montenegrino di Duško Marković e i vescovi ortodossi di obbedienza serba del paese, svoltisi a Podgorica il 20-21 luglio conferma una non risolta tensione relativamente alla legge sulla libertà religiosa e apre scenari preoccupanti per il dopo-elezioni politiche, anticipate al 30 agosto prossimo.
Potrebbero segnare la fine della lunga egemonia di Milo Dukanović, promotore dell’indipendenza del paese nel 2006, la riemersione delle tensioni etniche fra montenegrini (45% dei 620.000 abitanti) e serbi (30%) nel contesto di scontri etnici perennemente in ebollizione nei Balcani e lo spostamento dell’orientamento filo-europeo in quello filo-russo del prossimo governo.
Una legge persecutoria?
Il parlamento del Montenegro ha approvato il 25 dicembre 2019 una legge «sulla libertà religiosa e statuto giuridico delle Chiese e confessioni religiose» che chiede alla Chiesa ortodossa maggioritaria (450.000 fedeli, legati alla Chiesa serba) una registrazione amministrativa. Il punto conteso è la richiesta di dare prova documentale della proprietà di 650 siti religiosi (monasteri, chiese, cappelle, cattedrale ecc.) che è suonata come ingiusta nazionalizzazione dei beni della Chiesa.
L’esito negativo di una prima tornata di dialoghi a ridosso della votazione parlamentare si è rinnovato in questa seconda fase. In un comunicato del governo si sottolineano i profondi cambiamenti previsti, tutti a favore della Chiesa. In particolare: non è più la Chiesa a dover dimostrare la proprietà dei siti religiosi, ma tocca allo stato.
E, nel caso dei beni che risultassero di proprietà statale, essi non sarebbero a disposizione di altre Chiese o gruppi religiosi. Inoltre, l’eventuale contenzioso passa non attraverso gli uffici amministrativi pubblici (filogovernativi), ma nei normali tribunali (dove la voce della Chiesa è più ascoltata). Rimane il dovere di registrazione, ma – si sottolinea – era già in atto nella precedente legislazione. Il governo si impegna a fare approvare la legge entro il mese di luglio.
Il comunicato lamenta che, alle iniziali richieste della Chiesa convergenti sul tema della proprietà dei beni, si sia sostituita la pretesa di un annullamento della legge approvata dal parlamento. Da parte ecclesiale, si è accettato il rinnovato dialogo ponendo come condizione il riconoscimento pieno della personalità giuridica della metropolia del Montenegro e l’accettazione degli emendamenti auspicati.
Dopo l’esito negativo dell’incontro, si condanna la registrazione amministrativa obbligatoria della Chiesa e si ritengono insufficienti le proposte fatte perché non tolgono alla radice la pretesa dello stato sui beni ecclesiastici.
Le elezioni imminenti e i pericoli
Da un anno, il confronto non è solo fra istituzioni, ma è diventato una sistematica protesta sociale attraverso manifestazioni di piazza, petizioni pubbliche, processioni religiose di evidente indirizzo antigovernativo e scontri fisici con la polizia in alcuni casi.
Si calcola che un terzo della popolazione sia stata coinvolta, sia prima del confinamento imposto per la pandemia, sia dopo.
Il vescovo Metodio è stato ospedalizzato per le botte subite pochi giorni prima della votazione parlamentare.
Il 13 maggio è stato arrestato il vescovo Joannice e, assieme a 7 preti, ha conosciuto tre giorni di prigione.
Il metropolita Anfiloco, la figura più prestigiosa della Chiesa ortodossa del paese, è stato sottoposto a un interrogatorio di polizia il 23 giugno che è durato sei ore.
Il problema ricorrente sono le processioni che si configurano come assembramenti, censurati dalle disposizioni amministrative legate alla pandemia. Iniziative talora non segnalate ai responsabili e decise autonomamente.
C’è stato poi il caso di un intervento in cui è stata demolita una costruzione avviata nei pressi di un monastero a Ulcinj che non aveva i necessari permessi dell’amministrazione locale. Indicativa anche la dichiarazione pubblica di 180 militari montenegrini a pieno sostegno della Chiesa ortodossa serba di Montenegro. Tensioni e violenze giustificate dal governo in nome della legalità e avvertite dalla Chiesa come vere forme persecutorie.
A favore della metropolia sono intervenuti i vescovi e il patriarca serbo, il patriarca di Costantinopoli, quello di Albania e, in particolare, il patriarca Cirillo di Mosca che è il riconosciuto riferimento dell’intera Chiesa serba. Il suo ultimo intervento è del 15 luglio. In esso invita ad abrogare la legge e a cessare le persecuzioni.
La denuncia è sostenuta dalla volontà attribuita al governo montenegrino di sostituire alla Chiesa ortodossa filo-serba una Chiesa autocefala locale, peraltro di scarse adesioni, che rinnova l’incubo russo della divisione della Chiesa ortodossa in Ucraina dopo il riconoscimento dell’autocefalia da parte di Costantinopoli a una Chiesa ortodossa ucraina. E, come la pretesa ha segnato la sconfitta politica dell’ex presidente ucraino P. Poroshenko, così Cirillo si augura possa succedere in Montenegro alle prossime elezioni.
Un tasto particolarmente dolente nell’area dove le tensioni intra-ortodosse segnano la Macedonia, dove la Chiesa locale chiede totale indipendenza da Belgrado, sia nella non lontana Moldovia dove lo scontro nelle comunità ortodosse locali è fra il riferimento a Mosca piuttosto che a Bucarest (Romania).
Il dissenso politico interno al Montenegro è alimentato non solo dal conflitto con la Chiesa, ma anche dalla crisi economica, dal riemergere della pandemia, dalla diffusa corruzione e dalle permanenti tensioni etniche.
Il prossimo passaggio elettorale non sarà indolore.