Il 18 febbraio l’assemblea episcopale della Chiesa ortodossa serba ha scelto il 46° patriarca, il metropolita Porfirio (Peric), vescovo di Zagabria e Lubiana. Il segno complessivo è quello della continuità con l’indirizzo del patriarca precedente, Ireneo.
L’anziano monaco Matteo – come prima di lui avevano fatto i monaci Antonio e Gabriele in occasione delle precedenti elezioni – ha estratto il suo nome dal libro della sacra Scrittura dove era collocato assieme agli altri due scelti dai vescovi: Ireneo di Bačka e Jefrem di Bania Luka. La modalità dell’elezione prevede alcuni scrutini per designare tre nomi. I 36 vescovi presenti (su 39 aventi diritto) hanno dapprima scelto a maggioranza i nomi e poi questi sono stati collocati nel libro sacro per tirare a sorte colui che lo Spirito designava, secondo il metodo raccontato dagli Atti degli Apostoli nella scelta di Mattia (At 1,25-26).
Il ricorso alla tradizione apostolica è recente (per i tre ultimi patriarchi) ed è stato motivato dalla volontà di evitare interferenze da forze esterne e in particolare dalla politica. L’elezione del patriarca Germano nel 1958 fu infatti inquinata dal sospetto di un intervento indebito della polizia segreta. Dei 39 vescovi erano eleggibili 30 perché viene richiesto almeno un quinquennio di esercizio del ministero episcopale. Per la prima volta l’assemblea elettiva si è radunata fuori del palazzo episcopale, nell’ampia cripta della nuova chiesa di San Sava, in ragione degli spazi che garantivano la sicurezza anti-pandemia.
Di Covid sono morti numerosi ecclesiastici. Il locum tenens (facente funzioni dopo la morte del patriarca) ha ammesso: «Ci sono stati errori in merito. Devo ammettere che abbiamo sottovalutato il coronavirus e non ci siamo resi conto di cosa è capace. È un virus omicida che ha ucciso il nostro patriarca Ireneo, il metropolita Anfiloco del Montenegro, il vescovo Milutin, dozzine di preti, monaci e suore. Quello che è successo potrebbe essere il costo del nostro mancato rispetto delle misure stabilite dai nostri servizi epidemiologici».
Un crescente ruolo pubblico
Il patriarca presiede una Chiesa di 10 milioni di fedeli (fra cui l’85% dei sette milioni della popolazione del paese), divisa in 50 eparchie (diocesi). Dagli anni ’90 con le guerre etniche e indipendentiste dell’ex Iugoslavia comunista la fede ortodossa è divenuta di nuovo un riferimento per gli abitanti della Serbia e un elemento importante dell’identità nazionale.
Mentre durante il regime comunista la gran parte della popolazione di dichiarava atea, oggi si dichiara ortodossa, anche se i praticanti non sono aumentati in forma significativa In una inchiesta del 2004 quasi l’85% si dichiara credente e l’89% dice di essere battezzato. Gli atei professanti sono crollati allo 0,53%. Se il 70% festeggiano il Natale cristiano, solo il 20% afferma di credere in Dio. C’è uno spazio rilevante di appartenenti non credenti. Il 40% afferma di non credere in Dio.
La questione identitaria, la radice nazionalistica, la continuità storica e la stabilità istituzionale hanno fatto uscire la Chiesa dalla marginalità in cui era vissuta fino agli anni ’80. La sua visibilità nello spazio sociale e la sua azione pastorale ha comunque contribuito a un rafforzamento significativo della religiosità della popolazione serba.
Porfirio: serbo ma soprattutto cristiano
Il patriarca Porfirio (Peric) ha 59 anni, il più giovane dell’ultimo secolo. Nasce in Voivodina il 22 luglio 1961 e compie il suo ciclo scolastico a Novi Sad. Prende la tonsura monastica da Ireneo di Bačka nel monastero di Visoki Dečani (nel territorio del Kosovo). Diplomato nella Facoltà teologica di Belgrado, è stato ordinato diacono dal futuro patriarca Pavle. Completa il corso di studi alla Facoltà teologica di Atene fra l’86 e il ’90. Prete e igumeno del monastero di Kovilj (Novi Sad), rilancia l’istituzione, portando la comunità a 25 monaci.
Il rinnovamento non riguarda solo la dimensione monastica, prendendo esempio dall’Athos, ma si apre anche alle sollecitazioni sociali. Nel 2005 avvia quattro comunità terapeutiche per tossicodipendenti, da cui sono transitate circa 4.000 persone. Nel 1999 è ordinato vescovo ausiliare a Bačka e, nel 2004, ottiene il dottorato alla Facoltà teologica di Atene sul tema «La possibilità della conoscenza di Dio nell’apostolo Paolo secondo l’interpretazione di san Giovanni Crisostomo». Accademico a Belgrado su materie teologiche (cristologia) e pratiche (psicologia pastorale), fonda un’associazione per il recupero delle vittime delle sètte e un fondo umanitario per giovani studenti senza mezzi economici. Figura pubblica di rilievo anche per la sua presenza sui mezzi radio-televisivi, è stato il primo ordinario militare dell’esercito serbo.
Molto coinvolto nel dialogo ecumenico, è vescovo di Zagabria e Lubiana dal giugno 2014. In quell’occasione dice: «Sarò sempre disponibile a costruzione di ponti, pienamente consapevole che mi arriveranno pietra da ambedue le sponde. Ma il Signore mi obbliga a questo, in conformità al divario colmato dal Figlio tra Dio e l’uomo». E aggiunge: «Sono serbo, ma soprattutto cristiano… Amo il mio popolo, ma amo e amerò tutte le altre nazioni. Ogni uomo è icona di Dio». Nel 2010 riceve un premio dall’Accademia teologica di Stoccolma per il contributo alla riconciliazione delle persone nei Balcani e per l’azione a favore dell’unità delle Chiese.
Vicino al governo e ai giovani
Durante la prima celebrazione da patriarca ha detto di porsi alla sequela dei suoi predecessori. Professando di non avere nulla di cui vantarsi si è affidato alle preghiere di tutti e, in particolare al suo padre spirituale, il vescovo Ireneo di Bačka. Ha rimarcato con forza la centralità del Cristo nella vita della Chiesa, il cui compito fondamentale non è né sociale né politico. Un’attenzione particolare l’ha mostrata per le aree delle radici spirituali nel Kosovo e per i serbi nella Bosnia.
Porfirio appartiene, seppure tangenzialmente, alla generazione che ha conosciuto la vocazione monastica sul finire dell’egemonia socialista nelle aree monastiche fino ad allora abbandonate del Kosovo, partecipando attivamente alla ricostruzione ecclesiale con una particolare attenzione alla tradizione spirituale e al messaggio anticomunista del vescovo Nicola Velimirović e alla teologia dell’identità serba di Justin Popović.
È la generazione che si riconosce nel solenne appello del sinodo del 2018 contro ogni ipotesi di aggiustamento territoriale perseguito dal governo che sacrificherebbe le aree sacre della tradizione ortodossa con il pericolo di nuove migrazioni forzate.
L’attenzione alla liturgia, alla formazione del clero e all’unità della Chiesa del suo predecessore verrà probabilmente arricchita da una specifica sensibilità verso le generazioni giovanili e nel dialogo con la società. Maggiore continuità è prevista nel fiancheggiamento al governo del presidente Aleksandar Vučić. Porfirio e Ireneo di Bačka sono considerati i più collaborativi.
Alla celebrazione patriarcale era presente mezzo governo in carica e Porfirio ha sposato spesso le opinioni conservatrici e filo-governative, sia in occasione delle manifestazioni giovanili contro la classe politica sia polemizzando con una celebre pacifista come Sonja Biserko. Attenzioni ricambiate nel caloroso saluto di Vučić al patriarca eletto: «A nome della Repubblica di Serbia, di tutti i nostri cittadini di fede ortodossa, le auguro un ministero lungo e fruttuoso nella vigna del Signore per amore di Cristo, così come per l’onore del popolo serbo e dell’intera famiglia ortodossa».
Il vero punto critico sarà il Kosovo, la cui sovranità non è riconosciuta dalla Serbia, anche se lo scorso autunno Belgrado e Pristina hanno firmato un accordo di cooperazione, con la mediazione di Washington. La soluzione di uno scambio di territori, sostenuta anche dalla nuova amministrazione americana oltre che dall’Unione Europea, allarma alcune cancellerie che la giudicano una miccia per molte altre modifiche territoriali dell’area.
Allarma soprattutto la Chiesa che perderebbe l’area monastica più importante e più storica della sua presenza, scompaginando una convivenza fra ceppo albanese e serbo che ne qualifica l’identità da centinaia d’anni. Il nuovo patriarca potrebbe tuttavia mostrarsi collaborativo rispetto a soluzioni intermedie, come un protettorato internazionale sull’area interessata o simili. Mentre il predecessore era stato drastico: «La Chiesa ortodossa può accettare solo accordi per i quali il Kosovo sia considerato parte della Serbia».
La sorpresa: Gregorio
Non cambierà la posizione della Chiesa serba in ordine allo scisma slavo-ellenico nato dal riconoscimento dell’autocefalia della Chiesa ucraina da parte di Costantinopoli. Non solo per la tradizionale vicinanza di Belgrado a Mosca, ma anche per il pericolo che processi similari si producano in Montenegro e soprattutto nella Macedonia del Nord.
Tuttavia Mosca avrebbe preferito l’altro candidato, Ireneo, più espressamente schierato. Il nuovo patriarca è considerato un ecumenista convinto e ha sempre coltivato rapporti cordiali con il mondo cattolico. Meno disponibile nei confronti della cultura laica. Come è successo nel contrasto che ha interessato la Facoltà teologica di Belgrado, pienamente integrata nell’istituzione statale, a causa del licenziamento di alcuni professori. La loro denuncia rispetto a presunti abusi e corruzione non è stata condivisa da Porfirio, anche contro il parere di colleghi di altre facoltà che invocavano l’autonomia di ricerca e di pensiero dell’istituzione di diritto pubblico.
Nelle polemiche pubbliche, talora aspre, che hanno preceduto la scelta dei vescovi si è imposta la figura del vescovo Gregorio di Dusseldorf e di tutta la Germania. Cinquantaduenne, il prelato ha fatto molto rumore con posizioni che intercettano l’opinione pubblica e in particolare i giovani, criticando apertamente il presidente Vučić e il suo governo.
Attaccato direttamente da ministri, politici e giornalisti filo-governativi, Gregorio ricorda le sue proteste studentesche ai tempi di Slobodan Milosevic: «Non mi vergogno di averne fatto parte, ma non sono poi così orgoglioso quando considero i risultati attuali». Propugna un dialogo più ampio e sincero fra le confessioni e le religioni dell’area balcanica. Non ha condiviso lo sforzo finanziario della Chiesa nella costruzione dell’enorme basilica di San Sava in un momento di pandemia.
Ha richiamato la Chiesa a un rispetto più rigoroso delle norme anti-covid e in una recente intervista ha invitato i giovani della diaspora a rientrare in Serbia per rifondare il paese. È oggi considerato una delle figure più popolari e influenti nel paesaggio civile della Serbia. Molto impegnato nel dialogo ecumenico, è considerato il candidato più progressista. Forse troppo per l’attuale Chiesa serba.