Il quadro geopolitico degli scontri fra Kosovo (a maggioranza musulmana) e Serbia nei territori di confine della Metochia (cf. SettimanaNews, qui) rimandano alle ragioni del legame della Chiesa ortodossa serba con quel territorio.
È il luogo fondante della tradizione religiosa serba, un concentrato di chiese, monasteri e istituzioni, che rappresentano non solo un territorio di altissimo valore artistico ma anche il cuore spirituale pulsante di quella Chiesa.
In contemporanea con gli scontri fra popolazione serba e militari della forza di pace della Kfor della Nato (29-30 maggio) il patriarca di Belgrado, Porfirio, si è rivolto a tutti i poteri politici interessati: «Possa il Signore illuminare le loro menti e riscaldare i loro cuori affinché comprendano che anche i nostri fratelli e sorelle in Kosovo e Metochia hanno il bisogno e il diritto di vivere nelle loro terra in pace e comprensione reciproca con gli altri. Hanno il diritto a non essere perseguitati, garantiti nelle loro proprietà, senza veder bruciare i propri raccolti, distrutti i propri cimiteri, inseguiti i propri figli. In Kosovo e Metochia, terra che rappresenta la nostra gloria, la nostra croce e la nostra risurrezione, la nostra nazione vive con altre con cui ha saputo convivere, rispettandone costumi e religioni».
Kosovo e Metochia sono Serbia
Il territorio della Metochia è nei confini del Kosovo, giunto all’indipendenza nel 2008, ma di fatto co-amministrato con le istituzioni serbe che non riconoscono l’indipendenza dello stato kosovaro. La Chiesa ortodossa serba riafferma l’appartenenza serba del territorio pur invocando sempre la tolleranza e la collaborazione fra le etnie.
Nel comunicato del sinodo del 19 maggio si dice: «La nostra Chiesa ha chiaramente e inequivocabilmente indicato, confermandola nella sessione appena celebrata che l’accettazione della proclamata indipendenza del Kosovo e della Metochia, direttamente o indirettamente, de facto o de iure, sarebbe in contraddizione con il diritto internazionale, stabilito dalla carta delle Nazioni unite».
«L’obiettivo delle istituzioni kosovare è quello di creare un Kosovo etnicamente albanese (il ceppo etnico dei kosovari è albanese. Ndr.) in cui difficilmente può esistere una vita libera e normale per i serbi. La Chiesa condanna anche tutti gli attacchi al popolo serbo, ai suoi santuari e alle sue proprietà, in particolare gli attacchi terroristici contro i singoli, compresi i bambini».
Ribadisce «la propria posizione contraria a qualsiasi separazione del Kosovo e della Metochia dalla Serbia», pur invocando la tolleranza e il rispetto reciproco. Due giorni prima, il 17 maggio, il sinodo ha incontrato la presidenza della repubblica (Alexsandar Vuciċ). Il patriarca Porfirio ha confermato: «Il Kosovo e la Metochia sono parte integrante della Serbia. Il Kosovo è il nostro cuore, la mente e la fonte della nostra esistenza. Kosovo e Metochia sono la nostra culla. Secondo una posizione che riteniamo onesta, giusta e vera, tutti i vescovi hanno dedicato molte parole alla necessità che le nostre preghiere siano indirizzate alla vita condivisa in Kosovo e in Metochia con gli albanesi e le altre popolazioni».
Posizione richiamata anche nella lettera pastorale del patriarca per la Pasqua (16 aprile). Il portavoce del sinodo, mons. Ireneo di Bacha, l’ha così sintetizzata: «Kosovo e Metochia sono parte integrante e inalienabile della Repubblica di Serbia; la conservazione del Kosovo e della Metochia entro i confini della Serbia è un obbligo costituzionale e un imperativo per la Chiesa come per lo stato; la leadership della Serbia e il presidente Aleksandar Vuciċ non accetteranno e non possono accettare alcuna condizione volta a stabilire l’indipendenza del Kosovo e della Metochia; la Chiesa ortodossa serba favorisce la convivenza nella pace e nella comprensione reciproca di tutti i cittadini che vivono in Kosovo e Metochia, in conformità con il diritto internazionale».