Lunedì 8 giugno è iniziata a Madrid l’udienza pubblica del processo contro diversi militari presunti autori, intellettuali e materiali, dell’omicidio di 6 Gesuiti, di una dipendente e di sua figlia, avvenuto presso il campus dell’Università Centroamericana José Simeón Cañas (UCA), il 16 novembre 1989.
Il comunicato rilasciato dalla Provincia centroamericana della Compagnia di Gesù e dall’UCA, inviato all’Agenzia Fides, ricorda che il crimine è stato commesso 31 anni fa «da membri dell’Esercito Salvadoregno, e fin dal primo momento è stato coperto dalle più alte autorità del paese e negato da coloro che l’hanno pianificato e ordinato. Da allora, la Compagnia di Gesù in America Centrale e l’UCA hanno combattuto affinché la verità fosse conosciuta e la giustizia fosse fatta attraverso la magistratura salvadoregna».
Il 16 novembre 1989 vennero assassinati a colpi di mitraglietta 6 Gesuiti e due donne, nel campus dell’Università cattolica centroamericana (UCA) di El Salvador. Furono uccisi i padri Ignacio Ellacuría (Rettore), Segundo Montes (Superiore della comunità), Ignacio Martín-Baró (Vicerettore), Amando López (Professore), Juan Ramon Moreno (Professore) e Joaquin Lopez (Direttore nazionale di «Fe y Alegria»). Le due donne assassinate erano la cuoca, Julia Elba, e sua figlia Celina Ramos. I sei gesuiti, cinque spagnoli e un salvadoregno, erano impegnati nel campo della formazione e dell’educazione, soprattutto dei più poveri, nella difesa dei più deboli, nella rivendicazione dei diritti umani, nell’accoglienza dei rifugiati.
Nel loro comunicato di ieri, i Gesuiti sottolineano che «in questa lotta non sono mai stati soli»: «L’impegno della Compagnia di Gesù e dell’UCA per difendere i diritti umani e lottare per la giustizia che scaturisce dalla fede, è ciò che ha spinto i gesuiti assassinati nell’UCA a denunciare gli abusi di potere al popolo salvadoregno e a cercare strade per la pace, per porre fine a una guerra fratricida irrazionale e senza soluzione in campo militare». Sono gli stessi ideali che hanno motivato la Compagnia di Gesù e l’UCA «a chiedere verità e giustizia al sistema giudiziario salvadoregno per più di 30 anni», nella speranza che «il giorno in cui questa sarà raggiunta non sia troppo lontano, per il bene del popolo salvadoregno e il bisogno di riconciliazione all’interno di questa società».
Ripercorrendo alcune tappe di questi 31 anni, il testo auspica che «l’udienza pubblica rivelerà la verità su questo crimine che ha scioccato il mondo intero» e sottolinea che «il dolore causato da un crimine non si risolve dimenticando, ma riconoscendo la verità, il pentimento e la dignità delle vittime. Questa è la via del perdono cristiano e il percorso verso la vera riconciliazione». La Compagnia di Gesù e le autorità dell’UCA sono disponibili «a perdonare coloro che hanno pianificato ed eseguito questo orrendo crimine», tuttavia, «è necessario conoscere tutta la verità e individuare le rispettive responsabilità, un compito che spetta alla magistratura, in modo che possa essere offerto il perdono successivo».
Coloro che hanno deciso di uccidere i gesuiti dell’UCA, Julia Elba e la loro figlia Celina, sapevano che non avrebbero commesso «semplici omicidi», conclude il comunicato, «hanno ucciso persone innocenti, brave persone, che hanno dedicato la propria vita alla difesa dei poveri, alla promozione della giustizia sociale e alla promozione del bene comune secondo la ragione e la conoscenza accademica». Quindi «Conoscere la verità di ciò che è accaduto in questo e in altri casi sarà un bene per El Salvador, contribuirà alla giustizia per le vittime, costituirà un passo trascendentale nel processo di riconciliazione e darà pace anche alle vittime stesse».
- Agenzia FIDES, 8 giugno 2020.