Il 16 dicembre 1989 insorge Timișoara, la capitale del Banato, dove è metropolita ortodosso Nicolae Corneanu. Le omelie e gli interventi del pastore protestante, László Tőkés, richiamano migliaia di persone, soprattutto giovani, che, fiaccola in mano, invadono le strade e le piazze della città.
Intervengono polizia ed esercito, ma la gente non molla. E gli attacchi alla dittatura di Ceaușescu incutono paura ai gerarchi comunisti.
Ma chi era Nicolae Ceaușescu? Nato il 26 gennaio 1918 a Scornicești, militò nel partito comunista fin dal 1933 e fu incarcerato durante il regno di Carol II (1936-39) e la dittatura di I. Antonescu (1940-44). Eletto deputato all’assemblea nazionale del 1946, divenne il più stretto collaboratore di G. Georghiu-Dej, al quale succedette al vertice del Partito comunista romeno nel 1965.
Divenne capo dello Stato nel 1967, avviando il “nuovo corso romeno”, distaccandosi dall’URSS in politica estera e avvicinandosi alla Cina e ai Paesi dell’Europa occidentale.
Irritarono Mosca e i suoi alleati la condanna della repressione in Cecoslovacchia nel 1968 e l’apertura di negoziati diretti con gli USA. Nel 1974 assunse anche la carica di presidente della Repubblica. All’interno condusse una politica accentratrice e repressiva, imponendo il culto della propria personalità. Travolto da un’insurrezione popolare, orchestrata forse dai suoi stessi collaboratori e avallata da Mosca, il 25 dicembre dell’89 venne fucilato con la moglie Elena, fosca e crudele figura, dopo un sommario processo a Târgoviște.
Le manifestazioni di protesta con scontri, morti e feriti, continuarono nei giorni successivi. Il 20 dicembre, ritornato precipitosamente dall’Iran, Ceaușescu deve affrontare un popolo in rivolta. In centomila invadono le piazze di Bucarest gridando slogan contro il regime, bruciando le bandiere con il simbolo del comunismo.
Il Santo Sinodo e il tiranno
Il 20 dicembre, la stampa, in pieno clima di manifestazioni contro la dittatura, fa conoscere il telegramma di congratulazioni inviato dal Santo Sinodo il 17 dicembre al tiranno per la sua rielezione a segretario generale del partito comunista avvenuta il 27 novembre. Un gesto protocollare, mi dicono esponenti del Sinodo, che non intendeva avallare la politica del dittatore. Ma questo telegramma dà inizio a una spietata campagna denigratoria contro i vertici della Chiesa ortodossa abilmente orchestrata da alcuni membri della Chiesa stessa.
Il 22 dicembre cade Ceaușescu. Il segretario del Santo Sinodo, il vescovo Nifon, rivolge ai romeni un breve messaggio radio-televisivo invitandoli a ringraziare il Signore per la libertà riconquistata e informa che la Chiesa ortodossa è a fianco del popolo in lotta e aderisce al Consiglio del Fronte di Salvezza Nazionale.
Lo stesso patriarca Teoctist, la sera del 22 dicembre, appare in televisione e manifesta la sua adesione al Consiglio del Fronte. Alcuni giorni dopo, il patriarca lancia un appello alla popolazione, ribadendo la stima nei confronti del Fronte. Con una lettera pastorale riafferma che la Chiesa sta con in popolo in rivolta e descrive l’epoca di Ceaușescu come la più infamante della storia della Romania.
Nei primi giorni di gennaio 1990, lo scrittore Alexandru Paleologu attacca il patriarca e propone le sue dimissioni per avere sostenuto la politica di Ceaușescu che, in un articolo su România literarà, definisce «il servitore dell’Anticristo». Si susseguono gli interventi di intellettuali, scrittori e giornalisti che chiedono le dimissioni immediate del patriarca.
La sera del 9 gennaio, si costituisce un Gruppo di riflessione per il rinnovamento della Chiesa ortodossa, composto per lo più da persone che, approfittando del momento, hanno di mira la carriera ecclesiastica. Tra queste l’attuale patriarca Daniel Ciobotea. Il 10 gennaio, il Gruppo incontra il patriarca Teoctist e i metropoliti membri del Sinodo permanente. Vengono accolte le proposte di cambiamento e di rinnovamento della gerarchia ortodossa.
Ma la sera stessa su România Liberă il giornalista Petre Mihai Băcanu non solo ritorna a chiedere le dimissioni del patriarca, ma dell’intero Santo Sinodo, proponendo la costituzione di un nuovo Santo Sinodo.
L’11 gennaio la Romania si ferma per piangere i morti dell’insurrezione. Alla cerimonia sono presenti il presidente del Fronte, l’ambiguo Ion Iliescu, ritenuto l’artefice della caduta di Ceaușescu con l’aiuto del KGB sovietico, e il primo ministro Roman.
La funzione religiosa viene trasmessa dalla televisione ed è presieduta da Anania, un monaco, che griderà davanti al palazzo patriarcale: «Teoctist, dimettiti!». È uno schiaffo a Teoctist e al Sinodo, che il 13 gennaio fanno conoscere una “nota” di protesta, ignorata dai mass-media, che difende l’operato della Chiesa in tempi drammatici.
Che cosa pensava Teoctist di Ceaușescu e dei suoi crimini? Me lo disse la sera del 15 gennaio 1990, mentre, sotto le sue finestre, la gente chiedeva le sue dimissioni: «Ero a conoscenza dei crimini, come del resto tutto il popolo, e li ho sempre condannati. Più che un dittatore era un criminale. Non abbiamo parole per ringraziare Dio di avere abbattuto il tiranno».
Le dimissioni di Teoctist
Il 18 gennaio si apre la seduta straordinaria del Santo Sinodo alla presenza del ministro dei culti. Teoctist chiede al Sinodo di poter rassegnare le dimissioni a motivo della sua salute e della sua età avanzata. Il Sinodo ne prende atto. È lo stesso ministro dei culti e il prof. Galeriu che alla folla inferocita annunciano le dimissioni del patriarca.
La sera, un gruppo di studenti riesce ad entrare nel palazzo patriarcale. Teoctist ha deposto la veste bianca, non ha nessun segno patriarcale, è semplicemente vestito di nero. Mi passa accanto e mi abbraccia. Ricordo con commozione le parole rivolte agli studenti: «Mi sono dato da fare perché voi studenti aveste una casa, un istituto per studiare. Ora io non ho una casa e neppure una pietra dove posare il capo». Consegna agli studenti una piccola immagine con la firma e la data: 18 gennaio 1990. Il vecchio patriarca, mentre qualche studente ha gli occhi lucidi, ritorna nell’aula sinodale.
Teoctist veniva dalla regione di Botoșani, paradiso di monasteri. Penultimo di nove figli, era nato il 7 febbraio 1915. Eletto il 9 novembre 1986, era stato intronizzato il 16 novembre. Era il quinto patriarca della Chiesa ortodossa romena.
Quando vado a Bucarest, non manco di soffermarmi davanti alla sua tomba. Uomo affabile, attento ai fermenti del mondo ortodosso e aperto alle altre Chiese, cultore appassionato della tradizione e della storia del popolo romeno.
Morte dell’informazione alternativa
L’informazione nelle mani di pochi fa passare solo i suoi uniformati messaggi. Fermi al bianco o nero, svuotati di un’autentica, vissuta, ricerca, di un’autentica condivisione. Bisogna con urgenza realizzare reti formative e informative alternative, dal basso. Il pensiero unico sta spegnendo, schiavizzando, la gente. Non lo si tocca con mano? La società va in ogni campo verso il crollo e nessuno può fare nulla perché tutto è in mano ai meccanicismi degli apparati.