Nel giorno della liberazione della Siria dal regime di Bashar al-Assad, Giordano Cavallari raccoglie la testimonianza dell’amico Nahel, siriano e cittadino italiano.
- Caro Nahel, quali sentimenti stai provando in questo giorno di liberazione insieme a tanti esuli e conterranei siriani nel mondo?
Sono molto contento. Siamo molto contenti. È una giornata storica non solo per noi qui, bensì per gli oltre venti milioni di siriani in Siria e nel mondo. La soddisfazione che noi esuli stiamo vivendo è mescolata ai timori per i parenti e gli amici che in queste ore sono a Damasco e in tutta la Siria, per l’incertezza che, ancora, c’è nella situazione.
- Hai sentito i tuoi familiari a Damasco?
Sì, ho parlato con loro e con molti amici che sono là: come noi sono felici perché il dittatore se ne è andato, ma non nascondono le loro preoccupazioni per quanto potrà accadere nei prossimi giorni, mesi e forse anni. La storia recente insegna quanto è accaduto, ad esempio, in Libia o in Egitto, quando la volontà della maggioranza dei popoli che cercavano libertà e vita buona è stata violentata da altri poteri e interessi.
Nonostante questo, consideriamo questo giorno un punto di svolta indispensabile per riprendere ad avere speranza, perché i siriani, ormai da molti anni, avevano perduto ogni speranza sotto il regime del dittatore Assad. Con la sua caduta si è aperta una finestra da cui entra una luce per il nostro futuro. Prima non c’era nulla, solo buio.
- I milioni di siriani in Turchia, Libano, Giordania, torneranno in Siria?
Molti stanno già tornando. Vediamo le riprese ai valichi. Tantissimi non vedono l’ora di rientrare. Del resto, è facilmente comprensibile. Pensate a centinaia di migliaia di persone che negli anni più intensi della guerra civile in Siria, dal 2011 in poi, hanno dovuto fuggire, lasciare le loro case, tra i massacri e le devastazioni, per andare a vivere sotto le tende nei campi profughi. Cosa possono desiderare ora? Solo di tornare.
- E quelli che sono in Europa?
Non vedono l’ora di tornare in Siria per riabbracciare i loro cari. Anch’io non vedo l’ora di tornare per poter riabbracciare mia madre, che non vedo da anni. Mio padre è morto pochi mesi fa e non ho potuto andarlo a salutare. Non vedo l’ora di riabbracciare mia madre e di andare sulla tomba del mio papà.
- I siriani torneranno per restare in Siria?
Penso che la gran parte tornerà per restare nel Paese, per lavorare, ricostruire, rifare una nuova vita. Ma tanti anni passati fuori, possono aver divorato la determinazione di tante persone.
Se questo giorno fosse accaduto dieci anni fa, sarei tornato nel mio Paese per restarvi, senza dubbio. Ora sono sposato in Italia e ho un figlio italiano. Lavoro in Italia. Sono divenuto da poco cittadino italiano. Ho dei doveri, naturalmente, verso la mia famiglia e verso la mia seconda nazionalità.
Ma certamente, se potrò, non mancherò, da musicista, da artista, di dare il mio contributo alla rinascita della Siria, come peraltro non ho mai cessato di fare col mio progetto “Amata Siria” (qui).
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- Diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, hanno già deciso di sospendere l’iter e l’ammissione delle domande di asilo dei siriani. Cosa ne pensi?
Penso che le domande di asilo debbano essere tutelate secondo la Convenzione di Ginevra. Non può essere un singolo Stato a decidere. E penso che ogni istanza debba essere valutata singolarmente, con obiettività.
Ma penso anche che la preoccupazione degli Stati europei, sia per i siriani che hanno preso parte attiva al regime di Assad. Molti, come hanno già fatto, cercheranno l’asilo politico anche in questi nostri Paesi. Ciò non deve avvenire. Queste persone – macchiate di gravi crimini – devono essere portati a giudizio in Siria, da un nuovo sistema di giustizia (qui).
- In Siria vediamo le immagini della liberazione dei prigionieri e delle stanze di tortura. Cosa provi?
Mi immedesimo nei figli che non hanno più visto i genitori e nei genitori che non hanno più rivisto i figli. Vedo e sento le madri con in mano le foto. Non hanno più saputo nulla dei loro figli, magari da dieci lunghi anni o più. Sperano ancora di vederli uscire dalla prigione, anche se è già stata comunicata loro dal regime la morte. Ma un regime fondato sulla menzogna può aver mentito e falsato le carte anche su questo.
Per queste persone, vilipese sin nel profondo, è necessario fare giustizia nelle aule dei tribunali di un nuovo Paese, di una nuova Siria.
- Quali sono i timori, a cui hai accennato, riguardo ai gruppi che hanno preso il potere in Siria?
La Siria, almeno dal 2011, è una ferita aperta nel cuore del Medioriente: una ferita rimasta troppo a lungo scoperta, su cui tanti agenti esterni – regionali e internazionali – hanno cercato di aderire e proliferare. Sappiamo come vari gruppi siano stati armati e sostenuti dalle potenze confinanti o geopolitiche di vario segno.
In questo caso mi sembra di vedere qualcosa di veramente nuovo. Nei gruppi armati che sono entrati ad Aleppo, Hama, Homs, sino a Damasco – senza peraltro sparare un colpo – ci sono molti ragazzi che nel 2011, tredici o quattordici anni fa, avevano dieci anni.
Come ricordi, io ho composto un brano intitolato Sino a quando? (qui) dedicato ad un bambino che all’inizio dei massacri compiuti dal regime aveva otto anni, un bambino che aveva perduto quaranta dei suoi familiari. Adesso è divenuto un giovane uomo.
Immagino che, come tanti altri, sia vissuto nei campi profughi in Turchia, oppure ad Idlib, nel nord della Siria, ove sono stati ristretti i cosiddetti “ribelli” al regime.
Non vado lontano dal vero se penso che quel giovane, assieme a tanti altri, abbia deciso ora di tornare con grande determinazione alla sua terra, alla sua casa natale. Ho sentito questi giovani “ribelli” parlare ciascuno con l’accento della propria città o villaggio d’origine.
Ora, per questi giovani, dopo l’esperienza di unione fatta ad Idlib, la loro città-Nazione è tutta la Siria.
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- Come mai l’esercito di Assad non ha opposto violenza a questa “giovane” avanzata?
Io penso che dentro lo stesso esercito non ne potessero più del dittatore. Per quattordici anni hanno difeso la sua poltrona, senza ricevere nulla, se non qualche privilegio. L’economia come tutta la nazione stava andando letteralmente a rotoli. Come la vita di tutti i siriani.
Perciò, all’avanzata dei giovani “ribelli” – ove ribelli è una definizione del tutto positiva per me – l’esercito ha abbandonato armi, mezzi, divise, per tornare, coi salvacondotti rilasciati da al-Golani, nelle proprie case.
- I timori sono per le minoranze, specie quella cristiana. Tu cosa dici?
Di una cosa sono certo: l’indole autentica del popolo siriano porta alla ospitalità e alla convivenza pacifica tra tutte le appartenenze religiose. Basta guardare alla nostra storia, risalire alle origini del cristianesimo, alla permanenza di ebrei, degli armeni e poi di tutte le professioni islamiche.
Sento dire – e si insiste – che Assad ha protetto le minoranze e che, in questo senso, era il “meno peggio”: no, Assad era il peggio del peggio! Assad ha violentato la maggioranza sunnita e ha usato le minoranze per il suo solo potere dispotico, personale e familiare.
Anche la storia del terrorismo in Siria va ben compresa. Dal 2001 al 2006 notavo a Damasco sempre più segni preoccupanti di fondamentalismo islamico. Era Assad a volerlo e ad esibirlo al mondo. Il suo scopo era dimostrare che se lo avessero fatto cadere sarebbero arrivati al potere gli estremisti, i terroristi. Il mondo gli ha creduto e lo ha considerato, sino ad ora, appunto, il “meno peggio”.
Ricordate che l’Isis è stata per Assad un’arma vincente: la lotta dichiarata dal mondo contro l’Isis – che lui stesso ha fatto entrare nel nostro Paese – gli ha consentito di restare al suo posto. Ricordo un nostro vecchio proverbio: “l’uomo è nemico di ciò che ignora”. Agli amici italiani dico: aprite gli occhi sulla nostra storia.
- Ma questo al- Jolani o al-Golani non mette anche a te un po’ di paura?
Come ho detto, i timori ci sono. Ho ascoltato con interesse e con fiducia l’intervista di al-Golani – che ora ritornato al suo nome natale di al-Sham – alla CNN americana. Gli è stato detto di essere considerato un terrorista per aver fatto parte di un gruppo di al-Qaeda. Lui ha ricordato di essersi unito, da giovanissimo, ad un gruppo terroristico per difendere il popolo iracheno sotto attacco. Ora ha quarantadue anni. Ha detto di ragionare in maniera diversa. Appena entrato in Siria ha dichiarato – e sinora dimostrato – di non voler fare male a nessuno: ad alawiti, sciiti, cristiani e altri. Non è stata versata sinora una sola goccia di sangue per questo, tanto che in alcune zone della Siria ci si sta già preparando alla festa di Natale.
- Chi può garantire che sarà così?
Certo, non posso prendere per buono tutto ciò che dice al-Golani. Sarà il tempo a dire. Ma per me la migliore garanzia di pace sociale la dà il popolo siriano che opporrà sicuramente resistenza, semmai qualcuno cercherà di imporre una nuova dittatura di stampo religioso.
Io sono nato in una famiglia sunnita, musulmana praticante. Io non sono praticante. Sono diventato musicista e direttore d’orchestra. I miei genitori non mi hanno mai rimproverato nulla, perché amiamo essere liberi. La grande maggioranza dei sunniti ama la libertà e non accetterà altre dittature.
Basta imprigionamenti, basta torture, basta crimini. Basta guerre in Siria!