L’annessione dei territori del Donbass alla Federazione Russa dopo un referendum di nessuna affidabilità democratica (23-27 settembre) provoca l’allontanamento delle diocesi interessate dalla Chiesa ortodossa di Onufrio (filo-russa), la crescita del sospetto delle altre Chiese (ortodosse e cattoliche) nei confronti di quest’ultima e l’irritazione del potere politico ucraino che si avvia a una legislazione restrittiva e forse punitiva. Si riapre l’interrogativo su quale sarà il panorama delle Chiese nel paese all’indomani della guerra.
Nella sala San Giorgio del Cremlino il 30 settembre il presidente della Federazione Russa e i rappresentanti delle aree del Donbass (Donetsk, Luhansk, Zaporozhye e Kherson) hanno firmato l’atto di ammissione di quei territori alla Federazione. Fra le centinaia dei presenti vi erano i rappresentanti del patriarcato di Mosca, ma anche tre esponenti locali della Chiesa ortodossa ucraina filo-russa di Onufrio.
Essa ha immediatamente riaffermato il suo sostegno «completo e incondizionato» alla sovranità e integrità dello stato: «I gesti di alcuni membri del clero che non si adeguano all’indirizzo ufficiale della Chiesa esprimono la loro scelta politica personale di cui portano ogni responsabilità in quanto cittadini ucraini».
Molto dura la reazione del governo. Il consigliere del presidente Zelensky, Mikail Podolyak, ha detto che i cittadini ucraini presenti al Cremlino sono da considerarsi collaborazionisti con l’esercito invasore e quindi vanno perseguiti e incarcerati. E «questo vale anche per i rappresentanti della Chiesa ortodossa ucraina» filo-russa. Il parlamento ucraino è sollecitato a chiarire per legge la configurazione delle Chiese dopo la guerra.
Donbass territorio canonico russo
Il consiglio pan-ucraino delle Chiese e delle fedi, organo che rappresenta 15 Chiese e gruppi religiosi e cioè il 95% dei credenti del paese, si era espresso in termini netti contro l’organizzazione dei referendum. Essi violano i diritti dei cittadini, umiliano le persone e non hanno alcun riconoscimento internazionale. Lo stato russo deve rinunciare al «piano criminale di annessione».
Il suo comportamento è inconciliabile con i valori del cristianesimo, dell’islam e dell’ebraismo. Il primate della Chiesa ucraina autocefala (legata a Costantinopoli), Epifanio, denuncia l’ennesima prova dell’“ortodossismo” della Chiesa russa che ha paganizzato la tradizione ortodossa rendendola una religione a vantaggio del potere, quella che Putin evocava in un discorso a Kiev del luglio 2013: «La nostra unità spirituale è così salda da non risentire di alcuna iniziativa da parte di alcuna autorità: né di quelle governative, né, oserei dire, di quelle ecclesiastiche. Infatti, qualunque autorità guidi il popolo, nessuna può essere più forte di quella del Signore. Nulla può esserlo».
Prima dell’aggressione russa su una popolazione di 44 milioni si accreditava il 62% agli ortodossi, il 9,5% ai greco-cattolici (detti anche uniati), l’1,2% ai cattolici di rito latino, l’8,9% ai “senza denominazione confessionale”, il 15,2% agli a-religiosi. All’interno del 62% degli ortodossi, il 18,6% affermava di appartenere alla Chiesa autocefala di Epifanio, il 13,6% alla Chiesa ortodossa filo-russa di Onufrio, il 2,3% alla Chiesa di Filarete (distinta da quella di Epifanio e contrapposta a quella di Onufrio).
Attualmente, sul tema dell’annessione del Donbass alla Russia tutte e tre le Chiese sono schierate per l’unità nazionale, contro la Russia di Putin e la Chiesa ortodossa moscovita.
La Chiesa ortodossa di Onufrio, filo-russa, è quella più esposta, nonostante la decisione di un concilio frettolosamente radunato che, il 27 maggio scorso, si è pronunciato per una totale autonomia rispetto a Mosca su una piattaforma molto simile all’autocefalia.
Una scelta che ha rovesciato la tradizionale vicinanza al patriarcato russo e ha costretto ad emarginare diverse figure ancorate all’obbedienza russa, accelerando un’appartenenza chiaramente nazionale. Operazione conclusa sull’enorme spinta identitaria prodotta dalla guerra contro la Russia, ma che non ha impedito né impedisce i sospetti, le aggressioni e la tendenza delle comunità parrocchiali a cambiare appartenenza, entrando nella Chiesa autocefala.
Essa denuncia decine di casi di violenza ai preti, di occupazione di chiese, di abusi amministrativi subiti chiedendone conto alla Chiesa autocefala che, a sua volta, ricorda comportamenti analoghi a proprio danno negli anni precedenti la guerra.
Mosca e i greco-cattolici
Nella complessa trama delle reciproche influenze hanno voce sia il patriarcato di Mosca che la Chiesa greco-cattolica in Ucraina. Cirillo prosegue nel sostegno acritico alle scelte di Putin e alla guerra fratricida in atto. Non solo, ha inviato una delegazione all’evento dell’annessione del Donbass, ma, assieme al sinodo, ha definitivamente aggregato a sé le diocesi della Crimea e, anche se in maniera meno vincolante, quelle delle zone occupate.
Ha chiesto a tutte le diocesi russe una straordinaria raccolta di fondi (dal 15 al 30 ottobre) a favore delle popolazioni là residenti e di quanti sono stati portati in Russia, ha invitato a una fervente preghiera per la salute del capo dello stato fornendo due intenzioni per tutte le celebrazioni a livello nazionale, ha organizzato presìdi di assistenza spirituale presso tutti gli uffici militari di registrazione e arruolamento per la mobilitazione chiesta dal potere politico.
Una inquietante identificazione da cui la Chiesa russa farà fatica a liberarsi in futuro.
La Chiesa greco-cattolica è quella che ha una memoria storica più pulita rispetto al passato sovietico, un’ampia rete internazionale (legata alla diaspora nel mondo), una buona organizzazione interna (con centri accademici di eccellenza) e un legame con Roma di grande importanza e non privo di autonomia.
Nel caso specifico dei referendum nel Donbass l’arcivescovo maggiore, Sviatoslav Shevchuk, ha detto: «Abbiamo assistito a un evento senza precedenti nella storia: un furto di stato spudorato», uno stato che si fa ladro annettendosi territori di uno stato indipendente. Un’operazione che si può qualificare, secondo un lemma acquisito recentemente dalla dottrina sociale della Chiesa, come «struttura di peccato», cioè come un male pervasivo che si allarga all’intera statualità russa.
L’inevitabile unità
Le brevi cronache sopra annotate testimoniano le distanze fra le Chiese che la guerra ha ulteriormente allargato. E tuttavia, lasciando decantare le tensioni immediate, si deve registrare la collocazione di tutte e tre le Chiese ortodosse del paese su una piattaforma ormai comune: nessun legame di subalternità con Chiese esterne, posizione condivisa sulla guerra, ritualità e teologia identiche, appartenenza nazionale esplicita.
Se n’è accorto il vecchio “patriarca” Filarete che, seppure in maniera strumentale, ha invitato all’unificazione, proponendo un concilio ortodosso pan-ucraino per decidere l’unificazione amministrativa, la scelta del patriarca e la piena autocefalia. «In questo momento cruciale, mentre gli ucraini difendono con coraggio la libertà, l’indipendenza e l’integrità del paese sul campo di battaglia, i pastori devono dare prova di sacrificio di sé, lasciando ciò che è secondario e unendosi nell’essenziale». L’indipendenza conquistata con le armi si trasformi – così suggerisce – in libertà spirituale per la Chiesa.
Un osservatore attento come Sergiej Chapnin riconosce alla Chiesa ortodossa filo-russa di Onufrio tre possibilità: unirsi alla Chiesa autocefala di Epifanio; creare un esarcato sotto la giurisdizione di Bartolomeo di Costantinopoli; mantenersi unita in una zona canonicamente grigia in attesa di scelte successive. Sia l’una che l’altra Chiesa ucraina continuano a riaffermare la disponibilità al dialogo anche in un contesto fortemente conflittivo. Ambedue sanno che il futuro si giocherà in particolare sulle loro scelte.
Verso l’unificazione delle Chiese ortodosse ucraine va anche il documento elaborato dal Cemes, un centro ecclesiastico di studi di Salonicco. In un testo, pubblicato il 12 aprile scorso, si ipotizza o una doppia giurisdizione (Mosca e Costantinopoli) con strumenti di rappresentanza binaria come già succede nella diaspora in Occidente o avviando una struttura sinodale comune provvisoria che anticipi l’unificazione possibile.
La proposta più creativa viene dalla Chiesa greco-cattolica, quella cioè di un unico patriarcato in cui confluiscono tutte le Chiese ortodosse locali e la Chiesa greco-cattolica. L’unico patriarca dovrebbe essere in comunione con Roma, prendendo distanza dall’esercizio monarchico del primato, e permettere alle Chiese ortodosse di mantenere i reciproci riferimenti spirituali.
Una sorta di anticipo dell’unità delle Chiese in un contesto dove le differenze non sono teologiche, ma storiche e culturali. Come mi diceva il card. Lubomyr Husar, arcivescovo maggiore degli ucraini, nel 2008: «Il nostro auspicio, desiderio e sforzo è di favorire il ritorno all’unità primigenia (della Chiesa a Kiev). Questo richiede anzitutto un unico capo, un unico patriarca, come sempre per le Chiese orientali. Un capo significherebbe l’unità e noi, come greco-cattolici, vorremmo che tale patriarca fosse in comunione piena con il successore di Pietro».
La politica corre, le Chiese arrancano
Se i processi di riconciliazione ecclesiale non si avviano rapidamente, la minaccia del consigliere di Zelenski avrà la precedenza. Saranno lo stato e la legge a rendere impercorribile la via della Chiesa filo-russa imponendo di fatto l’unità con strascichi infiniti di risentimenti.
Ci sono già progetti di legge che vanno in questa direzione. Ma ciò confermerebbe l’improprio potere della politica sulle Chiese che le recenti vicende legate alle autocefalie mostrano con evidenza.
L’attuale ruolo di Roma e dei greco-cattolici a Kiev esprime bene il fascino del sogno di Husar. Sviatoslav Shevchuk difende fino in fondo le ragioni, anche militari, dell’Ucraina e opera un dialogo credibile e accettato dalle Chiese ortodosse all’interno, senza esentarsi da una qualche distinzione rispetto al papa. Il che costituisce il rovesciamento dell’accusa all’“uniatismo” di essere oggi un fattore di divisione.
Allo stesso tempo, Francesco impedisce alla Chiesa greco-cattolica di identificarsi col nazionalismo. Ritagliandosi un ruolo che non è quello del “cappellano dell’Occidente”, Francesco mantiene l’apertura con Mosca (Chiesa e stato) e opera per un superamento delle ragioni della guerra e delle divisioni cristiane. Il Vangelo va oltre gli eserciti e le piccole identità confessionali.
L’Ucraina, che è stato il centro dello scisma che sta frantumando le Chiese ortodosse e mettendo in difficoltà il dialogo ecumenico, potrebbe avviare una sperimentazione sorprendente e anticipatrice dell’unità cristiana. Ma forse è solo un sogno.