Su uno scambio di prigionieri

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Biden e Harris accolgono Evan Gershkovich (ANSA)

Quello avvenuto all’inizio di agosto è stato il più grande scambio di prigionieri mai avvenuto fra Russia e Stati Uniti. Il risultato è stato ottenuto grazie al lavoro del MIT, il servizio segreto della Turchia, Paese che continua a svolgere, perlopiù sottotraccia, un importante ruolo di mediazione fra l’Occidente e il regime di Vladimir Putin.

Il profilo dei liberati

Come spesso avviene in questi casi, il profilo delle persone oggetto dello scambio è molto diversa: i detenuti rilasciati dalle carceri russe sono a tutti gli effetti vittime della repressione del dissenso da parte del regime moscovita, mentre quelli che si trovavano nelle mani di Stati Uniti, Germania, Polonia, Slovenia e Norvegia appaiono essere a tutti gli effetti spie al servizio del Cremlino.

I nomi più noti fra i Russi liberati sono quelli di Vladimir Kara-Murza, giornalista e storico, che dopo la morte di Navalny è considerato il principale oppositore del regime di Putin; Evan Gershkovich, corrispondente dalla Russia per il Wall Street Journal, per cui raccontava tra le altre cose la guerra in Ucraina; Ilya Yashin, altro grande leader dell’opposizione a Vladimir Putin, arrestato nel 2022, accusato di aver diffuso «notizie false» sull’esercito russo e condannato a otto anni e mezzo di prigione e il settantunenne Oleg Orlov, presidente di Memorial, l’associazione russa che si occupa della storia dei crimini dell’Unione Sovietica e che nel tempo è diventata anche un’associazione per la difesa dei diritti civili, insignita nel 2022 del Premio Nobel per la Pace. Orlov è stato condannato per aver scritto un articolo in cui accusava di fascismo il regime di Vladimir Putin.

Sull’altro versante, la Germania ha liberato Vadim Krasikov, un agente dei servizi di sicurezza russi, in carcere per avere ucciso in territorio tedesco l’ex comandante dei ribelli ceceni Zelimkhan Khangoshvili. Gli Stati Uniti hanno scarcerato Roman Seleznev, un hacker russo che rubava i dati delle carte di credito usate online, arrestato nel 2014 alle Maldive e condannato a 27 anni di carcere negli Stati Uniti per truffa informatica e furto di identità. Dalla Polonia è stato liberato Pavel Rubtsov, conosciuto con il falso nome di Pablo Gonzalez, arrestato nel febbraio del 2022 sul confine polacco con l’Ucraina e accusato di sfruttare la sua professione di giornalista per raccogliere informazioni da inviare ai servizi segreti russi. Altri personaggi, tutti implicati in attività spionistiche per conto della Russia, sono stati liberati da Slovenia e Norvegia.

La differenza fra le persone oggetto dello scambio non deve stupire, perché è una costante di questo tipo di operazioni e – soprattutto – non riveste alcun significato politico. La storia recente è ricca di episodi simili, come lo scambio del soldato israeliano Gilad Shalit, catturato da Hamas, e un migliaio di prigionieri palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane o, andando indietro nel tempo, quello fra una spia russa arrestata negli USA e il pilota dell’aereo-spia americano U2 abbattuto dalla contraerea russa, vicenda riportata alla memoria dal film Il ponte delle spie, con protagonista Tom Hanks.

Nessuno di questi scambi ha mai avuto conseguenze politiche, nel senso che non ha mai modificato l’andamento delle relazioni fra le entità e gli Stati coinvolti, rappresentando un elemento fisiologico in ogni conflitto. Possiamo vederlo anche in relazione alla guerra in corso a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, dove i molteplici scambi di prigionieri avvenuti non hanno avuto alcuna influenza politica.

Nessun passo avanti

Lo scambio di prigionieri appena avvenuto fra Russia e Occidente, dunque, non deve portare all’illusione che qualcosa stia cambiando nei rapporti internazionali e meno che mai deve far pensare che il regime di Putin intenda attenuare la propria attitudine autoritaria e repressiva.

Se non bastasse la morte di Alexey Navalny a dimostrare come la natura del regime russo sia sempre la stessa, basti ricordare che lo scorso 28 luglio il trentanovenne pianista russo Pavel Kushnir è morto in un centro di detenzione in Estremo Oriente a seguito di uno sciopero della fame. Il musicista era stato arrestato a fine maggio con l’accusa di promuovere il terrorismo perché aveva pubblicato dei video contro la guerra sul suo canale YouTube.

Ed è di questi giorni la notizia dell’arresto a Mosca dell’attivista di sinistra Ljuba Lukhashenko per aver filmato un presidio a favore della liberazione dei detenuti politici in Russia.

Resta in carcere anche Boris Kagarlitsky, considerato uno dei maggiori studiosi marxisti viventi, nonostante per la sua liberazione si siano schierate pubblicamente personalità come Naomi Klein, Slavoj Zizek, Jean-Luc Melenchon, Etienne Balibar, Jeremy Corbin, Yanis Varoufakis, Tariq Ali e Gregor Gysi, fra i sottoscrittori di un appello internazionale che ha raccolto circa 20mila firme di intellettuali, parlamentari e attivisti per la pace e i diritti umani.

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