Dimetterlo, difenderlo, tornare al Vangelo: il dibattito intra-ortodosso sul patriarca di Mosca, Cirillo, e sulla sua censurabile esposizione a favore dell’aggressione di Putin all’Ucraina, mostra come il conflitto abbia profondamente ferito la coscienza credente.
Sono quasi 500 le firme al documento teologico contro l’ideologia del «mondo russo» (cf. SettimanaNews, qui). Le quattro voci registrate in questa nota vivono nell’Ortodossia dell’Occidente, ma preannunciano il futuro scontro interno alla Russia: Jean-François Colosimo, Bernard Le Caro, Georges Nivat, Kirill Hovorum.
Il 3 aprile, nello scenario della mastodontica chiesa delle forze armate russe inaugurata da poco, il patriarca torna a difendere la guerra all’Ucraina: «Sono molto contento di avere oggi l’occasione per celebrare la divina liturgia in questa bella chiesa, alla presenza dei nostri militari. La nostra patria sta attraversando un tempo difficile. Oggi la qualifica “militare” risuona di nuovo non solo in una nazione in pace, ma nel pieno di un campo di battaglia…(Celebro davanti) a tutti i difensori della patria, perché si rendano conto dell’importanza storica del momento presente. Voglio ripetere di nuovo: siamo un paese amante della pace, molto amante della pace, con cittadini longanimi che hanno sofferto le guerre come pochi altri paesi europei. Non abbiamo alcuna volontà di guerra o di nuocere agli altri. Ma siamo stati educati da tutta la nostra storia ad amare la patria, pronti a difenderla nel modo che i russi conoscono bene».
L’arbitro è Putin
Siamo davanti allo scandalo intollerabile – afferma J.F. Colosimo –: «è necessario che abbia fine la menzogna in cui Cirillo di Mosca ha trascinato la fede cristiana davanti al mondo. Bisogna porre termine all’impostura di vedere il primate e potentato russo predicare il conflitto, benedire la crociata, assolvere il crimine insozzando la croce della salvezza sul lenzuolo funebre dell’Ucraina. Deve terminare la vergogna che impietrisce gli ortodossi e la costernazione che colpisce cattolici e protestanti». «È nel diritto del trono di Costantinopoli, a cui compete l’esercizio della primazia (…), di riunire i responsabili delle Chiese locali, fortemente traumatizzate da Cirillo, per deporlo con un atto collegiale. Cioè, destituirlo, mettendo in atto una scomunica che lui stesso ha provocato» (Le Figaro, 23 marzo).
«Nella situazione attuale Putin capisce che tutto il suo entourage è sotto una forte pressione, che cerca di sfuggire alla catastrofe che si approssima, per questo lui sta cercando di individuare chi lo tradirà – scrive Kirill Hovorun, ex direttore del sito patriarcale Credo ed ex collaboratore di Cirillo –. L’élite attorno a lui reagisce in diversi modi: alcuni scappano, né più ne meno; altri, viceversa, gli dichiarano fedeltà sino alla fine. La dichiarazione del patriarca sembra voler dire a Putin: puoi contare su di me, non ti tradirò. La tua fine sarà la mia, io sono pronto».
E ricorda come l’idea del Russkij mir (il mondo russo) sia arrivata a Cirillo da alcuni politologi liberal che puntavano a recuperare le intelligenze russe disperse dopo il collasso dell’Urss. Cirillo l’ha dapprima trasformato in un pensiero pastorale per mantenere rapporti canonici con le Chiese dei paesi ex sovietici e poi in ideologia teologica a servizio dell’impero di Putin. Agli occhi di quest’ultimo «la Russia non era altro che un grosso distributore di gas. È stata la Chiesa che ha offerto a Putin una visione nuova, una nuova lingua per il progetto imperiale». «Arrivo a supporre che senza la Chiesa, senza l’ideologia del Russkij mir… questa guerra forse non ci sarebbe stata» (La Nuova Europa, 28 marzo).
Questione di persone o di fede?
Rispondendo con foga alle osservazioni di Colosimo, Bernard Le Caro afferma che lui non “fustigherà” Cirillo come richiesto da Colosimo. «È opportuno constatare che non è la prima volta che, nella storia della Chiesa, la gerarchia affronta una situazione difficile. Fra gli esempi recenti c’è la guerra russo-giapponese (130.000 morti) del 1905. All’epoca la Chiesa russa conosceva una florida missione in Giappone. Il suo capo era l’arcivescovo Nicola (Kassatkine, morto nel 1912), in seguito canonizzato. Se lui diede il permesso al clero giapponese per celebrare liturgie per la vittoria del proprio paese, lui, però, non vi partecipò. Non se la sentiva di mettersi contro ai fratelli che versavano il loro sangue, seppur per una causa discutibile» (Orthodoxie.com 3 aprile).
Del resto, perché Bartolomeo ha benedetto la guerra del governo turco contro i kurdi nel 2018? E perché in Occidente nessun cristiano si è strappato le vesti per gli attacchi alla Serbia, la guerra in Iraq e davanti alla migrazione forzata di 200.000 ciprioti in seguito all’intervento dell’esercito turco a Cipro? Invece di polemizzare è assai meglio pregare, come Cirillo ha chiesto ripetutamente.
A Le Caro risponde Georges Nivat (Parlons d’Orthodoxie, 4 aprile): il problema non è fustigare o meno Cirillo. «Si tratta piuttosto della fede cristiana nel suo stesso fondamento. Nel momento drammatico di questa guerra, condotta con freddezza contro un paese fratello e ortodosso, un gregge della Chiesa ortodossa, è bene tornare a ciò che è per noi l’insegnamento evangelico». Siamo tutti, come gli accusatori dell’adultera nel racconto evangelico (Gv 8,1-13), con le pietre in mano da scagliare contro gli altri. Ritorniamo in noi stessi!… Nei torrenti delle menzogne, riprendiamo semplicemente la preghiera di Cristo. Non argomentiamo troppo, aiutiamo piuttosto le vittime».
Per ora solo 300 preti russi hanno firmato una dichiarazione critica sulla guerra (su 40.000) e nessun vescovo nel territorio russo. Una recente inchiesta del Centro studi Levada sull’insieme della popolazione ha raccolto queste risposte: il 53% sostiene decisamente l’intervento militare, il 28% è abbastanza favorevole. Solo il 14% è contrario.