Siria: immaginare alternative

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Sembra a dir poco complicarsi il tentativo di rovesciare Bashar al Assad. La forza aerea russa ha colpito con insistenza da Aleppo ad Hama, fermando l’avanzata dei miliziani sostenuti ufficiosamente da Erdogan.

Il tempo lavora per Putin e Assad, anche perché la determinazione russa sembra proprio smentire l’impressione di ieri: ossia una possibile intesa tra turchi e russi. Le modalità dell’intervento russo e le dispute che sembrano emerse tra insorti completano il quadro. Non tutto è detto, come non tutto era detto ieri, ma la questione di fondo è un’altra.

C’è un’idea di cosa sia lo Stato (siriano) che emerge evidente in queste ore. Ed è questo il vero problema che pone la questione della modalità con cui si raffigura la contesa in atto, al di là dei giudizi che non possono essere lusinghieri su nessuno degli attori coinvolti.

Il punto in sostanza è questo: hanno ragione i teorici dello scontro di civiltà, il problema è l’Islam, un problema così grave da rendere necessario anche il ricorso a criminali come Assad? O il problema sono i regimi, come quello di Assad, che hanno devastato le loro società lasciando sul campo solo una rabbia profonda e così feroce da ammalare anche il pensiero religioso? Sottolineo quello religioso, perché gli altri sono stati tutti proibiti.

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Se avessero ragione i teorici della scontro di civiltà, per i paesi musulmani non ci potrebbe mai essere un’alternativa, solo una repressione feroce e smisurata, come quella di Assad o numerose altre, compresa ovviamente quelle di certi suoi rivali. Un regime che ha coniato lo slogan “Assad o bruceremo il Paese” è molto diverso da noti pericoli pubblici, più volte definiti assai peggio che “autocrati”?

Se invece avessero ragione i teorici del dialogo di civiltà, ritengo evidente che il problema sarebbero i regimi, dunque mutandoli si potrebbe sperare in un cambiamento – certo graduale. Graduale perché nessuno può sperare che un bel giorni emergano i “buoni” e arrivino al potere dalla mattina alla sera.

Le intenzioni turche sono lesive della dignità del popolo siriano forse quanto quelle di Assad. Ma il punto è che non ci sono le Brigate “dei buoni”; ci sono invece società devastate da regimi come quello di Assad, società che vanno curate, cure lente e pazienti, perché i danni arrecati sono profondi, ma queste società vilipese esprimono anche valori profondi e amore della dignità umana.

Dunque occorre un processo complesso e non semplice che aiuti a cambiare strada, abbattendo i simboli di un potere assoluto, totale, come quello di Assad o di altri, suoi amici o rivali, non conta. Ma che i siriani dal 2011 non si rassegnino davanti alla protervia di Assad o dei gruppi jihadisti non viene mai considerato.

Come non viene considerato che nelle terre dove sono stati segregati hanno fornito esempi ignorati di umanità, coraggio e amore del prossimo: non sono certo tutti “terroristi”. Questo dovrebbe imporre di non rifugiarsi dietro le etichette: chi combatte molto spesso conosce un unico modo di esercitare il potere, quello vigente dal 1970, quando dopo il golpe comparvero ai confini i cartelli con scritto “ben venuti nella Siria degli Assad”. Ecco cosa è uno Stato, una proprietà di famiglia.

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Non è la geopolitica che deve guidare il giudizio, cioè a chi giovi un esito o l’altro, ma vedere dove potrebbe cominciare ad aprirsi uno spiraglio di rinascita umana e sociale per quello che è stato un grande Paese e la cui popolazione merita rispetto.

Con gli Assad questo appare impossibile dal 1970. Con un processo di incontro tra settori oggi al potere e settori all’opposizione il discorso potrebbe o avrebbe potuto essere diverso, vedremo. Ma per orientarsi occorre farsi un’idea: questo degrado sarà colpa di una religione o sarà colpa del modo di concepire il potere di certi sistemi politici?

Prima che le ideologie totalitarie del secondo Novecento prendessero tutto il potere, per quel che ne so, quel mondo non era così. Ma i totalitarismi del Novecento lì non sono stati ancora sconfitti. Questo è il problema e il sistema siriano è derivato diretto di quelle malattie novecentesche che ancora tormentano gli arabi e non solo.

Le bombe, non jihadiste ma russe, contro i francescani di Aleppo che facevano il pane se guardate con onestà lo confermano, eppure i commenti scarseggiano. Ma non vale solo per loro, vale anche per i bombardamenti indiscriminati contro i civili.

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