Doveva essere inaugurata a breve, ma forse il tempio-monumento consacrato alla Risurrezione di Cristo, chiesa principale per le forze armate della Russia alla periferia di Mosca, dovrà attendere a causa di un grande mosaico che riproduce la sfilata militare della vittoria sulla piazza Rossa alla fine della guerra mondiale. Con un grande ritratto di Stalin che troneggia sullo sfondo.
Il caso è esploso in una trasmissione radiofonica a San Pietroburgo alla fine di aprile. L’immagine di Stalin che «come il dio Marte» sovrasta «la folla immensa durante la sfilata del giorno della vittoria… è semplicemente inaccettabile», ha detto l’arciprete Alexandeer Stepanov.
Mai nulla di paragonabile è successo in altre chiese dedicate a vittorie storiche come la chiesa dell’Intercessione a Mosca o la cattedrale di Kazan a San Pietroburgo o il Cristo Salvatore al Cremlino. In nessuna di esse vi sono immagini di battaglia, di sfilate militari, di figure regali, se non prostrate davanti alla Vergine o a Cristo.
Un secondo ecclesiastico, Evgeny Goryachev, ha rincarato la dose: «si tratta di un abuso blasfemo dell’essenza stessa dello spazio sacro cristiano, la sua trasformazione in un simbolo statuale neo-pagano, con la sacralizzazione di un esercito e dei suoi capi».
E il rettore della chiesa della Trinità a Mosca parla di un «evento laido, folle e disgustoso, la costruzione di uno pseudo-tempio, pseudo-cristiano».
La chiesa delle forze armate è una delle oltre 30.000 chiese costruite negli ultimi decenni.
Il persecutore non va onorato
Nonostante i tentativi di difesa dei diretti interessati, lo stesso patriarca Cirillo ha preso le distanze, facendo respirare quanti, come il metropolita Giovanni di Doubna, dell’eparchia di tradizione russa in Europa, appena rientrato nell’obbedienza moscovita, guardavano con timore alle accuse di sostenere una Chiesa infeudata all’esercito e incapace di distanza da alcune figure storiche anticristiane.
Anche il metropolita Hilarion, responsabile del dipartimento sinodale per le relazioni esterne del patriarcato, ha preso parola: «Penso, com’è naturale, che in una chiesa ortodossa non c’è posto per l’immagine di Stalin, che è stato un persecutore e ha sulla coscienza il sangue di milioni di vittime, compresi i nuovi martiri e confessori della Chiesa russa. Il tempio è luogo di preghiera e ritengo che tutta la decorazione deve essere coerente con questo obiettivo».
Che la discussione sia esplosa ad opera sostanzialmente finita attesta l’intreccio fra responsabili ecclesiali e mondo militare in Russia, ma anche l’imbarazzo di gestire una storia che V. Putin sta forzatamente piegando a un continuismo, da una parte, e, dall’altra, a un coinvolgimento importante della Chiesa ortodossa nella struttura e nella cultura statuale, come mostra la discussione sulla nuova costituzione (cf. Settimananews: “Russia: una costituzione contro l’Occidente?”; “Quale Russia dal referendum costituzionale?”).
Continuismo e tradizione russa
«Nonostante i suoi precedenti polizieschi e atei, rivestendo il ruolo di “zar”, Putin è guardato con qualche simpatia dal popolo minuto. Da apparatcik dei servizi segreti (KGB) comunisti non poteva che proclamarsi ateo. Qualcosa è cambiato una volta che è arrivato al potere. Nel corso degli anni ha lasciato emergere una dimensione di umanesimo spirituale che negli ultimi anni si è connotate di un certo “misticismo russo”… Esternamente è molto discreto e, al di là della partecipazione alle grandi funzioni dell’ortodossia moscovita, non lascia trasparire una fede personale. Se non nel riferimento ai valori tradizionali dell’anima russa» (cf. Settimananews: “Putin il mistico?”). Con l’intervento militare in Siria e la presenza armata in Medio Oriente è considerato il difensore più efficace della presenza cristiana nell’area.
La rilettura storica che lui vuole imporre consegna una certa continuità valoriale rispetto al tempo comunista, un riconoscimento al popolo (e non ai gerarchi, Stalin compreso) della vittoria sul nazismo e un privilegio all’etnia e alla cultura russa nella gestione di uno stato che aspira a un ruolo imperiale. Un contesto che faciliterà il rifacimento del mosaico in questione, ma che indica anche uno scostamento significativo nella sua vicenda di statista.
Fino al terzo mandato presidenziale compreso, il suo governo è stato caratterizzato dall’influsso di una dozzina di uomini che avevano lavorato con lui nel KGB o nell’amministrazione di San Pietroburgo negli anni ’90, il cosiddetto “collettivo o politburo di Putin”, d’intesa coi nuovi oligarchi. Un gruppo pressoché intoccabile. Ma il licenziamento nel 2015 di V. Yakunin, capo delle ferrovie russe, seguito da vari altri, ha messo fine alla stagione. Negli ultimi 2-3 anni la politica russa è diventata sempre più uno spettacolo personale del presidente e Putin un uomo solitario.
Puntin: più Stalin di Brezhnev
Per alcuni analisti Putin abbandona il modello di leadership collettiva di tradizione brezhneviana verso un esercizio solitario del potere, come Stalin. Nell’estate del 2016 ha creato l’onnipotente Guardia Nazionale, composta di 400.000 unità, gestita dalla sua ex superguardia del corpo, Viktor Zolotov, e sotto il suo diretto comando.
È stata simbolica e molto chiara la ripresa televisiva dei quasi dieci minuti di cammino cadenzato e volto impenetrabile tra i vari corridoi del Cremlino per arrivare alla potente auto che lo trasportò alla sala reale (maggio 2018) per l’avvio del suo quarto mandato di presidente.
Sembra che la ragione per cui Putin ha abbandonato il sistema di governo collettivo e l’equilibrio degli appetiti degli oligarchi è perché, in un’economia in declino, i “cleptocrati” avevano scarso interesse per il progetto ideologico di Putin di ripristinare lo status di grande potenza della Russia. Si è quindi prodotto una passaggio dalla Russia “cleptocratica” ad una nuova Russia “ideologica”. Cioè la visione di una nazione ricollocata al suo giusto posto nella storia del mondo. Gli oligarchi-cleptocrati non sono affatto scomparsi, ma sono in secondo piano. Sostituiti con giovani tecnocrati, preparati e fedeli, che gli consentono un governo solitario e la coltivazione del sogno della grande Russia.
L’immagine e il riflesso
La celebrazione dei 75 anni della fine della guerra mondiale (8 maggio 1945) e la nuova Costituzione, col rilancio della sua “inevitabile” egemonia, avrebbero dovuto segnare una sorta di glorificazione del suo quarto mandato da presidente. Ma la crisi del petrolio, con la riduzione dei suoi proventi, e l’arrivo del Covid-19 che ha impedito ogni manifestazione pubblica, hanno reso melanconici questi mesi. L’emergenza sanitaria e la crisi economica relativizzano il risultato del referendum la cui data è slittata di alcuni mesi (era previsto il 22 di aprile).
Putin ha al suo attivo il riconoscimento del nuovo prestigio internazionale della Russia (pagato con quattro guerre: Cecenia, Georgia, Ucraina e Siria), la mano di ferro nelle gestioni delle tensioni sociali, il silenziamento degli oppositori, la nuova efficienza dell’esercito. Si è guadagnato un’affidabilità mondiale in un tempo declinante per l’egemonia americana, ma senza riuscire a risollevare un’economia priva di ossigeno.
Che scompaia Stalin dal mosaico della chiesa delle forze armate non lo turberà, senza rendersi conto di quanto tende ad assomigliargli.
“Secondo il calcolo degli specialisti, basati sulle statistiche più precise ed obiettive, nella Russia prerivoluzionaria, durante gli 80 anni precedenti alla Rivoluzione, gli anni dei movimenti rivoluzionari (quando ci furono attentati contro la stessa vita dello Zar, l’assassinio di uno Zar e la rivoluzione), durante quegli anni furono giustiziati in media 17 persone l’anno. La famosa Inquisizione spagnola, nella decade in cui la persecuzione raggiunse il culmine, fu causa della morte di una decina di persone al mese. In Arcipelago Gulag cito un libro, pubblicato dalla Čeka nel 1920, che rende conto orgogliosamente del lavoro rivoluzionario svolto tra il 1918 ed il 1919 scusandosi del fatto che i suoi dati erano incompleti. Nel 1918 e 1919 la Čeka assassinò, senza processo, più di mille persone al mese. Il libro fu scritto dalla stessa Čeka, prima che comprendesse come sarebbe stato visto dalla storia” (Aleksandr Solženicyn).
Mi pare che Putin abbia da fare parecchia strada prima di rassomiglia re anche lontanamente a Stalin.