Giovedì scorso è giunta al termine la visita di quattro giorni del Segretario di stato vaticano, card. Parolin, in Sud Sudan – su invito del vescovo di Malakal mons. S. Nyodho Ador. È la terza volta nel giro di un anno che il card. Parolin si reca nella regione, segno della particolare attenzione verso le popolazioni dell’area da parte della diplomazia vaticana.
Preoccupa in particolare la situazione dei rifugiati nella zona di Malakal, che sono costretti a vivere in condizioni quasi disumane. Dal 2013 nel campo profughi di Malakal si sono raccolte circa 50.000 persone costrette ad abbandonare le loro case a causa della guerra civile.
A partire da quest’anno, il campo già sovraffollato, è stato raggiunto da migliaia di persone provenienti dal Sudan – a causa della guerra nel paese e delle recenti inondazioni. «Ne è conseguito un delicato mix di persone, popoli e tribù che rende ancora più volatile una situazione già estremamente tesa» (Sudan Relief Fund).
Il processo di pace nel Sud Sudan, iniziato nel 2018, ha significato per la popolazione locale di Malakal sicuramente un primo passo verso condizioni di vita migliori, ma la zona rimane teatro di scorribande da parte di milizie armate.
Nonostante il processo di pace in corso, «la crisi dei profughi in Sud Sudan rimane la più grande dell’Africa, con 2,3 milioni di persone che vivono come rifugiati nei paesi vicini e altri 2,2 milioni di sfollati interni. Il paese continua a subire l’eredità della guerra civile, dei persistenti conflitti etnici e, più di recente, degli impatti devastanti del cambiamento climatico, lasciando milioni di persone in stato di bisogno di assistenza e rendendo di fatto impossibile il ritorno dei rifugiati alle loro terre» (UNHCR).
Nella sua visita a Malakal, il card. Parolin ha incontrato anche gruppi di profughi e rifugiati che vivono nel campo, ascoltando le loro storie e condividendo le loro preoccupazioni. «Sono qui a nome del Santo Padre – ha detto Parolin – per mostrare alla gente di Malakal la sua solidarietà e quella di tutta la Chiesa cattolica – specialmente a quelli che tra voi si trovano in una simile situazione così difficile».
Parole e segni di prossimità che possono consolare e dare una speranza inaspettata, ma che non sono sufficienti davanti alla gravità della crisi. Consapevole di questo, il card. Parolin sta impegnando l’attività diplomatica della Santa Sede in modo da creare pressione sulla comunità internazionale in modo da creare le condizioni minime necessarie per poter permettere un ritorno dei profughi ai loro luoghi di origine.
Anche il vescovo di Malakal ha sottolineato l’importanza di una più attenta ed efficace azione da parte della comunità internazionale per trovare soluzioni al dramma umano che si sta consumando nelle zone della sua diocesi.
Da un lato si tratta di portare avanti con convinzione e perseveranza il cammino di pacificazione nel Sud Sudan, anche in vista delle elezioni previste per il 2024 che vengono viste come la possibilità di uno spartiacque decisivo per la vita del paese. Dall’altro, di far cessare la distruzione causata dalla guerra nel Sudan che costringe a una fuga senza meta le popolazioni colpite da essa. Creando così una situazione insostenibile a livello umano e ingestibile a quello socio-politico.
Nel mezzo si pongono gli effetti devastanti della crisi climatica, che accentua a dismisura le condizioni drammatiche in cui versa la gente della regione.
In questo momento, essa sembra essere dimenticata dalla geopolitica attuale – che guarda altrove e non si preoccupa delle condizioni di vita disumane così lontane dai suo interessi.
Qui si innesta la diplomazia vaticana, impegnata nella difficile impresa di non dimenticare nessuno e non abbandonare a se stessa nessuna regione del mondo. Un’attività di memoria critica che la comunità internazionale è chiamata ora ad accogliere e a sostenere per cercare vie di uscita degne per risolvere le molteplici crisi che si sono intrecciate tra di loro nel Sud Sudan.