Mentre si avvia a conclusione la battaglia elettorale per la presidenza della Repubblica polacca (28 giugno) dove si ricandida, a nome del partito di destra al governo (PiS), Andrzejv Duda, contro il sindaco di Varsavia, Rafal Trzaskowski, cattolico e appartenente alla Piattaforma civica di indirizzo liberale, emerge il difficile equilibro della Chiesa locale.
La durezza del conflitto, alimentato dai media pubblici filo-goverantivi, è testimoniata dall’ammissione di P. Pacewicz: «A forza di essere randellata da menzogne e da semi-verità, la società si trova profondamente disorientata». E Vera Jourova, incaricata dall’Unione Europea per la salvaguardia dei diritti fondamentali e dello stato di diritto ha ammesso «la tristezza che nell’Europa di oggi, alte cariche politiche (si riferisce a Duda ndr.) decidano di prendere di mira minoranze civili (omosessuali) per ottenere risultati politici».
Rispetto alle comunità cristiane locali sono indicativi due interventi del portavoce della conferenza episcopale, p. Pawel Rytel-Andrianik. Il primo è del 19 giugno. In un comunicato ufficiale, prende distanza da una lettera di contenuto elettorale a favore di Duda inviata a tutti i missionari polacchi all’estero da parte del Comitato missionario che, all’interno delle strutture episcopali, cura gli aiuti alle missioni: «L’invio di una lettera ai missionari da parte degli uffici del Comitato missionario che si occupa della corrispondenza coi missionari è un’azione ingiustificata e non concordata con la Segreteria della Conferenza episcopale e con nessuno dei vescovi». «La Chiesa cattolica non è coinvolta nella campagna elettorale, né sostiene nessuno dei candidati alla carica di presidente della Repubblica, poiché questo non è il suo ruolo. La missione della Chiesa è predicare il Vangelo a tutti, indipendentemente dalle opinioni politiche».
Due giorni dopo è costretto a ricordare che l’ambone, il luogo della predicazione delle chiese, non è utilizzabile per discorsi politici. «I cattolici, come tutti gli altri cittadini hanno diritto di essere attivamente coinvolti nella politica in nome del bene comune, ma le chiese non sono luoghi di propaganda elettorale… La Chiesa non esclude nessuno, ma ricorda a tutti le indicazioni pratiche del decalogo, del vangelo e della dottrina sociale della Chiesa». «Se, in qualche luogo, in chiesa o in un edificio parrocchiale, c’è un caso di propaganda elettorale, dovrebbe essere considerato riprovevole e non conforme alla missione della Chiesa».
Non dovrebbe mai succedere
Lo sforzo di distanziamento dei responsabili indica la mischia in cui la Chiesa è spesso identificata con l’attuale potere di governo. In questo clima anche le denunce riguardanti gli abusi del clero entrano nel conto.
Il 23 giugno è scoppiato il caso del vescovo di Kalisz, Edward Jamiek. Accusato di complicità nella copertura di abusi verso minori da un film-documentario (Hide and Seek) apparso su You Tube il 17 maggio (con 1,9 milioni di visualizzazioni), il vescovo ha fatto leggere nelle chiese della diocesi una lettera in cui lamentava di essere vittima di una campagna mediatica.
Davanti alla decisione del primate di Polonia, mons. Wojciech Polak, di applicare i procedimenti vaticani previsti dal motu proprio di papa Francesco nel caso del coinvolgimento di vescovi, l’interessato ha scritto una propria lettera ai vescovi lamentando l’intervento del primate e della nunziatura che ha provveduto a inoltrare la pratica. «Per me, l’autore della confusione e il responsabile della ferita all’immagine della Chiesa è proprio l’arcivescovo Polak».
A stretto giro di posta il primate ricorda le norme fissate dal papa nell’interesse del popolo di Dio. Davanti alle affermazioni contenute nel filmato non poteva comportarsi diversamente e annota: «La presentazione di una notifica non significa il riconoscimento della colpa» e il procedimento avviato permette al vescovo la reale possibilità di difendere il proprio onore.
Qualche giorno dopo è esploso un altro scandalo a proposito del vescovo Edward Jamiek. Curato da tempo per un cancro e sottoposto a visite costanti, il vescovo è stato portato d’urgenza al pronto soccorso il 2 giugno per un sospetto ictus. I precedenti e le difficoltà di parola alimentavano le ipotesi. Dalle carte ospedaliere (che portano le iniziali e non il nome per esteso), rese pubbliche dal giornale Gazeta Wyborcza, appare invece come il caso di una sbornia. Avrebbe avuto il tasso alcolico di 3,44 per mille. In nottata è stato dimesso.
Ancora una volta è intervenuto il portavoce della conferenza episcopale, Pawel Rytel-Andrianik: «Dichiaro con fermezza che, se le informazioni fornite dai media vengono confermate, questa situazione non è tollerabile… Stiamo aspettando una spiegazione attendibile di un evento che non dovrebbe mai succedere».
Con tempestività il 25 giugno il papa ha nominato mons. Grzegorz Ryś, arcivescovo metropolita di Łódź, amministratore apostolico sede plena della diocesi di Kalisz.