Sui luoghi del massacro

di:

terrorismo

Sandra Manzella è assidua frequentatrice del Medio Oriente e della terra d’Israele. Dai suoi viaggi riporta impressioni e testi di approfondimento di carattere storico, interreligioso e sociale. Con Oligo Editore ha pubblicato Gerusalemme ancora (2024, pp. 308). Ha recentemente visitato i luoghi della strage terroristica dello scorso 7 ottobre 2023 in territorio israeliano.

«Stiamo entrando della cosiddetta “Gaza Envelope”: non entità geografica, ma territorio di sicurezza di dieci chilometri dal confine tra Gaza e Israele. Ci lasciamo alle spalle Ashdod e tra poco arriveremo a Sderot. Anche se da qualche tempo non risuonano le sirene antimissile di Iron Dome, il nostro sistema di intercettazione, non si sa mai. In realtà… l’allerta nella “Envelope” è diversa dal resto d’Israele; al posto delle sirene, qui gli altoparlanti diffondono due parole: zteva adom, cioè allarme rosso. Le procedure cambiano. Se siete in aree aperte, coricatevi proni sul terreno e coprite la testa con le braccia per ripararvi il capo; l’ultima volta ho dovuto coricarmi sull’asfalto bollente e mi sono rovinato le braccia. Oltre alla violenza dei razzi, il pericolo viene dalle schegge di metallo, pietra e vetro. Se, invece, siete nei pressi di un rifugio, avete quindici secondi di tempo per raggiungerlo. I rifugi sono ben identificabili, li vedete? Solo in quel parcheggio ce ne sono quattro. Li trovate un po’ ovunque, soprattutto in prossimità di fermate d’autobus o luoghi pubblici».

Amit Museai è un sopravvissuto al massacro del Nova Festival, nel deserto del Negev, lo scorso 7 ottobre 2023, festa di Simchat Torah, data impressa nel cuore di ogni israeliano come quella di un secondo Olocausto. Normalmente lui lavora come guida turistica, ma da qualche mese accetta di accompagnare gruppi di persone sui luoghi dell’attacco.

«Le porte dei rifugi sono chiuse, si aprono automaticamente in caso di bisogno. La migunit non si può chiudere dall’interno ed è per questo che, purtroppo, alcuni bunker sono diventati trappole mortali, quando i terroristi hanno gettato granate all’interno. È stata la sorte di tre miei amici carissimi: Adir, Shiraz e Céline». Il tono di voce di Amit è tranquillo, ma la lentezza con cui pronuncia queste ultime parole è segno di grande sofferenza: la rielaborazione del trauma passa attraverso il raccontare quell’esperienza terribile.

Strada per strada e casa per casa

Saliamo sulla cima di una collina appena fuori Sderot, ed ecco davanti a noi il confine con la striscia di Gaza, a soli quattro chilometri. Ci dividono torrette di avvistamento, palloni aerostatici con telecamere, cecchini nascosti e una strada trafficata, parallela a un lungo muro di difesa che, come un nastro grigio, si srotola nella campagna verde. All’orizzonte, colonne di fumo, echi di esplosioni e il grigio di agglomerati urbani di cui Amit snocciola i nomi: Beit Hanoun, il campo profughi di Jabalya e Gaza City sulla sinistra, fino alla collina che interrompe il nostro sguardo. Più a sud, Khan Yunis, il valico di Rafah e l’Egitto.

menorah

Foto di Sandra Manzella

Riprendiamo la via fino alla Chabad House, dove nel cortile i resti di razzi Qassam sono stati riutilizzati per costruire una Menorah, il tradizionale candelabro a sette bracci. Lì accanto, in un’area di gioco, spicca un lungo tunnel in cemento dipinto in giallo e verde come un millepiedi. Si tratta di uno dei primi rifugi costruiti qui per non far spaventare i bambini: lo ricordo bene, ero già stata a Sderot e mi ero spinta fino al punto di Black Arrow, ora zona militare proibita.

Altri bunker, abbelliti con alberi e fiori, si individuano nei giardini delle villette bianche dai tetti rossi, disposte in file ordinate lungo viali alberati. Non c’è nessuno in giro: la cittadina sembra svuotata. Prima del 7 ottobre 2023, si contavano trentamila abitanti, ma molti se ne sono andati e parecchie attività commerciali hanno chiuso, nonostante gli aiuti del governo israeliano per chi risiede nella “Envelope”.

Raggiungiamo il luogo in cui sorgeva la stazione di polizia, ora cortile aperto trasformato in memoriale degli agenti uccisi, decorato con foto, fiori e murales dipinti sul palazzo di fronte. Altri edifici sono crivellati di colpi, muti spettatori di tante vicende di eroi e di vittime in una battaglia combattuta strada per strada e casa per casa. Proprio in questa zona, al suono di allarme, dei pensionati su un pullman sono scesi per rifugiarsi nel bunker, ma purtroppo la porta non si è aperta e tutti sono stati massacrati in pochi minuti.

Morte e vita

Di nuovo in marcia lungo la Route 232, tappezzata da grandi macchie scure sull’asfalto rabberciato, perché il passaggio dei carrarmati ha semidistrutto il fondo stradale. Scendiamo giù, percorrendo il Negev, accostando i kibbutz dai nomi troppo spesso letti nella cronaca di quei giorni, ognuno con una sua storia di assalti, combattimenti, disperate difese, incendi: Kfar Azza, Be’eri, Nachal Oz…

Tra il kibbutz Be’eri e quello di Reim si trova l’area del Nova Music Festival. Ci inoltriamo nella zona dove circa quattromila persone, tra giovani e organizzatori, stavano ballando e ascoltando musica. Lo spiazzo è stato trasformato in memoriale da famiglie e varie organizzazioni, ma non c’è ancora niente di ufficiale.

Il campo è presidiato da un servizio di sicurezza e da molti militari: centinaia di aste sormontate da bandiere e nastri gialli, ognuna con una foto di una vittima, alla loro base lumini e, soprattutto, tanti fiori rossi in plastica, resina o ceramica, come gli anemoni che fioriscono in primavera e colorano tutti i prati intorno, meta di gite spensierate. Morte e vita: è stato piantato un albero per ogni vittima.

memoriale

Foto di Sandra Manzella

È qui che Amit ci guida, ripercorrendo le azioni di quella mattina all’alba: in un pannello con la mappa del parco, ci indica la posizione della sua tenda, nel piano in cui stava ballando e le vie di fuga. Ci fa rivivere il caos, la polvere respirata, le spinte, le corse verso i campi aperti, le telefonate concitate alla famiglia.

E la poi la preoccupazione di non avere notizie degli amici che avrebbero dovuto raggiungerlo, con i loro corpi identificati solo il 16 ottobre, nove giorni dopo l’attacco: le vite di Adir, Shiraz e Céline, come quelle di molti altri, si sono spezzate all’entrata del Kibbutz Mefalsim. L’ultimo messaggio di Céline, al cellulare del marito, voleva essere tranquillizzante: ci sono i soldati qui. Purtroppo, si trattava invece dei terroristi.

Restituire i nomi

L’ultima tappa è al «cimitero delle auto»: più di millecinquecento veicoli danneggiati, distrutti, incendiati, tra cui anche mezzi di soccorso per impedire l’arrivo di aiuti. Alcune macchine avevano all’interno degli esplosivi, dunque il recupero non è stato privo di pericoli.

Un lungo lavoro, quello di risalire ai proprietari, tramite l’identificazione di resti umani, oggetti personali e informazioni preziose contenute in cellulari o macchine fotografiche.

«Il mondo deve sapere, ci sono già i negazionisti che diffondono notizie false. E preferisco chiarire che la mia testimonianza non prevede una duplice narrativa: non chiedetemi di Gaza, non voglio parlarne. Il mio obiettivo è quello di mostrare i luoghi dove gli effetti dell’odio e della violenza di Hamas hanno cambiato il nostro mondo».

terrorismo

(Jack Guez / AFP)

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto