Mentre guardavo le scene inimmaginabili dell’insurrezione trasmesse dalla capitale del nostro Paese, dove l’intero Congresso era tenuto in ostaggio da una folla traviata e squilibrata, ho sentito salire dentro una forte rabbia. Una rabbia giusta. Perché se quello che abbiamo visto è tremendo, non è purtroppo sorprendente.
È il risultato inevitabile di quattro anni di menzogne del presidente Donald Trump. Quattro anni in cui il presidente ha demonizzato i suoi oppositori. Quattro anni di abusi di potere inspiegabili. Quattro anni di retorica sconsiderata e di velate minacce di violenza. Quattro anni di risentimento razziale bianco, ansia e paura. Di appelli scoperti ai suoi teppisti e di sollecitazione alle bande di «Proud Boys» [una organizzazione suprematista bianca di estrema destra – ndr] a «tenersi pronti». E di ripetuti rifiuti da parte sua di promettere un trasferimento di potere pacifico. Voglio che sia chiaro: questo era l’unico esito nel quale la presidenza di Donald Trump avrebbe potuto condurci: un attacco violento alla democrazia del Paese.
Non possiamo fingere di essere sorpresi, perché per anni la voce di Mr. Trump ha alimentato il risentimento dei bianchi verso il cambiamento del volto dell’America. Quello che abbiamo visto è un’evidente dichiarazione del fatto che molti bianchi preferirebbero vivere in una dittatura bianca piuttosto che in una democrazia multirazziale. Se democrazia significa condividere il potere con persone di colore, specialmente con i neri, essi non vogliono farne parte. Questo giorno è la conseguenza inevitabile della tolleranza della nazione verso il razzismo bianco.
Trump non è l’unico responsabile di questa debacle. E qui la saggezza della tradizione morale cattolica è dolorosamente chiara. Tommaso d’Aquino insegna che si condivide il male dell’altro anche «omettendo il consiglio che avrebbe ostacolato un comportamento malvagio», oppure «tacendo, non impedendo, non denunciando».
Quello a cui abbiamo assistito a Washington è la conseguenza diretta di quattro anni di complicità, di cinica acquiescenza e di vile silenzio. È la conseguenza di chi sapeva che il presidente era enormemente incompetente per la sua carica, ma non ha detto nulla. È il risultato di chi ha ripetuto menzogne su un’elezione rubata per ottenere un vantaggio sul breve periodo. È la conseguenza di leader politici che si sono rifiutati di affrontare la distruzione senza precedenti delle regole democratiche da parte di Trump per paura di un tweet presidenziale.
Si tratta anche della conseguenza del silenzio complice e del sostegno attivo dei leader religiosi che si sono rifiutati di opporsi al cancro del nazionalismo bianco sostenuto apertamente da questo presidente e che gli hanno scusato ogni sorta di malefatta, di incompetenza e di brutalità, sostenendo che non si trattava del «male preminente» che doveva interessare il voto di un cattolico.
Giovanni Paolo II ha dichiarato: «La verità è la madre, la base e il fondamento della giustizia». Quello che abbiamo visto oggi è la conseguenza di quando la verità viene ignorata, calpestata e rifiutata. Di quando le menzogne sono ripetute, ammiccate o cinicamente abbracciate. Non può esserci giustizia quando la farsa è passata per realtà, quando l’illusione razzista è approvata nel silenzio, quando il cinismo politico è spacciato per servizio pubblico.
C’è una domanda fondamentale che oggi dobbiamo porci: ci sforzeremo di essere un paese delle libertà e della giustizia per tutti? O lo saremo soltanto per alcuni? Per coloro che sono bianchi e arrabbiati? Per chi ci assomiglia e prega come noi? Finché non affronteremo queste domande, non osiamo fingere di essere sorpresi dall’orrore che abbiamo visto oggi in Campidoglio. O quando succederà di nuovo.
Bryan N. Massingale è docente di etica teologica e sociale alla Fordham University di New York. È autore di Racial Justice and the Catholic Church (Orbis, 2010). L’articolo che riprendiamo in una nostra traduzione dall’inglese è apparso sul sito della rivista America il 6 gennaio 2020.
Senza mancare di rispetto, ma credo il suo intervento molto superficiale. Riguardo i fatti deprecabili avvenuti a Capitol Hill penso naturale domandarsi come sia possibile che la nazione più militarizzata al mondo, che val la pena ricordarlo è in conflitto militare perenne contro il nemico di turno, pur non avendo mai subito aggressioni territoriali e sostanziali, abbia potuto tecnicamente permettere l’invasione del parlamento, quando il dispiegamento di forze, anche per il ben più pacifico corteo BLM, fu corposamente ed evidentemente differente. Riguardo l’odio razziale è evidente che sussiste, ma ha radici profonde, particoralmente in alcuni stati. Quando l’Europa si sollevava dai tormenti e dalla distruzione della seconda guerra, nel pieno di quel boom che anche l’Italia ha vissuto, in America prosperava la discriminazione e la violenza razziale. Non parliamo di mille anni fa, diciamo meno di cinquanta. L’incoerenza di una società che non depreca la violenza come metodo di risoluzione delle controversie internazionali, così come non osa mettere in discussione il 2° emendamento, è evidente.
Che Trump sia quel che è penso non vi siano dubbi, perché indipendentemente da come si sia orientati politicamente, certamente non ha qualità politiche e non ha neppure qualità culturali, ma una cosa è evidente: dall’aggressione a Capitol Hill è quello che esce con le ossa maggiormente rotte. Sia che si sollevi il 25° emendamento, che si apra un nuovo impeachment, la conseguenza è chiara: l’incandidabilità. Qui prodest, dicevano un tempo… La questione, forse, è più complessa.