Come capita abitualmente, soprattutto quando ci si approssima alle elezioni presidenziali, i cattolici statunitensi discutono sull’intreccio fra politica e fede – ossia, discutono sull’aborto. Di recente, abbiamo visto questo fatto nel corso dell’Assemblea generale della Conferenza episcopale a Baltimora, che si riflette anche nel linguaggio della lettera che accompagna la versione (non modificata) delle loro linee guida per il voto «Formare coscienze per una cittadinanza credente».
Enfasi sull’aborto
I vescovi hanno discusso essenzialmente su quanto enfasi retorica doveva essere data all’aborto. Mentre è importante analizzare come tale discussione si è prodotta, è però ancora più importante comprendere perché la Chiesa americana rimane ancorata allo stesso argomento, largamente nei medesimi termini, con nessuna «parte» in grado di fare grandi progressi. La ragione per cui i cattolici sono invischiati in questa spirale è perché anche quando discutiamo sui doveri morali dei votanti credenti non siamo riusciti, come comunità cattolica, a formare dei candidati credenti.
Vi è un largo numero di candidati cattolici sia tra i Democratici che tra i Repubblicani; ma sono tremendamente pochi, se non nessuno, coloro che abbiano il coraggio di opporsi all’ortodossia dei rispettivi partiti e prendere, quindi, posizione a favore di tutto lo spettro delle esigenze morali che la dottrina cattolica richiede. Ogni quattro anni ci troviamo nuovamente di fronte alla scelta di quale male morale ignoreremo per opporci agli altri. Noi (vescovi, preti, i media e i fedeli cattolici) continuiamo a fallire nel convincere figure politiche significative a difendere sia l’innocente non nato sia i nostri fratelli e sorelle al confine del paese.
Quale male scegliere?
I due partiti falliscono in modi diversi nel sostenere l’insegnamento cattolico. I Democratici supportano, quasi universalmente, la possibilità di abortire, ma possono essere persuasi quantomeno per ciò che concerne una serie di altre questioni critiche che stanno a cuore alla Chiesa cattolica. Molti repubblicani sono pro-life, ma si oppongono a molte questioni che rappresentano delle priorità per il cattolicesimo – come l’immigrazione, il cambiamento climatico e il prendersi cura dei poveri.
Intrappolati in questa situazione, può sembrare che la scelta morale più importante che possiamo fare sia quella di quale male evitare in primo luogo. Questo modo di pensare sembra essere quello che ha prevalso nel corso dell’Assemblea generale della Conferenza episcopale statunitense. Alcuni vescovi hanno mosso riserve sulla lettera che introduce «Cittadinanza credenti», in cui si afferma che l’aborto rappresenta «una priorità preminente» per i cattolici, perché secondo loro questa frase non è rappresentativa di tutta la tradizione cattolica e, in specifico, del magistero di papa Francesco.
Per assumerlo nella sua interezza essi hanno affermato che si dovrebbe includere l’intero paragrafo 101 dell’esortazione Gaudete et exsultate in cui papa Francesco critica quella visione secondo la quale «la sola cosa che conta è un’unica questione etica o causa». Ma i vescovi hanno votato per includere una citazione più breve del paragrafo, affermando la difesa «dell’innocente non nato» e dicendo che le vite di altri gruppi vulnerabili sono «egualmente sacre».
Con papa Francesco, ma non con le sue priorità
Il modo migliore per comprendere questo esito della discussione è che il voto sul paragrafo di Gaudete et exsultate è stata una sorta di votazione informale dei vescovi statunitensi in merito al fatto se adottare lo stile retorico di papa Francesco per guidare i cattolici in materia di questioni morali e politiche. Con una maggioranza dei due terzi i vescovi americani hanno scelto di non farlo. È importante dire che questo non significa che essi sono in disaccordo con papa Francesco sulla dottrina morale. Ogni vescovo è d’accordo sul fatto che le vite del feto non nato, degli immigranti e dei detenuti condannati a morte sono ugualmente sacre.
La tensione si genera là dove si tratta di decidere del come si descrivono le priorità morali cattoliche nell’ambito politico quando un gruppo di vite sacre sembra poter essere difeso solo, tragicamente, al costo di altre vite. Papa Francesco tende a enfatizzare che si deve tenere da conto una molteplicità di questioni morali; i vescovi americani hanno scelto di enfatizzare i modi nei quali l’aborto rappresenta l’unico problema morale.
Se i vescovi avessero votato a favore della citazione dell’intero paragrafo, non credo che la cosa avrebbe avuto ricadute pratiche significative, in gran parte perché non è poi così chiaro quali siano gli effetti di «Cittadinanza credenti» sul voto cattolico. Il documento avrebbe comunque continuato a descrivere l’aborto come «priorità preminente» per i cattolici, anche se avesse citato Francesco che mette in guardia dal fare di una questione l’unica questione.
Quale alternativa al dramma di scegliere comunque un male?
E noi ci troveremmo ancora una volta davanti al drammatico dilemma di tutti i candidati maggiori che supportano quantomeno uno scopo politico che è moralmente ripugnabile per i cattolici. La domanda migliore che possiamo porci è se non c’è qualcosa che possiamo fare per evitare di trovarci ogni quattro anni in questa drammatica situazione, sempre uguale a se stessa.
Continuare a discutere sul calcolo morale di quale dei due problemi rappresenti un male minore non aiuta in alcun modo. Il vero problema è che ogni nostro voto supporta un candidato che è orgoglioso di difendere quantomeno una posizione che è palesemente opposta alla dottrina della Chiesa colta nella sua integralità. Da papa Francesco prenderei, però, un’altra chiave di lettura, piuttosto che quella della sua volontà di enfatizzare anche altre questioni oltre all’aborto. Francesco ci invita, infatti, anche alla parrehesia, ossia al parlare franco e audace.
Coscienze critiche per la politica
Immaginatevi di aggiungere un paio di paragrafi come i seguenti al testo di «Cittadinanza credente». Poiché entrambi i partiti politici maggiori, e spesso tutti i candidati di rilievo, assumono posizioni che rifiutano la dignità sacra della vita umana e lavorano contro il bene comune, i fedeli cattolici si ritrovano nell’ovvia mancanza di una casa politica. Come riconosciuto da «Cittadinanza credente», è possibile che i cattolici, pur rigettando le posizioni inaccettabili di un candidato, «possano ragionevolmente decidere di votare per lui per altre gravi ragioni morali» (n. 35).
Tale decisione richiede discernimento e un attento giudizio prudenziale. Nessun cattolico dovrebbe giungere alla conclusione che la loro fede lo costringe o gli impedisce in maniera assoluta di votare per un determinato candidato, né deve dare retta a coloro che rappresentano l’insegnamento della Chiesa in maniera distorta affermando che invece proprio così stanno le cose.
Tuttavia, il nostro compito non è finito dopo aver deciso come votare. Noi abbiamo il dovere di affermare pubblicamente le questioni morali che i candidati per cui abbiamo votato preferiscono ignorare, in modo da chiamarli a conversione. Se la nostra opzione migliore è votare per un candidato che supporta l’aborto, allora dobbiamo farci carico di parlare apertamente a favore dell’umanità del feto non nato. Se la nostra opzione migliore è votare per un candidato la cui politica in materia di immigrazione è ingiusta, allora dobbiamo duplicare i nostri sforzi a sostegno dei nostri fratelli e sorelle che si trovano sui confini del nostro paese.
La vera misura della partecipazione politica cattolica non è semplicemente vedere se possiamo evitare un male, ma se possiamo aiutare i nostri candidati politici e i nostri concittadini americani a farsi carico in maniera più piena del bene.
Articolo pubblicato dalla rivista dei gesuiti statunitensi America.