Ci sono volute quattro ore di vivaci discussioni nel governo di Podgorica (Montenegro) per approvare l’Accordo base (concordato) fra lo stato e la Chiesa ortodossa di Serbia. L’8 luglio 13 ministri hanno votato sì, 5 si sono espressi contro e 3 erano assenti.
Il partito socialista di Milo Dukanović, che assicura l’appoggio esterno al governo “di minoranza” di Dritan Abazović, minaccia di togliere il sostegno se passa il concordato. Abazović potrebbe per l’occasione rovesciare l’alleanza tornando con il partito filoserbo di Zdravko Krivokapić e portarsi a casa l’accordo.
Le tensioni attorno al concordato toccano nervi scoperti. C’è l’accusa di subalternità ad una Chiesa che rappresenta la maggioranza della popolazione (450.000 su 630.000), ma la cui sede patriarcale è a Belgrado. L’influsso serbo, da cui il Montenegro si è liberato nel 2006 con l’indipendenza, tornerebbe a farsi sentire.
Il partito filo-serbo non ha nascosto la sua intenzione di uscire dalla Nato (ma, dopo la guerra ucraina, non è più così spendibile).
Alcuni giuristi temono i privilegi giuridici ecclesiastici come una rinuncia all’autorità dello stato. Una parte dell’opinione pubblica denuncia l’entrismo del potere ecclesiale nei media e il condizionamento istituzionale del magistero come nel caso della denuncia contro la legge abortiva da parte dei vescovi locali.
Altri sottolineano le norme in grado di impedire la formazione di una Chiesa ortodossa autocefala locale e le pretese ecclesiali di una continuità storica che è tutta da dimostrare.
Del resto, anche Dritan Abazović aveva detto un paio d’anni fa: «Il cambiamento di un cattivo governo è una cosa, la realtà di un pensiero politico clericale retrogrado e dannoso per l’ordine civile e laico è un’altra cosa».
Molto numerosi i contatti fra le personalità di governo e la sede patriarcale di Belgrado.
Il 30 giugno il patriarca Porfirio ha accolto il primo ministro Dritan Abazović per la terza volta in pochi mesi. In un dialogo coi giornalisti il gerarca ha detto: «Partendo dal fatto che la Chiesa è separata dallo stato e la che nostra Chiesa, ovunque si estende la sua giurisdizione canonica, rispetta assolutamente ogni stato e le sue leggi, abbiamo concluso come cosa di grande importanza che, in ogni stato, dove esiste e vive la nostra Chiesa, il rapporto fra Chiesa e stato sia regolato da un contratto, come avviene per tutte le comunità religiose».
Dopo un decennio di lavoro in merito l’Accordo base dovrà essere approvato dal sinodo.
Dal versante politico, il primo ministro ha promesso il consenso del governo e la definitiva firma in un luogo del Montenegro. «La nostra regione geografica ha provato di tutto in questi decenni. È tempo di mostrare la riconciliazione e la cooperazione». Le relazioni con la piccola comunità cattolica e quella islamica sono stati regolate nel 2011 e 2012.
Il testo dell’accordo non è ancora pubblico. Se ne conosce una bozza. Si garantisce alla Chiesa i titoli di proprietà di 650 edifici sacri (chiese, monasteri, fabbricati ecc.) e una serie di terreni il cui valore viene stimato nell’ordine di un miliardo di euro. Si garantisce ai vescovi un’informazione previa rispetto alle eventuali accuse contro i chierici, si prevede uno spazio adeguato di informazione nei media. Per l’insegnamento religioso si demanda ad un’intesa successiva.
Dopo la soluzione del contenzioso con la Chiesa della Macedonia del Nord e la concessione dell’autocefalia, la Chiesa serba otterrebbe la pacificazione delle sue relazioni col Montenegro. Rafforzerebbe la linea di intesa con la Chiesa russa.
Il concordato in Montenegro è guardato con molto interesse da Mosca perché costituirebbe un precedente giuridico internazionale importante per garantire giuridicamente il legame con Mosca di Chiese ortodosse presenti in paesi viciniori, tentate di perseguire l’autocefalia.