Riconoscimento dei titoli accademici pontifici

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Il problema del riconoscimento in Italia dei titoli accademici perseguiti in università pontificie riguarda un numero limitato di persone che, dopo aver frequentato facoltà teologiche o università pontificie, chiedevano e chiedono “l’equipollenza” e cioè una corrispondenza col sistema universitario del paese. L’esito di un percorso tra Santa Sede (Segreteria di Stato e dicastero dell’educazione) e Ministero dell’istruzione non era e non è agevole e, in ogni caso, il risultato era ed è difficilmente spendibile.

Riconoscimento dei titoli

Un passo di chiarezza è quello fornito dal decreto del Ministero dell’università e della ricerca apparso sulla Gazzetta Ufficiale del 25 marzo 2024. Esso non riguarda i percorsi delle discipline teologiche (non hanno corrispondenza nel sistema universitario italiano) ma solo i titoli accademici delle istituzioni di studi superiori corrispondenti all’ordinamento italiano come psicologia, pedagogia, scienze della formazione e dell’educazione, scienze sociali, beni culturali, scienze della comunicazione ecc.

Corsi di questo tipo sono offerti da diverse istituzioni: Università Salesiana, Auxilium, Antonianum, Santa Croce, Gregoriana, Lateranense, Urbaniana, Angelicum, Ateneo Regina Apostolorum, Sant’Anselmo ecc.

Non automatico

Va detto subito che il riconoscimento dei titoli di studio è oggi facilitato, ma non è automatico. Ad esempio, una laurea specialistica in scienze della comunicazione non è equivalente ad una rilasciata dalle università statali. E tuttavia nel decreto sono fissate tabelle di corrispondenza e cioè contenuti, competenze e capacità di ciascun insegnamento che indicano la possibile equivalenza fra il percorso “pontificio” e quello statale.

Il decreto sviluppa le tabelle di corrispondenza sia per il baccalaureato (laurea breve) che per la licenza (laurea specialistica). Le tabelle saranno aggiornate nel tempo.

Questo giustifica il primo paragrafo dell’articolo uno: «I titoli accademici rilasciati dalle istituzioni della formazione superiore della Santa Sede operanti in Italia sono riconosciuti corrispondenti nell’ordinamento italiano al termine di piani di studio conformi a quanto previsto nella tabella di corrispondenza di titoli di primo e secondo ciclo allegata al presente decreto, in relazione ai relativi risultati di apprendimento».

La corrispondenza tra il sistema della Santa Sede e quello italiano dei titoli accademici di primo e secondo ciclo corrisponde all’accordo firmato nel 2019 «sul riconoscimento dei titoli di studio di livello universitario nella regione europea, fatte salve la competenza valutativa e le decisioni relative al riconoscimento svolte dalle singole istituzioni della formazione superiore» (art. 3). Se il riconoscimento non è automatico, è però al riparo dall’arbitrarietà della burocrazia.

Quando uno studente volesse farsi riconoscere il titolo di studio dall’università statale di riferimento, può sottoporre alla segreteria della stessa il percorso compiuto ottenendo una risposta che può prevedere l’accettazione o la richiesta di qualche ulteriore corso in ragione dei programmi dell’università.

Nel caso di un concorso pubblico (sia locale che nazionale) con richiesta di titoli accademici, l’interessato potrà rivolgersi ai responsabili del procedimento per fare riconoscere la pertinenza del proprio titolo, ottenuto nelle università pontificie, e la sua corrispondenza con le richieste previste nel concorso.

Non c’è, quindi, un riconoscimento immediato dei titoli di studio, ma diventa possibile un percorso formale e stabile per la sua “spendibilità”.

Quanti speravano in un passaggio automatico di validità dei titoli non saranno soddisfatti, ma il risultato ottenuto evita l’arbitrarietà e consente la salvaguardia delle autonomie dei due sistemi di insegnamento e ricerca. Tutto questo in conformità al Processo di Bologna che, con il sistema del 3+2 (tre anni per la laurea breve e due per la magistrale) e il modello dei “crediti” legati ai diversi insegnamenti, il loro calcolo, i criteri della ricerca e le istanze di valutazione, ha permesso la compatibilità dei molti percorsi formativi dei singoli paesi.

La Santa Sede ha aderito al Processo di Bologna nel 2003.

Archivio e Biblioteca vaticani

Anche per quanto riguarda le due Alte Scuole vaticane di biblioteconomia e archivistica si è in attesa di un decreto ministeriale. Per la loro notorietà e prestigio non ci dovrebbero essere problemi.

È stata sollevata l’obiezione che, nel loro modello, mancherebbe una specifica formazione sulla legislazione italiana che, in realtà, viene offerta e che, comunque, è materia prevista per accedere al concorso. I candidati devono i ogni caso studiarla prima del concorso.

Semmai, il problema è sul fronte delle “consorterie” italiane. Essendo due scuole molto qualificanti, si rischia di mettere in difficoltà le attuali scuole corrispondenti dello Stato.

Il 13 maggio è stata solennizzata la ricorrenza dei 140 anni della Scuola di paleografia, diplomatica e archivistica e dei 90 anni della Scuola di biblioteconomia. Nel discorso agli alunni e ai docenti, papa Francesco ha sottolineato una loro «caratteristica decisiva: quella di avere un’impostazione eminentemente pratica e un approccio concreto ai problemi e agli studi, secondo una linea che ho più volte indicato, perché il confronto con la realtà delle cose vale di più dell’ideologia».

Unificare i percorsi di studio

Sono ancora legati al sistema “dell’equipollenza” i riconoscimenti degli studi teologici legati alle facoltà pontificie come anche alle facoltà italiane. Quadro arricchito e complicato dalla laurea riconosciuta dallo Stato italiano emessa dagli Istituti superiori di scienze religiose (ISSR) in ordine all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole nazionali.

Sia le otto Facoltà teologiche italiane, sia i 20 Istituti teologici affiliati, aggregati, incorporati (ITA, sostanzialmente sono i seminari), seguono il sistema vaticano: 5 anni per il baccalaureato o baccellierato, 2 anni per la licenza, 3 anni per il dottorato. Un 5+2+3 che non si combina né con il sistema internazionale né con il sistema degli ISSR, che sfornano gli insegnanti di religione, calibrati sul Processo di Bologna, ovvero sullo schema 3+2 (tre anni per la laurea breve, più 2 per quella magistrale).

In particolare, il problema si evidenzia in Italia nel confronto del programma di studi dei 44 ISSR e quello degli Istituti teologici affiliati (ATI): i cinque anni degli ISSR conducono alla laurea specialistica, i cinque anni degli ITA conducono al baccellierato (che corrisponde alla laurea breve triennale). Se le difformità non si risolvono, non solo il sistema pontificio – a parere di alcuni – rischia di uscire dal sistema universitario internazionale, ma, a livello italiano, si “penalizzano” i percorsi dei seminaristi. Con la crescente penuria di insegnanti qualificati e di studenti, ambedue i sistemi si indeboliscono.

Vi è una spinta crescente verso una riconsiderazione globale. L’Associazione teologica italiana ha elaborato, nel 2021, una proposta per il ripensamento degli studi teologici nel paese per un percorso unico, chiaro e strutturato sul sistema di Bologna, cioè un triennio più un biennio (300 crediti).

Il triennio dovrebbe garantire una formazione teologica di base con una consistenza e coerenza proprie. Ottimizzando così le risorse in mezzi e uomini. Il successivo biennio di indirizzo potrebbe avere un doppio orizzonte: quello sistematico per i seminaristi e i cultori della teologia con il successivo eventuale sviluppo nelle facoltà e nel dottorato, e quello didattico, finalizzato all’insegnamento della religione cattolica nella scuola.

C’è chi ipotizza un terzo indirizzo, quello delle scienze delle religioni (Religious Studies) a cui si stanno interessando in forma significativa anche le università. Qui si aprirebbe una collaborazione con l’Accademia.

Adattare e innovare

Sulle posizioni richiamate vi è una convergenza importante sia dell’ambiente teologico sia del dicastero interessato (cultura ed educazione), sia dei vescovi coinvolti nella questione.

Ma non mancano obiezioni significative. Per esempio, in relazione agli studi della filosofia (il primo biennio del baccellierato). È vero che si può immaginare una filosofia diluita nell’intero percorso e all’interno delle singole questioni teologiche. E, tuttavia, il generale venir meno della formazione umanistica sull’intero quadrante occidentale e le esigenze delle aree culturali più distanti dal ceppo euro-atlantico suggerirebbero di mantenere un tempo specifico per la filosofia.

Inoltre, il sistema “di Bologna” è un quadro di riferimento, non un vincolo assoluto. Al suo interno, i paesi (e la Santa Sede) mantengono la propria identità. Succede in Spagna e altrove.

Il patriarca Cirillo di Mosca chiede allo Stato russo di garantire l’originalità del percorso culturale e formativo della teologia russa temendo un adattamento subalterno all’Occidente. Non si possono “svendere” le esigenze proprie della formazione ecclesiastica e la specificità del sistema formativo e culturale cattolico al vincolo “mitologico” del Processo di Bologna.

Della possibile “svendita” è un segnale la pretesa obbligante di dare spazio ai Religious Studies, richiesti più dall’inconsistenza della cultura religiosa delle università laiche che non da un coerente allargamento di attenzione specificamente teologica.

Questione di numeri

Il dibattito continuerà. L’intero cantiere degli studi teologici è in movimento, sia sul versante nazionale sia su quello pontificio. Sembra urgente un riordino delle facoltà e delle università pontificie che a Roma è già stato avviato, come anche degli istituti teologici in Italia. Per alcuni, otto Facoltà teologiche sono troppe. Sono già in sofferenza quelle di Bologna e della Sardegna.

I 20 ITA (Istituti teologici affiliati) mostrano crescenti fragilità, tanto che a Novara e ad Ancona i seminaristi utilizzano alcuni insegnamenti degli ISSR. Questi ultimi hanno bisogno anch’essi di una verifica a dieci anni dalla precedente.

L’emergenza del calo delle iscrizioni, delle difficoltà di gestione e della resistenza ai vincoli e alle regole viene messa alla prova dai numeri e dai dati. Basti pensare alla quantità di professori ordinari richiesti: 5 per gli ISSR, 12 per le Facoltà, 7 per gli ITA. Insieme, significherebbero 456 professori stabili, interamente dedicati alla ricerca e all’insegnamento. Difficile immaginare che la cosa sia realistica.

Una doppia esigenza si impone. Da un lato, vi è necessità di un adattamento al sistema universitario ormai mondializzato per non isolarsi dal circuito delle idee e dei confronti accademici, senza risultare subalterni. Dall’altro, nel contesto italiano, si esige di superare i «tratti di disordine e confusione attualmente percepiti per un modello che si assuma la responsabilità di aprire possibilità per il futuro ecclesiale e culturale» (Associazione teologica italiana).

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2 Commenti

  1. Pg 3 luglio 2024
  2. Fabio Cittadini 3 luglio 2024

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