Polonia: vescovi e nuova politica

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Un “no” da parte del presidente della Repubblica e una scarsa attenzione da parte dei partiti: i recenti interventi di Stanislaw Gadecki, vescovo di Poznan e presidente della conferenza episcopale, non hanno avuto successo.

Il “no” di Andrzej Duda, presidente della Polonia ed esponente della vecchia maggioranza (il partito di Jaroslaw Kaczynski, Pis), è relativo a una legge che rifinanzia gli interventi per la fecondazione in vitro, sospesi dal 2015. La nuova maggioranza di Donald Tusk ha voluto la correzione per favorire la fecondità.

Ma mons. Gadecki ha ricordato il rifiuto dell’opzione tecno-medicale da parte di Pio XII e di Giovanni Paolo II (Donum vitae), denunciando la pratica della fecondazione in vitro come un «aborto intenzionale e selettivo». Ha chiesto al presidente Duda, in ragione dei suoi poteri, di rimandare il testo alla Corte costituzionale.

Molto legata alla precedente maggioranza, la Corte, che si era espressa a favore di una legge abortiva molto restrittiva (2020), avrebbe potuto dare ragione alla posizione di Gadecki. Ma l’ipotesi è sfumata con il rifiuto del presidente di fare ricorso.

Nella lettera del vescovo si ricordava il problema degli embrioni “in eccesso” che vengono abbandonati o distrutti, nella falsa convinzione che «l’embrione non meriti pieno rispetto perché viene privilegiato il desiderio da soddisfare (dei coniugi)». Il bambino deve «essere messo al mondo in seguito ad un atto coniugale dei suoi genitori e non grazie a un procedimento tecnico». Un figlio non si può “pretendere”, è sempre un dono. Un figlio non si “produce”, come non lo si “distrugge” dopo il concepimento. Questo non toglie l’accoglienza e la piena dignità dei bambini ottenuto grazie del metodo fecondativo in vitro.

Russia ed Europa contro la Polonia?

Il secondo e importante intervento di Gadecki è un appello alla riconciliazione nazionale pubblicato il 23 dicembre (https://www.settimananews.it/chiesa/polonia-vescovi-imbarazzato-silenzio/). Un breve testo, che si rivolge «a tutti coloro che hanno a cuore la sorte della propria patria» per una riconciliazione che permetta alla nazione di affrontare le sfide maggiori del futuro.

Il vescovo le identifica nella guerra in Oriente e cioè nel conflitto russo-ucraino e nella possibilità del suo allargamento, e, in secondo luogo, alla volontà «dell’Unione Europea di trasformarsi in un unico stato in Occidente». Tornando all’antica paura della Polonia rispetto al vicino russo e tedesco, il vescovo interpreta l’Unione Europea a guida tedesca come un progetto politico secolarizzato anti-cristiano e anti-polacco.

Da qui la necessità che la Polonia si compatti. Di conseguenza, per mantenere l’armonia sociale in uno stato di diritto, la maggioranza deve lasciare spazio alla minoranza e il governo deve accettare una limitazione del suo potere.

«L’idea è che un partito o una coalizione politica non dovrebbe esercitare il pieno potere nello stato – come accade nel sistema autoritario – ma che alcune limitazioni del potere dovrebbero essere (a vantaggio o) sotto la tutela delle forze di opposizione o relative ad autorità indipendenti da qualsiasi partito politico». Ciò che fa da guida in un paese democratico è la legge non la maggioranza politica in corso.

L’appello del presidente dei vescovi, la prima comunicazione “politica” dopo le recenti elezioni nazionali (15 ottobre 2023), esprime la condivisa preoccupazione per lo scontro molto duro fra maggioranza e opposizione, fra gruppi sociali e anche all’interno delle comunità cristiane.

Ma è sorprendente che la difesa dei diritti della minoranza appaia solo ora, dopo un decennio di compiacente silenzio rispetto alla precedente maggioranza conservatrice e anti-europea. Nel recente passato non vi è stata nessuna parola episcopale a garanzia dell’autonomia reale della magistratura e nessuna critica all’occupazione “militare” da parte del Pis di tutto l’apparato comunicativo statale (Tv, radio, agenzie).

I silenzi condizionano

I vescovi, non certo privi di dialettica al loro interno, avrebbero oggi una parola più autorevole da dire negli scontri istituzionali che si producono e si produrranno. Il più clamoroso e recente riguarda, non casualmente, i media statali.

Il 20 dicembre una comunicazione del ministero della cultura rendeva pubblico il licenziamento del presidente e del consiglio di amministrazione degli enti televisivi e radiofonici. Invocando il diritto amministrativo e una risoluzione del parlamento di qualche ora prima, il ministro B. Sienkiewicz, decapitava l’intera dirigenza. Si produceva il caos dei vertici e per qualche ora radio e Tv statali sono state silenti e sono scomparse per tutti gli utenti.

Contestualmente, il governo nella legge di bilancio introduceva un cospicuo finanziamento per i media, a favore della nuova direzione. Il presidente Duda bloccava l’approvazione della legge di bilancio, denunciando l’investimento come improprio. I vertici del Pis occupavano per qualche ora le sedi dei media denunciando l’illegalità del provvedimento ministeriale e la violazione della libertà informativa nel paese, nella convinzione che tutti i media non statali siano sostenitori della nuova maggioranza.

Per la sovrapposizione di autorità delegate alla gestione e volute dal Pis, ciascuno dei contendenti invocava la violazione del diritto. Era evidente per tutti gli istituti di ricerca l’insopportabile parzialità politica dei media statali, ma l’intervento di forza ha fatto storcere il naso a più di un costituzionalista. Il cambio era nell’aria e comprensibile, ma la sua precipitazione e radicalità hanno sorpreso molti.

L’invocazione episcopale al consenso e all’armonia, ampiamente riscontrabile anche nelle omelie episcopali del Natale, è, per ora, caduta nel vuoto.

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7 Commenti

  1. Franco 2 gennaio 2024
  2. Franco 2 gennaio 2024
  3. Adelmo li Cauzi 29 dicembre 2023
    • Anima errante 29 dicembre 2023
      • Pietro 30 dicembre 2023
        • Adelmo li Cauzi 30 dicembre 2023
  4. Pietro 28 dicembre 2023

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