Al clamore tambureggiante delle parole a sostegno della guerra della dirigenza della Chiesa ortodossa russa si accompagna una flebile, ma importante, voce che invoca la pace. Sia diretta, che indiretta.
La Nuova Europa riporta nella sua edizione dell’8 gennaio una dichiarazione di un gruppo di cristiani russi, «nato spontaneamente dalla base» e «nitidamente evangelico». Non si conoscono i nomi ma i volti appaiono nel video che accompagna il testo. La data è quella del 25 dicembre. Contrappongono alla relativa serenità della preparazione del Natale ortodosso in Russia la condizione degli ucraini.
Nel paese confinante, l’Ucraina, c’è la guerra, scatenata dal nostro governo; gli abitanti sono rimasti senza luce, senza riscaldamento, molti senza famiglia. Anche loro facevano piani per quest’anno, anche loro volevano far festa e anche loro credevano in un miracolo. Ma il nostro paese gli ha portato la guerra in casa, e adesso per loro scaldarsi un po’ e ricaricare il cellulare è già una festa.
Non uccidere!
A tutti i cristiani delle diverse confessioni ricordano l’imperatività del comandamento «non uccidere», il riconoscimento che l’aggressione militare della Russia è un delitto contro la legge divina e che i crimini, reali o immaginari, degli altri non giustificano i propri.
Con grande amarezza prendiamo atto che la stragrande maggioranza delle comunità cristiane in Russia non ritiene necessario o importante alzare la propria voce a difesa degli innocenti e denunciare l’illegalità. Siamo inorriditi dal fatto che molti ministri delle Chiese e teologi, nel tentativo di giustificare l’invasione, distorcono il significato delle Sacre Scritture e respingono come qualcosa di superfluo e irrilevante i precetti del discorso della montagna.
Stimolano a non chiudersi nei propri interessi, alla insistente preghiera per la pace, alla denuncia del male, alla resistenza non violenta rispetto alla mobilitazione, all’aiuto umanitario.
Solo nei primi giorni della guerra si era registrata una voce simile. Circa 300 sacerdoti della Chiesa ortodossa russa avevano lanciato un appello per la cessazione delle ostilità e la riconciliazione. Essi scrivevano:
Siamo addolorati per il calvario che immeritatamente stanno subendo i nostri fratelli e sorelle in Ucraina. Affermiamo che la vita di ogni singola persona è un dono inestimabile e irripetibile di Dio e perciò desideriamo che tutti i combattenti – russi e ucraini – tornino sani e salvi alle loro case e alle loro famiglie. Pensiamo con amarezza al baratro che i nostri figli e nipoti dovranno superare, in Russia e in Ucraina, per tornare a guardarsi come amici, per tornare a stimarsi e a volersi bene (La Nuova Europa, 4 marzo 2022).
Negare
Ci sono anche segnali indiretti di resistenza alla guerra, riconoscibili nelle parole gonfie di potere dei sostenitori del conflitto. È lo stesso patriarca Cirillo che, nel rapporto annuale all’assemblea diocesana il 22 dicembre è costretto a riconoscere che «c’è chi prende le distanze dalle decisioni dello stato o addirittura lascia la propria patria».
Accenna al dissenso nel clero quando invita i parroci a non discostarsi dalla posizione della Chiesa. Nel caso in cui il prete non condivida l’indirizzo bellico ha il dovere di inviare i parrocchiani a preti più convinti. Deve tuttavia ammettere «che molte persone, anche tra i nostri parrocchiani sono oggi in subbuglio», inquiete per le notizie dal fronte e per le difficoltà quotidiane.
Ancora più esplicito nel negare legittimità alla critica alla guerra è il responsabile del dipartimento sinodale per i rapporti della Chiesa con la società e i media, Vladimir Romanovich Legoyda:
Il sacerdote è chiamato ad unire le persone, qualunque sia il suo punto di vista, anche nella situazione attuale. Se un prete si mette a capo della divisione della sua parrocchia o della Chiesa nel suo insieme, allora evidentemente la sua vocazione non è quella del pastore, ma del politico. Questo è molto triste, soprattutto perché in ogni celebrazione preghiamo per la pace e la fine della divisione fratricida». E continua: «Il pacifismo non è un dogma religioso, ma una ideologia politica che, nonostante le dichiarazioni, spesso è solo divisivo. La Chiesa non si è mai associata a nessuna corrente politica, compresa questa (RIA Novosti, 7 gennaio 2023).