Qual è il lascito di Alexei Navalny all’Ortodossia russa? Quanto ha inciso la sua vita e il suo impegno politico nella società russa?
A queste e altre domande ha cercato di dare risposta un webinar organizzato dal Centro studi per l’ortodossia cristiana della Fordham University di New York (svoltosi venerdì 5 aprile). Hanno contribuito a ricostruire la figura di Navalny e il suo attivismo Sergei Chapman, che è direttore delle comunicazioni del Centro, e suor Vassa Larin, monaca ortodossa russa di origine statunitense.
La fede, non l’apparato
Nel quadro dell’Ortodossia russa Navalny rappresenta una rottura con la consuetudine popolare, istillata anche dalla istituzione, di ritenere l’adesione alla Chiesa ortodossa russa ufficiale più importante della pratica testimoniale della fede personale – che Navalny ha inteso anche come esercizio di difesa del Vangelo a fronte della deriva causata dalla commistione della Chiesa ortodossa russa con il regime dittatoriale di Putin. Fino al punto che, oggi, questa Chiesa è un organo dell’apparato statale.
Convertitosi intorno ai 25 anni, dopo la nascita della figlia, Navalny ha vissuto il suo impegno politico come testimonianza cristiana della fede, costruendo il suo attivismo, rivolto soprattutto alle generazioni più giovani della Russia, intorno a un quadro di valori che ha un profilo squisitamente cristiano. La sua uccisione è un fatto politico, su questo non ci sono dubbi. Ma come deve essere inteso questo fatto?
Sul lato del suo vissuto personale, non è possibile scindere attività politica e testimonianza cristiana; ma su quello dei carnefici, dell’apparato politico russo che ne ha ordinato l’eliminazione?
Tenendo conto che nella Russia di oggi non vi è distinzione fra dimensione politica e dimensione religiosa dell’Ortodossia ufficiale, e che la Chiesa ortodossa russa è uno dei bracci del potere di stato, vi è del demoniaco nella decisione che ha portato all’omicidio di Navalny in questo quadro indifferenziato dei rapporti interni al regime di Putin. Questo ordine è partito da un istanza che sta metafisicamente dalla parte del male. Per questo entrambi i relatori non hanno esitato a porre la morte di Navalny sotto la figura del martirio.
Martirio e magia
Martire in ragione del suo legare costantemente, ed esplicitamente, l’agire politico con l’agire cristiano originato dalla fede nella risurrezione. Una fede così forte da portare Navalny ad affermare che non c’è la morte. Non senza commozione, Chapnin ha ricordato l’amico in questo modo: «ora Alex vive la sua vita, quella in cui aveva creduto».
Le molte ultime parole di Navalny provenienti dal carcere attestano come egli abbia vissuto questa ultima, drammatica, fase della sua vita leggendola nella chiave del Discorso della Montagna e delle Beatitudini. Dalla conversione alla sua uccisione, Navalny ha intrapreso una lotta testimoniale contro la corruzione del sistema russo; corruzione che trova la sua massima evidenza nel nesso inscindibile costruito da Cirillo e Putin tra il politico e il religiosa.
Se da un lato abbiamo la trasparenza di una testimonianza della fede nella risurrezione, come ragione ultima dell’attivismo politico, dall’altro, quello dell’apparato statale, troviamo una perversione magica della fede ortodossa: trasformata da Cirillo in un culto attraverso la manipolazione dei simboli religiosi a servizio del proprio potere. Il patriarca crede davvero nella circolazione simbolica tra il versante religioso e quello politico, così che la sua fede è ultimamente una fede nel regime di Putin. Dal punto di vista della Chiesa ortodossa russa ufficiale, Navalny non è mai esistito – mai il patriarca ha anche solo pronunciato il suo nome, magari anche solo per condannarlo.
Altrettanto magica è la fede del leader russo. Putin, con Navalny in vita, non ha mai nominato il suo nome – credendo che in questo modo si potesse obliterare la sua esistenza dal panorama della Russia. E anche dopo la sua morte ha atteso due settimane prima di pronunciare, per la prima volta, il nome dell’oppositore – la cui reale inesistenza si poteva produrre solamente attraverso il suo omicidio.
Il funerale di un dissidente
Indice di questa confluenza perversa tra il religioso ortodosso e il politico russo è la vicenda del funerale di Navalny. Le forti pressioni esercitate dal patriarca hanno fatto sì che non si trovasse una chiesa a Mosca che fosse disponibile per la celebrazione delle esequie (che sono durate, poi, solo 20 minuti – impedendo ai congiunti l’elaborazione religiosa del lutto).
Alla fine, si è ripiegato sulla piccola chiesa della parrocchia di Navalny, che aveva tra l’altro il vantaggio di essere praticamente attaccata al cimitero in cui è stato sepolto. Solo chi è arrivato prima delle 8 di mattina, coi funerali previsti nel pomeriggio, è riuscito a entrare in chiesa, perché dalle 9 in avanti tutta la zona era presidiata dalla polizia che impediva ogni possibilità di accesso.
Ma il funerale è stato anche il momento in cui è emersa pubblicamente una dualità che né il regime politico né il patriarcato di Mosca sono riusciti a impedire. Ad accompagnare le esequie lampo nella chiesa vi era un coro, simbolica espressione della Chiesa ufficiale, della Chiesa apparato di stato; ma nelle strade antistanti spuntavano, uno dopo l’altro, cori spontanei che accompagnavano la celebrazione – piccolo germe di una Chiesa altra.
Questi cori sono il simbolo del tipo di fede che Navalny ha vissuto: in mezzo alla gente, lontano dalla Chiesa ortodossa russa ufficiale – molto lontano. E, al tempo stesso, essi sono stati una forma di protesta contro la Chiesa di Cirillo e il regime di Putin.
Già in vita Navalny era venerato dalla gente, ora lo è anche nella morte senza nessuna approvazione formale.
Fede e attivismo politico
Ma a livello di attivismo politico, stante le condizioni di regime in Russia, cosa rimane di Navalny? Chapnin ha brevemente ricostruito la strategia seguita da Navalny. Tra il 2009 e il 2010, Navalny inizia a utilizzare i social media come spazio di formazione di un’opposizione politica a Putin, seguito prevalentemente da giovanissimi adolescenti e anche da bambini.
Con il 2017 si presenta sulla scenario russo una nuova generazione, pronta ad agire politicamente col supporto di Navalny. È a questo punto che il dissidente diventa il nemico di Putin agli occhi di quest’ultimo – un nemico da obliterare magicamente, prima, e fisicamente, poi.
Ma questi sono anche gli anni in cui la Chiesa ortodossa russa ufficiale, soprattutto per bocca di Ilarione, inizia una intensa propaganda anti-politica. La predicazione religiosa della politica come male, cosa non buona, ha funzionato da sostegno al regime di Putin in quanto ha provveduto a tenere lontano la popolazione russa dall’interessarsi alle vicende politiche del paese ed, eventualmente, dall’impegnarsi in attività politiche.
In questo periodo, d’altro lato, possiamo osservare una intensa attività politica della gerarchica ecclesiale russa volta a coltivare la sua posizione esclusiva nell’apparato statale. Al silenzio indotto nella gente corrisponde il sabotaggio, da parte della Chiesa ortodossa russa ufficiale, dei simboli più santi della fede cristiana, piegati a sostegno di un regime politico sostanzialmente anti-evangelico.
«Dire oggi in Russia di disinteressarsi alla politica è un atto peccaminoso» (Larin). Navalny è stata la figura che ha rotto con questa omertà e con il motto del Patriarcato «prega e stai zitto». Ha pregato e ha parlato, formando una nuova generazione di cittadini russi all’attivismo politico.
La sua eliminazione è un messaggio lanciato a questa fetta più giovane della popolazione. Da un lato bisogna ricordare che in un contesto dittatoriale l’attività politica di opposizione non è solo rischiosa, ma anche difficile da organizzare. Dall’altro si deve registrare la continua attività della polizia segreta contro ogni focolaio di attivismo politico in Russia; attività che dice non solo dell’esistenza di questo attivismo, ma anche della sua diffusione.
L’opposizione dei fiori
Bisogna cercare altre strade, quindi – come quella trovata dai cori spontanei che hanno accompagnato i funerali del dissidente russo. Oggi le pratiche devozionali che custodiscono la memoria pubblica di Navalny sono pratiche di opposizione e attivismo politico: ogni fiore deposto quotidianamente sulla sua tomba è segno di una dissidenza all’interno della Russia.
Una dissidenza di cui fanno parte anche tutti i fedeli ortodossi russi che non si riconoscono nella Chiesa ufficiale di Cirillo. Fedeli che però non hanno nessuna voce ecclesiale a loro sostegno nelle Chiese della diaspora russa: né in Europa né negli Stati Uniti.
Per questi fedeli Navalny è una responsabilità da custodire; responsabilità che implica la «restaurazione della vera Chiesa ortodossa russa. Una Chiesa che non sia la semplice continuazione di quella fondata da Lenin nel 1933. Di questa Chiesa che deve venire Navalny è il primo santo martire» (Chapnin).
Una Chiesa che non sia la semplice continuazione di quella fondata da Lenin nel 1933.
Ma Lenin non è morto nel 1924?
Grazie! Che bell’aspetto che avete rivelato di questa persona finita così tragicamente. Grazie veramente