La Russia, senza troppo clamore, sta proseguendo la sua campagna di penetrazione in Africa. La costruzione di una base militare navale in Sudan è l’ultimo capitolo e, con molta probabilità, non sarà l’ultimo. La nuova base – che sorgerà a Port Sudan, da sempre una porta di ingresso dell’Africa per molte potenze internazionali – potrà ospitare quattro navi da guerra, in particolare quelle a propulsione nucleare, e fino a 300 uomini tra militari e civili. Questa sarà la prima base di Mosca in Africa sul modello di quella di Tartus in Siria.
Una valanga di armi
La Russia ha una lunga storia di cooperazione militare con il Sudan. Ai tempi della Guerra fredda, l’Unione Sovietica aveva fornito armi alle forze armate sudanesi. Il commercio di armamenti si era poi ridotto dopo la caduta dell’Urss, ma Mosca non è mai scomparsa. Il deposto Omar al-Bashir, durante le rivolte che lo hanno cacciato, ha chiesto aiuto proprio Mosca, che ha invitato i famosi mercenari Wagner. Invio sempre smentito da Putin. Ma la nuova base si pone in una posizione strategia: sul Mar Rosso, crocevia tra Europa e Asia.
Questo è solo l’ultimo capitolo. Mosca, infatti, ha firmato accordi di cooperazione militare con 24 Paesi africani e fornisce armi, hardware militare e addestramento. Ora è il primo fornitore di armamenti controllando il 35 per cento del mercato locale davanti a Cina, Stati Uniti e Paesi europei. Il portafoglio di ordini di armi russe dall’Africa, dunque, è in costante crescita. Il capo del servizio federale russo per la cooperazione tecnico-militare (FSMTC), Dimitriy Shugaev, ha spiegato che si «tratta di cifre significative, specialmente perché il trend è in crescita». E il Sudan ne è un esempio.
Un’attenzione molto concentrata sul Corno d’Africa, tanto che il vicedirettore del FSMTC, Anatoly Punchuk, ha svelato che «l’Eritrea esprime attivamente il suo interesse a riprendere una cooperazione a pieno titolo nel settore della difesa con la Russia. L’Eritrea è infatti interessata all’acquisto di armi: navi, elicotteri e armi leggere».
Non solo Corno d’Africa
Ma l’interesse russo si estende a molti altri Paesi. La Repubblica Centrafricana, di fatto, fa affidamento quasi totale sulla collaborazione con Mosca, affidandogli persino la sicurezza del presidente. Bangui, la capitale, brulica di consiglieri, militari, ma soprattutto mercenari russi. Ma vi sono altri Paesi, strategicamente rilevanti, con i quali sono stati stretti rapporti di collaborazione: Angola, Namibia, Mozambico, Etiopia e Zimbabwe. Ma non solo: Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso e Mauritania.
Gli accordi si sviluppano in ambito minerario, di cooperazione militare, e per stabilire zone economiche di libero scambio. L’opzione di Mosca, a differenza di quella della Cina – solo per fare un esempio – è stata quella di rafforzare la presenza militare per poi passare all’incasso, anche in termini di risorse naturali. L’interesse militare si giustifica, inoltre, con il fatto che il Cremlino è consapevole della sua marginalità nei mercati africani e di non poter competere con l’espansionismo cinese.
Le armi, quelle vere, per Mosca, tuttavia, funzionano ancora. Ma è del tutto evidente che l’aiuto militare è subordinato, nel futuro, ad avere un ruolo anche nelle materie prime e nel suo sfruttamento. Non a caso il paradigma di collaborazione con l’Unione africana, emerso dal forum Russia-Africa, che Putin vuole, mira a migliorare i rapporti esistenti, rafforzare i legami diplomatici e aumentare la sua presenza economica nel continente, per avvicinarsi agli elevati livelli di scambi commerciali che caratterizzano Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Turchia, Europa e Stati Uniti.
Putin il “civilizzatore”
La retorica di Putin definisce la sua agenda per l’Africa «positiva» e si contrappone, a detta sua, ai «giochi geopolitici» degli altri: la Russia non è interessata, dice, a depredare la ricchezza dell’Africa, ma a lavorare a favore di una cooperazione «civilizzata». Parola, questa, già usata da coloro che hanno colonizzato il continente. Date le premesse, come si spiega la costruzione di una base militare di enorme rilievo, proprio nel Corno d’Africa, che brulica di potenze straniere? La retorica, in questo caso, vale poco. Un “paradigma” comincia a concretizzarsi.
Anatoly Bashkin, ambasciatore russo in Camerun, si è detto interessato – per conto del suo Paese – al settore petrolifero e del gas camerunense. Un interesse manifestato più volte durante gli incontri ufficiali e meno ufficiali con il governo e i ministri competenti del Camerun, già a partire dal 2019 e proseguito nel 2020, per mettere a punto il piano strategico. La Russia aveva già espresso questo interesse per l’estrazione e la raffinazione del petrolio e del gas naturale in Camerun, ma non ha portato a termine i propri propositi a causa del crollo dei prezzi energetici sul mercato globale.
Ma le basi sono state posate. I tempi, ora, sembrano essere più favorevoli per una partnership: Mosca, attraverso gli accordi militari, mira a rafforzare per esempio la collaborazione in tema di nucleare con numerosi Paesi e a espandere quella dell’estrazione di metalli pregiati usati per la produzione di tecnologia avanzata e di precisione. Non è, inoltre, da trascurare, la presenza in Namibia dove la Russia è impegnata nell’estrazione dell’uranio e in Angola nel settore diamantifero. Da qui, dall’Africa, Putin vuole ripartire per lanciare la sua sfida e tornare a vantare il ruolo di potenza mondiale.
- Rivista Africa, 22 novembre 2020