Il 18 febbraio abbiamo pubblicato la prima parte dell’intervista alla giornalista russa Anna Zafesova (qui). In essa le domande vertevano sulla situazione della Russia a un anno dall’inizio del conflitto russo-ucraino. In questa seconda parte, sempre a cura di Giordano Cavallari, la giornalista risponde alle domande sulla presenza e sulla consistenza al regime instaurato da Vladimir Putin.
– Gentile Anna, esiste un’opposizione politica organizzata al regime di Putin?
Esiste una galassia di dissidenti, di cui l’esponente di maggiore spicco è sicuramente Aleksej Naval’nyj. Si tratta di figure nate e formatesi nel mondo post-sovietico e post-comunista. Sono quindi persone abbastanza giovani che conoscono l’occidente e il mondo globale. Queste vorrebbero una Russia parte dell’Europa e dell’Occidente per cultura e sistema politico.
Hanno manifestato il loro attivismo soprattutto nelle grandi città, specie a Mosca, salendo alla ribalta nel 2011/2012, alla fine della presidenza di Dmitri Mevedev, ossia nel periodo di relativa libertà – ritenuta evidentemente eccessiva – che ha portato al rientro di Putin al Cremlino nella sua versione più nazionalista e conservatrice.
Questi dissidenti hanno avuto in passato contatti con forze politiche europee e occidentali, nel tentativo di introdurre in Russia il normale confronto tra partiti. Nel frattempo le elezioni in Russia sono divenute, invece, sempre più una farsa.
Ora stanno resistendo dando vita a un dissenso paragonabile a quello dei tempi sovietici – alla Sacharov per intenderci –, mostrando di credere in alcuni valori fondamentali fino al sacrificio di sé, come ha fatto vedere, recentemente, il giovane Ilya Yashin (qui il suo discorso al tribunale che lo ha condannato), peraltro sul modello dello stesso Aleksej Naval’nyj: questo vuol dire andare consapevolmente incontro all’arresto, al processo, alla condanna e alla carcerazione. La loro lotta politica coincide con la loro testimonianza personale.
Aleksej Naval’nyj
– Ravvisa elementi di religiosità o di spiritualità nel profilo di questi dissidenti politici?
Le figure a cui faccio riferimento sono rigorosamente laiche nel senso che non fanno capo ad alcuna corrente religiosa organizzata o, tanto meno, istituzionale. Com’è noto, la chiesa ortodossa russa sostiene totalmente Putin ed è, perciò, contraria ad ogni forma di opposizione e di contestazione a lui e al suo governo.
Tuttavia, Aleksej Naval’nyj si dichiara pubblicamente credente, dice di aspirare ad essere un buon cristiano, di adottare una morale cristiana e di ispirarsi al vangelo anche per la sua lotta politica. E ammette pure di essere – proprio per questo motivo – guardato con scetticismo e sospetto da una buona parte del suo stesso seguito, prevalentemente laico e/o del tutto ateo.
Non ho mai sentito discorsi riferibili alla religione da parte di altri oppositori e dissidenti politici. Lo stesso Naval’nyj non ne ha mai fatti in veste di oppositore politico.
– Naval’nyj, così come altri oppositori, coltiva comunque sentimenti nazionalisti?
Naval’nyj non è mai stato nazionalista. Vero è che – con il pragmatismo politico che lo distingue – una volta uscito, all’epoca, da un partito di stampo liberale, ha cercato appoggio in ambienti nazionalisti, considerandoli un possibile bacino di protesta allargata. Sto parlando di anni fa, quando il potenziale di protesta in Russia si stava azzerando e i liberali scendevano in piazza con i nazional-bolscevichi. È stata una scelta senz’altro discutibile, da cui Naval’nyj ha preso in seguito le distanze.
Ciò non basta per sostenere che Naval’nyj sia un nazionalista. Semmai, tale definizione è stata usata contro di lui, dalla propaganda putiniana.
Ricordo che, alcuni anni fa, sono comparsi due filmati – di pessimo gusto – in cui Naval’nyj attaccava l’islam: mostravano un Naval’nyj oggi quasi irriconoscibile per l’età giovanile, impegnato a stigmatizzare i terroristi islamici definendoli “scarafaggi”. Lo stesso Naval’nyj non ha mai cancellato quei filmati dai suoi social, ammettendo di aver fatto un grosso errore.
È stata perciò montata una campagna ben organizzata contro lui, tanto che Amnesty International, che prima lo aveva riconosciuto un detenuto politico vittima del regime, poi gli aveva tolto tale riconoscimento, salvo, poi, nel giro di una settimana, restituirglielo al sollevarsi delle proteste internazionali e delle manifeste prove della campagna denigratoria nei suoi confronti.
– Intendo riferirmi proprio a quel fatto…
Il caso ha generato non poco imbarazzo anche in Amnesty. Una dirigente si era dimessa, quando è venuta alla luce la trama che, attraverso l’Europa, collegava una rete di estrema sinistra americana ad affiliati del Cremlino. Coi social è molto facile creare e smontare reputazioni. Il regime russo è maestro in questo.
– Lei cosa pensa veramente Naval’nyj?
Ci sono effettivamente sue dichiarazioni che, ascoltate dall’Europa, giudicheremmo di “destra”, per quanto riguarda, ad esempio, l’emigrazione dall’Asia centrale. In Russia, infatti, c’è un massiccio impiego di manodopera proveniente dalle Repubbliche ex sovietiche asiatiche. Questa manodopera viene utilizzata nei lavori più umili, in condizioni assolutamente scandalose per illegalità e maltrattamenti.
Naval’nyj – stiamo parlando di più di 15 anni fa – aveva proposto di limitare l’immigrazione da quei Paesi e di regolarizzarla introducendo visti e permessi di soggiorno: posizioni – queste – che potremmo assimilare tranquillamente a quelle parlamentari delle destre americane ed europee. In quel contesto il nazionalismo c’entrava ben poco.
Francamente, non ricordo affermazioni di tipo suprematista di Naval’nyj. La sua posizione era quella di regolarizzare il fenomeno per la tutela dei diritti degli immigrati. Si dice anche che sia omofobo. Ma io non ho mai sentito nulla di omofobo uscire dalla sua bocca.
Tra l’altro, è stato lui l’artefice dell’arresto di uno dei principali esponenti ultranazionalisti russi, cosa che questi non gli hanno perdonato, ricordando che era stato proprio Naval’nyj, negli anni 2007–2008, ad aver organizzato dibattiti, a Mosca, tra esponenti dei vari gruppi politici, inclusi quelli ultranazionalisti.
Quei dibatti erano finiti piuttosto male, con la denuncia, da parte di Naval’nyj, di un signore soprannominato “Mannaia”, del quale circolano tuttora in rete filmati in cui appare mentre decapita i tagiki: non sono sicura dell’autenticità di tali filmati, ma il sospetto è che, almeno alcuni, siano davvero autentici.
È stato dunque Naval’nyj a denunciare quel personaggio alle autorità: denuncia che, alla fine, ha comportato la sua condanna. “Mannaia” è morto in carcere un paio d’anni fa, in circostanze a dir poco sospette.
Escludo, quindi, che Naval’nyj possa essere definito un nazionalista. Ha cercato piuttosto, negli anni scorsi, contatti nell’ambiente del nazionalismo, per coinvolgerlo nella sua lotta politica. Per il resto, ha sempre dichiarato – e dichiara tuttora dal carcere – di volere una Russia europea, che condivida i valori e gli assetti europei.
Mikhail Shishkin
– Lei conosce Mikhail Shishkin – oppositore in Europa –, autore del volume “Russki mir: guerra o pace”?
L’ho incrociato in qualche festival di letteratura in Europa, ma non posso dire di conoscerlo. È uno dei non pochi intellettuali, molto attivi e senz’altro bravissimi, che si ritrovano in esilio. Il problema è proprio questo: sono in esilio e sono piuttosto isolati. Stanno pubblicando tantissimo in questi mesi. Sono impegnati anche in un confronto a distanza con la Russia, su ciò che essa è e potrebbe divenire.
È in atto un dibattito di carattere storico, molto interessante, sulla supposta vocazione imperiale russa e su quanto si possa fare per ripulire la Russia da tale mentalità. È un dibattito ancora molto faticoso, sostanzialmente di élite, ancora lontano dall’incidere sull’opinione pubblica.
Detto questo, ritengo che Mikhail Shishkin sia assolutamente da leggere per le sue riflessioni molto amare e persino spietate su di sé, sui russi, sulla Russia, sul suo passato, sul suo presente e sul suo possibile futuro. Soprattutto i russi dovrebbero leggerlo. Ma in Russia Mikhail Shishkin non può entrare…
– Ci sono intellettuali critici anche dentro la Russia?
Certamente non mancano bravissimi scrittori e menti eccelse. Sul piano intellettuale si nota una certa spaccatura. Ad esempio, guardando le trasmissioni televisive di Capodanno – molto seguite in Russia –, ho notato l’assenza di certi cantanti e artisti famosi, solitamente presenti: è come se dal pantheon televisivo italiano fossero improvvisamente uscite le star più note.
Nel caso russo, ciò è avvenuto perché quegli artisti non sono sostenitori della guerra in Ucraina o perché se ne sono andati dalla Russia. Si finge che non esistano più. Si sta persino programmando di far scomparire dal mercato i loro dischi o i loro film, in circolazione da anni.
Esiste un’«altra Russia»?
– Ma esiste allora un’altra Russia?
Certo che esiste un’altra Russia! Ma è una Russia che, in buona misura, non è più in Russia o non si esprime in Russia: come è avvenuto dopo il 1917.
C’è, ad esempio, una cantante russa, Liza Monetochka, poco più che ventenne, molto popolare. Ha preso una posizione molto netta contro la guerra, a sostegno dell’Ucraina. Raccoglie soldi per l’Ucraina, cosa che molti russi, anche dissidenti del regime, non fanno, perché, pur condannando la guerra, ritengono immorale aiutare il “nemico”: vorrebbero che la guerra finisse presto, ma non vogliono aiutare gli ucraini, senza rendersi conto che condannare la guerra senza schierarsi con la parte lesa, cioè con gli ucraini, non basta per prendere veramente le distanze dalla guerra.
Quella cantante è stata dichiarata da Mosca “agente straniero”, cioè sostanzialmente “nemico del popolo”. Ora vive all’estero. Ha cancellato tutti i suoi concerti in Russia e dà concerti nei luoghi ove vive la diaspora russa: nei Paesi baltici, in Turchia, in Georgia o in Germania.
Un altro personaggio famoso in Russia, Maksim Galkin, un comico molto noto che aveva condotto uno spettacolo di Capodanno del 2014 proprio insieme a Zelensky, anch’egli allora attore comico, è stato dichiarato “agente straniero” e si trova in esilio. Contro di lui è stata aperta una pratica penale come “traditore della Russia”. Oggi riempie le platee in Israele, piuttosto che a Berlino o a Riga, platee che capiscono e che parlano il russo, che applaudono e che condividono quello che dice. Dal palcoscenico grida: «Gloria all’Ucraina!», senza nascondere per nulla la sua posizione.
Qualcuno oggi dice che potrebbe essere proprio lui il prossimo presidente russo: un comico che diventa presidente di un Paese da reinventare, proprio come è avvenuto per Zelensky in Ucraina.
Ma sto sempre parlando pur sempre di una Russia costretta a scappare, nella diaspora.
– Quando questa guerra, in qualche modo, sarà finita, cosa potrà accadere in Russia?
Dipende da come e quando finirà la guerra, naturalmente. Il rischio è che il regime nazionalista sopravviva a Putin, per anni. Questo significa che l’altra Russia resterà in diaspora e che, come ogni diaspora che resta a lungo in altri Paesi, sarà destinata all’assimilazione e quindi all’estinzione, così come è avvenuto alla Russia bianca emigrata dal 1917 in poi.
In Russia resterà una parte silente, più o meno nascosta, attenta ad ascoltare e a leggere ciò che avviene e ciò che, nel mondo, si pensa dei russi. Persino nella Russia stalinista – e più ancora in quella brezneviana – si ascoltava, si leggeva, si cercava di seguire clandestinamente il portato dell’altra Russia. Penso a Solgenitsyn. Penso a tanti altri grandi, quali Vladimir Maksimov o Vladimir Ivanovič o altri ancora fuggiti dalla Russia negli anni ’70 e ’80. Allora si era generata una Russia – al di fuori della Russia – capace di guardare dentro la Russia, ma senza la possibilità di incidere nella sua vita culturale e politica.
Secondo me, c’è il rischio che quest’altra Russia – quella che, da occidente, preferiamo e riconosciamo come parte della nostra stessa cultura e dei nostri stessi valori – venga sradicata e dispersa.
Com’è noto, la chiesa ortodossa russa sostiene totalmente Putin ed è, perciò, contraria ad ogni forma di opposizione e di contestazione a lui e al suo governo
il Patriarcato di Mosca ormai è l’equivalente russo dello Shintoismo di Stato