Recentemente hanno avuto luogo le elezioni presidenziali in Polonia. I risultati sono stati già ampiamente ripresi e commentati dalla stampa di tutto il mondo, anche in Italia (cf. SettimanaNews). È stata notata soprattutto l’affluenza da record e l’esito incerto fino all’ultimo voto.
La fortissima polarizzazione dell’elettorato può apparire all’osservatore italiano non coerente con la ricorrente immagine della società polacca che la vuole sostanzialmente cattolica e quindi organica. Mentre il rapporto tra fede e politica è evidentemente più complesso. Da tale prospettiva di complessità cerco perciò di intraprendere la mia riflessione.
Al lettore italiano può giovare un’altra precisazione: non tutti gli elementi della vita politica in Polonia possono essere facilmente compresi con le categorie di destra e di sinistra. Si dà il caso che spesso queste categorie risultino confuse e persino contraddittorie tra est e ovest europeo. Basti pensare alla specularità degli estremi opposti che, nel corso del Novecento, si sono dati nel nostro continente.
Il passato da cui veniamo
L’Italia è stata martoriata da un regime di destra: contrastarlo ha significato essere nel giusto abbracciando idee di sinistra. L’assistenza sociale, la difesa dei lavoratori, la lotta per il pensiero critico e indipendente sono state conquiste attribuite storicamente alla sinistra italiana. In Polonia il regime da contrastare è stato quello comunista. Gli oppositori polacchi sono stati mossi da una coscienza clandestina ricondotta storicamente a una destra spesso protetta dalla Chiesa cattolica. Le cause dei lavoratori sono state difese dai sindacati di destra, come la famosa Solidarność.
Oggi la Polonia si colloca in un contesto europeo in cui queste due visioni hanno dovuto trovare il loro posto nello stesso Parlamento europeo, adottando una comune nomenclatura sebbene con genesi così diverse. In Polonia la sinistra comunista ha oggi un consenso del tutto marginale, eppure la scena politica è ancora fortemente polarizzata tra due opzioni contrapposte, come abbiamo osservato.
Il candidato presidente Trzaskowski ha raccolto al ballottaggio il consenso degli schieramenti liberali, di quelli progressisti, della sinistra storica e dei verdi, ma pure dell’elettorato di Szymon Hołownia, un giornalista che ha pubblicato vibranti libri a sostegno dei cristiani discriminati nel mondo. Tra i miei stessi amici hanno votato per Trzaskowski esponenti del movimento LGBT come pure giovani partecipanti ai raduni giovanili di matrice cristiana cattolica.
Due partiti, la medesima radice
I due maggiori partiti – il partito Diritto e Giustizia (PiS) di Andrzej Duda e il partito Piattaforma Civica (PO) di Rafal Trzaskowski – affondano le loro radici nella stessa Solidarność. Una volta sconfitto il comune nemico, ossia il regime comunista, il sindacato si è scomposto in due frazioni: da una parte, la destra di oggi, dall’altra, le persone di vedute più liberali che in passato sono state pure sostenute, nelle loro lotte, dalla Chiesa cattolica.
Come hanno dunque votato i cattolici polacchi? Secondo l’Istituto superiore di statistica (dati del 2011) circa il 95% dei polacchi si definisce credente, mentre il 91,9% dichiara la propria appartenenza alla Chiesa cattolica. Considerato dunque il fatto che il 68% degli aventi diritto ha preso parte alle elezioni e che il risultato del ballottaggio ha dato esito quasi paritario, è abbastanza chiaro che i voti dei cattolici si sono divisi su entrambi i candidati.
Il dato potrebbe rivelare una sorta di neutralità cattolica in politica, per certi versi auspicabile. Ma non è proprio così. La relazione tra i politici e la gerarchia della Chiesa cattolica, l’appoggio più o meno manifesto del clero verso alcuni candidati, specie in materia di bioetica, hanno costituito e costituiscono in Polonia parte importante della dinamica politica quotidiana. Le radici spinose di tali legami vanno cercate, a mio modo di vedere, nel nostro lontano passato, ben prima del supporto che la Chiesa cattolica ha offerto a Solidarność.
Il peso della storia
Nella Polonia del Settecento si innescarono infatti processi che hanno portato alla formazione di un’unica identità nazionale confessionale. Il polacco cattolico ha quindi sempre difeso, in blocco, la propria lingua, la cultura e la fede, prima dalla minaccia dell’invasione dei turchi musulmani e, in seguito, dalla vera e propria occupazione dei prussiani protestanti e dei russi ortodossi. Ad onore del vero, anche l’impero austro-ungarico prese parte alle spartizioni della Repubblica di Polonia.
Se, ad esempio, il solo possesso di un libro in lingua polacca determinava la morte nelle zone occupate sia da prussiani protestanti che da russi ortodossi, di meno ma non molto era severamente vietato e illegale parlare in polacco nei territori occupati dagli austro-ungarici cattolici.
Benché in campagna elettorale non siano più citabili tali riferimenti storici, tuttora la politica continua a fare appello alla coscienza profonda dei cattolici, non solo perché i programmi siano valutati dal punto di vista della tradizionale morale cattolica, ma soprattutto perché lo siano da quello patriottico-nazionale: si discute, ad esempio, della difesa dell’interesse e della cultura nazionale all’interno dell’Unione Europea.
Anche la questione della relazione con l’odierna Federazione Russa porta un buon peso storico. Sebbene le diffidenze non siano più collegate alle appartenenze confessionali, l’attuale governo ha messo progressivamente in atto strategie volte a limitare decisamente la dipendenza economica e logistica dalla Russia.
Diverse migrazioni
Anche in rapporto al fenomeno migratorio si continua a fare riferimento alla fede cattolica. In Europa occidentale la Polonia passa spesso per un paese contrario all’accoglienza. Nel dibattito politico interno è forte la considerazione di carattere culturale: l’attuale governo alimenta infatti la paura di un incontro con la cultura islamica dentro i confini nazionali ma, nel contempo, sostiene numerose iniziative umanitarie di ONG (di matrice cattolica e non) in paesi a maggioranza islamica, quali la Siria e lo Yemen.
Si stima in Polonia la consistente presenza di 1,2 milioni di ucraini, tra i quali molti migranti economici. Si tratta del gruppo nazionale più numeroso, seguito da bielorussi, georgiani e moldavi. È da considerare come tutti questi paesi abbiano in comune con la Polonia un passato di persecuzione dei fedeli cristiani da parte dei regimi comunisti e come siano per questa ragione riconosciuti dalla società polacca quali paesi culturalmente affini.
Sussistono programmi governativi – paragonabili all’apertura dei contemporanei “corridoi umanitari” – per discendenti polacchi fatti forzatamente migrare in Unione Sovietica ai tempi di Stalin e che a tutt’oggi ancora rientrano, dopo tre generazioni, dall’odierno Kazakistan. In fatto di politiche migratorie in Polonia si continuano dunque a fondere e a confondere le categorie di fede con quelle culturali e ovviamente con le scelte politiche, di per sé di diversa natura.
Chiesa, pietà popolare, politica
Vorrei soffermarmi sull’uso pubblico e politico della corona del rosario. La corona mariana è chiaramente un oggetto caro alla devozione cattolica di preghiera, anche in Italia. Fa scalpore quando ad esibirlo in pubblico è qualche politico. Pure in Polonia questo avviene. Da diversi anni ha acquistato popolarità la figura del napoletano don Dolindo Ruotolo. Sulla sua scorta sono state promosse, in Polonia, recite del rosario per la patria.
Un proposito di per sé buono è stato presto trasformato in grandi processioni, con recite del rosario lungo le frontiere nazionali, a voler arrestare il dilagare di idee nemiche oppure a significare il sigillo delle frontiere di fronte alla minaccia della islamizzazione. Si è giunti a vere e proprie manifestazioni pubbliche e quindi politiche, col rosario brandito con slogan contro altri: una simile deriva non ha potuto che infiammare gli animi fondamentalisti e ovviamente creare imbarazzo nei cattolici più avveduti.
Giunta a questo punto, dovrei trattare il tema delle relazioni tra la politica e le gerarchie ecclesiali in Polonia. Non posso farlo che per accenno. Sebbene ufficialmente gli esponenti della Commissione episcopale (KEP) abbiano invitato i fedeli semplicemente ad andare a votare, è trapelata una lettera indirizzata ai missionari polacchi aventi diritto di voto all’estero, assieme a migliaia di altri elettori, a cui è stato rivolto l’invito a una «presa di responsabilità per le sorti della Patria».
Sebbene la KEP abbia ufficialmente smentito di aver divulgato quel documento, e sebbene questo non contenesse un’esplicita raccomandazione, nel contesto polacco un simile appello già dava una chiara indicazione dello schieramento da scegliere.
Ricordo in proposito un’intervista di mons. Grzegorz Ryś, pubblicata nel 2016 ma quanto mai attuale, nella quale il prelato dichiarò: «Anch’io andrò a votare e voterò qualcuno. Mi distinguo per il fatto che non dirò mai a nessuno per chi avrò votato. E per quale ragione non dirò mai a nessuno per chi avrò votato? Perché vorrei che coloro che voteranno il controcandidato possano partecipare in pace all’eucarestia da me presieduta. Non si possono portare le divisioni politiche nella Chiesa!».
La mia finale riflessione vorrebbe prescindere dalla contingente circostanza elettorale. Ogni voto non è forse, per il credente, una presa di responsabilità per le sorti della patria e per il futuro del mondo? Non è forse una presa di posizione di fronte alla propria coscienza? Per chi dovrebbe votare dunque un credente?
Il voto e la responsabilità
In Polonia come in Italia, solo alcuni oggi si sentono sicuri e ben rappresentati da un politico e da un partito per la maggior parte delle convinzioni, mentre altri vogliono semplicemente valutare quale sia il voto per il male minore. Dunque, quale obiettivo politico – in materia morale, migratoria, economica o sociale – è davvero prioritario così che, pur di vederne la realizzazione, si può chiudere un occhio sul resto del programma del candidato?
Ho partecipato anch’io dall’Italia al voto del mio paese. Sono contenta che quest’anno ciò sia stato possibile grazie al voto per corrispondenza. Guardando i dati, penso di poter scrivere che questo risultato elettorale non esprima soltanto un trascinamento fondamentalista o nazionalista dei polacchi interpretata dal vincitore Andrzej Duda, come spesso è stato scritto. Così come non ritengo che il perdente Rafal Trzaskowski rappresenti solo l’elettorato marcatamente liberale.
Non vedo neppure una spaccatura tra cattolici praticanti e cattolici nominali. Penso che l’esito di queste elezioni sia stato determinato da un’ampia fascia di elettori moderati che hanno speso il loro voto dopo un’attenta e pure sofferta valutazione delle posizioni.