A proposito del “banchetto” – cristiano o pagano – della cerimonia di apertura delle Olimpiadi vorrei rilevare due aspetti che hanno a che fare con l’immaginario di questa rappresentazione cultural-alimentare.
Diamo pure credito agli organizzatori, secondo i quali si trattava di un richiamo allo stile – modello “Simposio” – dell’antica Grecia, vista la natura “olimpica” della cerimonia di apertura dei Giochi. Ma diamo anche credito ai vescovi francesi, che hanno letto nella rappresentazione una parodia inopportuna della Cena cristiana (tema ripreso in Italia da mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita).
La fame nel mondo
A questo punto il lettore non si senta confuso. Non sto pensando che le parti appena citate – organizzatori, vescovi francesi, mons. Paglia – abbiamo contemporaneamente ragione. Sto cecando di dire che, forse, si poteva far emergere un aspetto diverso e cogliere l’occasione per riflettere su un significato nascosto del lauto pasto collocato in una scenografia sopra le righe.
È il “banchetto”, il tema sul quale concentrare la nostra attenzione. Perché troppi milioni di persone nel mondo muoiono di fame. I dati delle agenzie ONU, pubblicati il giorno prima dell’apertura delle Olimpiadi, sono drammatici e crudi.
A livello globale, sono 733 milioni le persone che, nel 2023, hanno sofferto la fame. Un dato che evidenzia il gravissimo ritardo della comunità internazionale rispetto all’obiettivo “Fame Zero” entro il 2030. Il Rapporto sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo (Sofi 2024) sottolinea la drammatica inadeguatezza dei finanziamenti forniti dalla comunità internazionale per l’assistenza contro la fame.
Dunque che senso ha, aveva, ha avuto, rappresentare un banchetto davanti ad atlete e atleti provenienti da molti dei paesi i cui abitanti non hanno sufficiente accesso al cibo? Non è un esempio di colonialismo culturale?
L’Occidente ha di che sfamarsi e sprecare; 733 milioni di persone in Africa, Asia, America Latina, non hanno accesso al cibo.
Ecco il dato scandaloso davvero. E in quella sede olimpica rappresentare un banchetto non è un esempio di inclusività (come gli organizzatori descrivono le persone rappresentate) ma un inaccettabile esempio di indifferenza sostanziale, spacciata da pretesa di inclusività e di progresso sociale.
Sarebbe stato “forte” se i vescovi francesi e magari anche altri esponenti ecclesiali avessero rilevato tale aspetto. Si sarebbe potuto porre l’accento non sulla parodia ma sulla totale inopportunità di rappresentare qualcosa di occidentale in collegamento mondovisione ad un pubblico che vive vite problematiche.
La Prima Lettera ai corinzi
Quanto al tema specifico della Cena, il mondo cristiano qualche domanda può farla a sé stesso. “Parodie” della Cena eucaristica sono documentate da san Paolo nella Prima Lettera ai corinzi, quando stigmatizza (prego leggere cap. 11, 17-34), l’uso di celebrare la cena del Signore mangiando ognuno per proprio conto cibo portato da casa, o facendo che chi arriva per primo si sazia, e per chi arriva dopo non resta abbastanza. Chi arriva prima – è noto – sono le persone benestanti; chi arriva dopo, sono i lavoratori, e dunque i ceti più poveri e deboli, visto che lavorano.
Nella Prima Lettera ai corinzi, si svelano complesse problematiche pastorali, ecclesiali e sociali, dentro una città allora opulenta, e dove le divisioni di classe attraversano la Chiesa nascente e si fanno sentire con forza all’interno della prima e unica cerimonia caratterizzante la comunità cristiana: la Cena. San Paolo indica il perimetro: sia inclusiva, nel nome di un annuncio coerente di Cristo crocifisso.
Il tema del cibo, del banchetto, dell’inclusione, è stato ridotto a macchietta, sia pure olimpica, mentre è carico di contenuti simbolici, culturali, religiosi, davvero di altissimo profilo.
Dal punto di vista ecclesiale, forse si sarebbe potuta utilizzare l’occasione per dire un grande “sì” alla vita – che si nutre di cibo, di cultura, di condivisione, di fratellanza – e contestare non la parodia della religione ma la parodia di un’inclusione che è fasulla, occidentale, irrispettosa degli altri.
Per la Francia della libertà, della fraternità e dell’uguaglianza, un’occasione sprecata.
Prima di spendere no do quanti milioni di euro per spettacoli kitsch, le autorita’ francesi hanno pensato fosse meglio” ripulire” le strade di Parigi da tutti i senza tetto, barboni, mendicanti, dans papier eccetrra. Gia’ questo da’ l’ idea dell’ ipocrisia del mondo woke: inclusivi si’ ma solo per certe categorie di persone, gli ultimi , i veri ultimi, non sono compresi. Forse perche’ non sono queer.