Lo scontro sulla Lavra delle grotte di Kiev si accelera e potrebbe rivelarsi una sconfitta d’immagine per il governo, impegnato allo spasimo nella guerra contro la Russia. L’ingiunzione di sfratto ai 200 monaci, ai 300 fra seminaristi e studenti dell’Accademia, oltre ai membri della curia della Chiesa non autocefala (in capo al metropolita Onufrio) ha scatenato una viva tensione (cf. qui su SettimanaNews)
All’ambiguo invito del patriarca Cirillo sulla libertà dei monaci si è opposto il metropolita Epifanio, a capo della Chiesa autocefala (riconosciuta da Costantinopoli) che si è rivolto alle comunità della Lavra. Queste hanno risposto che non abbandoneranno la propria Chiesa.
Il sinodo di Onufrio ha scritto a Zelenski per protestare contro le vessazioni di cui soffrirebbero le proprie parrocchie e comunità e ha cercato di incontrarlo. Il dialogo non c’è stato e sono arrivate altre norme restrittive per le comunità della Lavra. Lo scontro sembra non trovare soluzioni percorribili a breve termine.
Tre ipotesi
«L’ultimatum delle autorità statali in relazione alla Lavra – aveva scritto il patriarca Cirillo – sembra essere un atto mostruoso, paragonabile alla persecuzione della fede in tempi di ateismo». Immediata la risposta di Epifanio a un cinico «gerarca, strettamente legato al partito comunista, uno che cercava persino di essere nominato a una carica elettiva». È del tutto improprio e retorico rimandare alle persecuzioni dell’Unione Sovietica.
Nel frattempo, un membro del servizio ucraino per la politica etnica e la libertà di coscienza, Liudmila Filipovitch, ha pubblicamente espresso le possibilità che il Ministero della cultura, a cui il servizio appartiene, prevede per il monastero e per il personale della Lavra: entrare nella Chiesa autocefala di Epifanio o chiedere una dipendenza giuridica diretta dal patriarca Bartolomeo di Costantinopoli oppure prendere il treno per la Russia.
Forse le ipotesi di soluzione non sono così nette se il direttore del ministero rifiuta un intervento di forza anche se pretende l’allontanamento di due gerarchi già sanzionati dai tribunali, il vescovo Paolo che presiede il monastero, e il cancelliere Antonio.
Epifanio si candida
Nel suo appello ai monaci Epifanio ritiene insufficiente l’autonomia reclamata da Onufrio rispetto a Mosca e punta il dito su quanti nella Lavra hanno alimentato l’ideologia del «mondo russo» (Russkiy Mir), la stessa che Cirillo espone a giustificazione dell’aggressione all’Ucraina. «La Lavra non dovrebbe essere strumento contundente contro l’Ucraina, ma piuttosto luogo di preghiera e di devota vita monastica».
Epifanio si candida a guidare la Lavra nel pieno rispetto delle forme monastiche e della liturgia propria (in slavone) delle comunità, in perfetta continuità con quanto vissuto finora.
La risposta delle comunità è netta: l’accusa di promuovere l’ideologia del «mondo russo» è falsa. L’eventuale espulsione sarebbe un favore fatto alla propaganda russa. «Siamo stati, siamo e saremo nella verità e leali verso la Chiesa canonica e il suo primate (Onufrio)». Sottrarre la Lavra alla Chiesa non autocefala ed espellere i suoi abitanti «costituisce una violazione del diritto alla libertà di religione e un grave errore di immagine per lo stato, l’unità del popolo ucraino e la pace religiosa nel nostro paese».
Una posizione che i monaci avevano già espresso in gennaio.
Il sinodo e Zelenski
Il 20 marzo si raduna il sinodo della Chiesa non autocefala che, fra le disposizioni approvate, pubblica un appello al presidente Zelenski. Una delegazione comprendente anche alcuni gerarchi già censurati dal governo si presenta in maniera irrituale davanti alla presidenza e chiede un dialogo diretto col presidente che, non essendo previsto, lo nega. Dopo alcune ore di attesa e dopo aver rifiutato di dare l’appello ai funzionari per farlo avere al presidente, i gerarchi sono costretti dall’allarme aereo a desistere.
L’appello diventa pubblico immediatamente, assieme ad altri testi destinati ai cittadini e alle parrocchie. Al presidente ricordano le vessazioni subite dalle comunità dei fedeli, i sequestri delle Chiese, gli scontri con i fedeli, le decisioni irregolari per far passare le parrocchie alla Chiesa autocefala, il discredito nei media, le accuse ingiuste ai gerarchi oggetto di censure, le proposte di legge penalizzanti.
I gerarchi ricordano la loro fiera opposizione all’invasione russa, l’ampia azione di sostegno alla popolazione e la necessità di garantire la vita della Lavra. Affermano che la costruzione di una società democratica comporta la piena libertà di religione e di fede.
Un segnale di scompostezza del sinodo è stato, ad esempio, la recente rimozione di un vescovo della Crimea dal sinodo stesso giustificata in ragione della sua difficoltà di viaggiare, quando è noto che le diocesi della Crimea sono stata messe da Mosca sotto la propria diretta giurisdizione e il vescovo è stato privato della cittadinanza ucraina.
Perplessità e dubbi
«Personalmente – annota Peter Anderson sul blog Il Sismografo – credo che le possibilità di incontrare il presidente sarebbero state molto maggiori se solo il metropolita Onufrio e pochi altri avessero chiesto un incontro privato col presidente». E aggiunge: «Ci si può domandare cosa sarebbe successo se un gruppo di gerarchi si fosse riunito senza preavviso sulla piazza rossa chiedendo di vedere immediatamente Putin».
Viene attribuita alla reazione stizzita del presidente e del suo entourage la disposizione che la direzione statale della Lavra ha emanato a tamburo battente: la proibizione per i monaci di frequentare le 120 grotte dei santi presenti nel complesso della Lavra e le tre chiese dove venivano celebrate le liturgie dopo l’estromissione delle comunità dalle due chiese maggiori, rendendo così difficili le celebrazioni comunitarie.
Cresce la preoccupazione per l’acutizzarsi di un conflitto che potrebbe effettivamente ferire la libertà di religione se i monaci fossero obbligati a entrare nella Chiesa autocefala.
I monaci di Bose hanno espresso il loro «profondo dolore» per la minacciata espulsione. Il vescovo ortodosso di Londra, Ireneo, che si era espresso con forza contro l’invasione russa, ha protestato vivamente davanti alle vessazioni contro la Chiesa non autocefala. E anche il Concilio ecumenico della Chiese solleva in merito «seri interrogativi riguardo al rispetto della libertà di religione e di credo». Annuncia di avere in programma una tavola rotonda di tutti i responsabili ecclesiali coinvolti nel dramma ucraino.
Ricordiamo che in Crimea e nel Donbass occupato durante il 2014-2022 gli ortodossi autocefali ucraini hanno perso quasi tutti gli edifici, che sono stati sequestrati o distrutti, e hanno subito infinite vessazioni, tra cui persino minacce perché usavano la lingua ucraina