Il risultato era prevedibile, ma non scontato. I russi hanno approvato la nuova Costituzione col 77,9% di voti favorevoli e 21,9% contrari. La partecipazione al voto è stata in linea con le precedenti scadenze elettorali, cioè il 65%.
Anche se la consultazione non aveva possibilità di invalidare la Costituzione già approvata dalla Duma (il parlamento) e dai parlamenti locali – non si tratta di una referendum secondo la tradizione occidentale –, essa tuttavia legittima il potere di Vladimir Putin, la sua autorevolezza e popolarità, dandogli mandato di decidere in ordine al prolungamento della sua presenza o relativamente alla sua successione.
Non sono mancate le denunce di frodi o di doppio voto (si votava dal 25 giugno al 1° luglio).
La domanda della consultazione era generica. Essa comprendeva l’insieme di tutti i 200 emendamenti (riguardanti 45 articoli su 137), non faceva alcun riferimento alla durata dei mandati del presidente e all’azzeramento di quelli compiuti finora, si chiedeva un sì o un no, semplicemente.
Nelle campagne e in Siberia, con la scusa del virus e a difficoltà di spostamenti e assembramenti, la consultazione si è svolta “a domicilio”. Brigate di ufficiali si recavano nei cortili, negli androni dei grandi condomini, nelle piazze e nelle strade per raccogliere le risposte.
La riforma trascolora
Nonostante la registrazione nelle indagini sociologiche del calo della popolarità del presidente (da 80% a 60%), l’operazione elettorale è riuscita e permette a Putin di avviare il complesso processo per il prolungamento e la successione al potere.
Il processo di riforma costituzionale, avviato il 15 gennaio scorso, ha visto una prima approvazione il 23 gennaio. È seguito il lavoro di un apposito comitato dove le competenze giuridiche erano scarsissime, che ha approntato 24 pagine di modifiche.
Il secondo voto della Duma è avvenuto il 10 marzo e si è ipotizzato di sottoporre il testo al voto popolare il 22 di aprile, poi scivolato al 1° luglio a causa del Covid-19.
Testo e procedure hanno permesso di rinnovare il patto sociale su cui si regge il potere del governo, grazie a una serie di attenzioni. Anzitutto a livello di stato sociale, indicizzazione delle pensioni, riconoscimento dei diritti dei lavoratori.
E poi su una serie di altri elementi di facile presa. Fra questi una rilettura storica della seconda guerra mondiale che libera la Russia da ogni compromesso e fragilità, la blindatura del territorio attuale a garanzia in particolare dell’occupazione della Crimea, il riconoscimento del popolo russo come costitutivo dello stato, l’affermazione della famiglia tradizionale contro ogni apertura verso le convivenze omosessuali, il rifiuto di intromissioni di poteri giuridici internazionali e un parziale riequilibro dei poteri dello stato.
Fra i temi più discussi vi è il riferimento espresso a Dio, a garanzia del ruolo della Chiesa ortodossa e, in generale, per ostacolare più la laicità che l’affermazione ateistica.
In pochi mesi Putin è passato da un’ipotesi di passaggio verso altri candidati riservandosi il ruolo di “padre nobile”, alla riaffermazione del proprio potere personale. «Mille volte Putin aveva promesso che non avrebbe toccato la Costituzione per restare al potere? È esattamente quello che ha fatto» (La Croix, 1° luglio). Prima parla di un rafforzamento del regime parlamentare, poi azzera i precedenti mandati per potersi candidare di nuovo.
Lo zar e i suoi uomini
Il tutto regge su un complesso sistema di potere e di alleanze che vede via via il premio verso le correnti tradizionaliste, slavofile, liberali, filo-occidentali. A seconda delle necessità.
Fino al suo terzo mandato, il governo di Putin è stato caratterizzato dall’influsso di una dozzina di uomini che avevano lavorato con lui nel KGB o nell’amministrazione di San Pietroburgo, il cosiddetto “collettivo o politburo di Putin”. Un gruppo pressoché intoccabile. Ma il licenziamento, nel 2015, di V. Yakunin, capo delle ferrovie russe, seguito da vari altri, ha messo fine a quella stagione.
Negli ultimi 2-3 anni la politica russa è diventata sempre più uno spettacolo personale del presidente. Per alcuni analisti ha abbandonato il modello di leadership collettiva tradizionale verso un esercizio solitario del potere.
Nell’estate del 2016 ha creato l’onnipotente Guardia Nazionale, composta da 400.000 unità e gestita dalla sua ex superguardia del corpo, Viktor Zolotov. Sotto il suo diretto comando.
Il passaggio di metodo di governo è avvenuto per la scelta che Putin ha fatto di uscire dalla “cleptocrazia” degli oligarchi per ripristinare lo status di grande potenza della Russia. Cioè il passaggio di visione da uno stato marginale e una nazione ricollocata al suo posto nel mondo. I suoi collaboratori attuali sono giovani tecnocrati, preparati e fedeli, che gli consentono un governo solitario e la coltivazione del sogno della grande Russia.
Ma lo zar dovrà fare i conti con la crisi economica indotta dal Covd-19, la serpeggiante instabilità politica e il pericolo ricorrente di rivolte sociali. Una certa fiducia nel capo, che saprà tirar fuori il paese dal caos latente, resiste ancora. Anche nell’ultima consultazione. Sarà sufficiente?