L’elaborazione della visione del “mondo russo” (Russkij Mir), prima di diventare un utensile politico utile a V. Putin e alle ambizioni di potere del patriarca Cirillo, era nato come riferimento culturale comune per tutta l’area ex sovietica e come legame pastorale e giuridico delle Chiese ortodosse degli stati ormai indipendenti rispetto al centro moscovita.
Dopo un anno e mezzo dall’aggressione russa all’Ucraina il Russkij Mir si è vistosamente ristretto. L’Ucraina è ormai altrove, in Bielorussia vi sono tensioni interne alla Chiesa ortodossa, i paesi baltici vanno per conto loro. Tendenze anti-moscovite sono presenti in Kazakistan e in Moldavia.
Altro corollario del “mondo russo” è il prevalere nelle pubblicazioni teologiche interne di un rifiuto radicale del dialogo teologico con la Chiesa cattolica, unico interlocutore autorevole finora riconosciuto.
In un saggio di A. V. Shchipkova, proposto nel sito del patriarcato, si denuncia l’evidente crisi della Chiesa cattolica, mettendo insieme la vendita delle chiese, l’abolizione della messa in latino, la prossima approvazione delle unioni omosessuali.
La vittoria del “modernisti” nel concilio Vaticano II ha significato la “protestantizzazione” del cattolicesimo romano. «Ma questa crisi – si sottolinea – non è teologica, ma istituzionale e politica. È frutto dell’egemonia delle élites laiche e politiche, mediate dalle istanze moderniste interne». Una deriva ormai pluridecennale che ha significato l’adesione alle ideologie secolari e la subalternità al codice culturale oggi recepito. In altri termini, il tradimento del Vangelo e della tradizione.
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Kazakistan. Le richieste esplicite o implicite di autocefalia dei paesi ex sovietici sono bollate come cedimento politico e ideologico all’Occidente, rifiuto della sana tradizione ortodossa.
Solo che queste appaiono ormai dappertutto. Anche in Kazakistan dove l’autorità del vescovo filo-russo, Alessandro, non ha impedito che le riflessioni dell’archimandrita Jakov facessero presa sul clero e sulle comunità. Ha denunciato il servilismo del patriarca Cirillo nei confronti di Putin e la necessità di rompere con Mosca perseguendo una piena autocefalia.
Lo spostamento del prete e il suo congedo sabbatico non ha impedito che l’arciprete della cattedrale, A. Suvorov, affermasse che l’autocefalia fosse inevitabile, anche se non subito.
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Lettonia. Ben più impegnativa la decisione del sinodo della Chiesa ortodossa lettone (il 7% dei due milioni e mezzo di abitanti) che il 24 luglio ha deciso di ordinare vescovo un lettone (finora erano russi), l’archimandrita Joan Lipshans, vescovo di Valmiera (13 agosto).
Il metropolita Alessandro di Riga ha sottolineato che erano 80 anni che questo non succedeva: «Tenendo conto delle travagliate vicende storiche e della complessità dell’esistenza dell’ortodossia in Lettonia, in conformità al desiderio della popolazione ortodossa lettone e alla necessità di rispondere ai suoi bisogni spirituali, in relazione alle attuali realtà storiche… il sinodo ha deciso all’unanimità di nominare un vescovo, l’archimandrita Joan, membro del clero della chiesa dell’Annunciazione di Riga. Sarà vescovo di Valmiera, vicario della metropoli di Riga e di tutta la Lettonia».
Dura, ma controllata la prima reazione moscovita che comprende le circostanze politiche difficili. E tuttavia non sufficienti a infrangere l’unità della Chiesa.
Le circostanze avverse sono la decisione del parlamento di chiedere l’autocefalia e le coerenti modifiche negli statuti ecclesiali (7 settembre 2022). Il vescovo Alessandro ne ha preso atto e si è comportato in conseguenza.
Il 24 agosto, il sinodo della Chiesa russa sottolinea che la scelta doveva essere prima verificata dall’autorità patriarcale. La violazione della norma canonica si aggiunge alla prassi oramai generale di non commemorare più Cirillo nei dittici delle celebrazioni liturgiche. Elementi che distruggono l’unità della Chiesa. Tanto più che le celebrazioni sono ormai tutte nella lingua locale e non più nello slavone della tradizione russa.
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Moldavia. Forti tensioni anche nella Chiesa moldava. Mentre il governo filo-occidentale viene invitato come candidato all’Unione dalla Commissione UE all’incontro con gli altri governi balcanici, già entrati nell’unione (Croazia, Bulgaria e Romania), assieme all’altro candidato (Ucraina), la Chiesa ortodossa locale vive la tensione fra filo-russi e filo-occidentali.
In un sito greco di orientamento conservatore e filo-russo (Romfea) si parla apertamente della possibile richiesta di autocefalia, qualificandola come legittima. Ma si sottolinea la necessità che essa avvenga con il previo benestare della Chiesa-madre, il patriarcato di Mosca. Sarebbe grave, scrive il prof. T. Zizis, che questo avvenisse attraverso l’immediato riconoscimento di Costantinopoli, come avvenuto in Ucraina.
Sulla scorta della narrazione moscovita, egli ricorda come il consenso ormai raggiunto sulle procedure della concessione del tomo dell’autocefalia nei lavori di preparazione al sinodo di Creta (2016), sia stato vanificato da Bartolomeo. Ignorando tuttavia la mancata partecipazione della Russia allo stesso sinodo e la volontà di Mosca di togliere ogni rilievo alla sede di Costantinopoli. Difficile pensare che una “bozza” possa impegnare all’obbedienza quando non si riconoscono i testi votati in sinodo.
Complimenti.
Un vero spirito ecumenico. Un’apologia del Concilio Vaticano II. Degna di San Giovanni XXIII e del cardinale Bea. Anche la coscienza che ci sta dietro esprime lo spirito della Gaudium et spes.
I miei complimenti.