Ucraina-Russia: i droni e le tonache

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Nell’aggressione russa all’Ucraina si sperimentano da ambo le parti le armi più moderne di cui sono esempio i droni, ma riemergono anche correnti religiose di lunga durata espresse dal personale ecclesiastico. Tecnica militare e riferimenti religiosi ancorati nei secoli si intrecciano.

Gli elementi di cronaca delle recenti settimane vanno rapportati alla coscienza religiosa e si possono ricondurre a tre elementi: la condizione delle popolazioni nelle aree occupate dai russi (Donbass e Crimea), l’acceso dibattito sul collaborazionismo o meno della Chiesa ortodossa non autocefala in Ucraina (essa fa riferimento al metropolita Onufrio) e il peso della giustificazione alla guerra d’aggressione da parte del patriarca Cirillo di Mosca.

Deportazione dei bambini

Un decreto presidenziale di Putin (27 aprile) impone agli abitanti dei territori annessi di prendere la nazionalità russa e il passaporto della federazione prima del prossimo luglio. Quelli che non lo faranno saranno considerati stranieri e passibili di espulsione.

L’ordine riguarda la Crimea, occupata dal 2014, ma anche i nuovi territori del Donbass. Qui un milione circa ha già provveduto, ma non mancano i refrattari. In ogni caso, anche coloro che accettano la cittadinanza russa sono soggetti a pene come la deportazione se vengono riconosciuti come una minaccia per la sicurezza nazionale.

Per l’arcivescovo greco-cattolico Borys Gudziak l’insostenibile giustificazione spirituale della Chiesa ortodossa russa copre la deportazione di migliaia di bambini (il Consiglio d’Europa ha formulato l’imputazione di genocidio), l’accusa ai non ortodossi di essere nemici del popolo e spie americane, l’arresto e tortura dei preti greco-cattolici, la chiusura delle chiese. Numerosi battisti, mormoni, testimoni di Geova, cattolici «hanno visto i loro membri arrestati, incarcerati o deportati».

Nel Donbass 29 responsabili religiosi sono stati arrestati e in Ucraina 500 chiese sono state bombardate. Il bilancio da parte del patriarcato di Mosca è diverso. Sono state consegnate 2.850 tonnellate di aiuti, organizzati corsi per le suore con funzione di infermiere, attivati 200 volontari per la ricostruzione delle case a Mariupol. La nostra priorità? «Il completo ripristino della vita religiosa parrocchiale… attraverso il dialogo con le autorità locali».

La lavra e  i collaborazionisti

La soluzione del contratto con la Chiesa non autocefala per l’uso della lavra delle grotte a Kiev da parte dell’amministrazione ha scatenato l’attenzione locale e internazionale (primo articolo: qui; secondo: qui; terzo: qui). Alcune chiese del complesso monastico sono già state destinate alla Chiesa autocefala (di Epifanio), ma i monaci (circa 200) sono rimasti. Sono stati avviati diversi processi coi tribunali civili e amministrativi. Per ora un solo monaco è passato dall’obbedienza a Onufrio a quella di Epifanio, subito interdetto dal primo.

Un caso a parte è quello del vescovo Paolo (Lebed), responsabile della lavra e molto chiacchierato per uno stile di vita lussuoso, proprietario di case e amante di autovetture di pregio. Già privato di alcuni diritti è stato messo ai domiciliari in una delle sue dimore. Ha detto ai monaci: «Non abbandonate la lavra, non diventate traditori».

L’accusa ripetuta ad alcuni responsabili della Chiesa non autocefala è di collaborare col nemico russo, mentre ogni giorno muoiono un centinaio di soldati ucraini in prima linea. Per il deputato ucraino V. Storozhuk troppi collaborazionisti «in talare» hanno benedetto i «liberatori» russi cooperando attivamente con loro con attività di spionaggio. Il già citato vescovo Paolo ha esaltato pubblicamente l’occupazione di Kherson da parte delle truppe di Putin. Un diacono, l’oligarca russo-ucraino V. Novinsky, ha negato che il patriarca Cirillo sostenga la guerra di aggressione.

Per il teologo russo dissidente, C. Hovurum, il metropolita Onufrio sa del collaborazionismo di alcuni suoi vescovi, ma non ha fatto nulla per impedirlo. Eppure, nel caso del  vescovo Antonio di Kmelnytskyi, è bastato un sospetto di trasferimento alla Chiesa autocefala per sostituirlo. Il capo dei servizi segreti ucraino V. Malyuk ha detto di avere scambiato alcuni pope con prigionieri ucraini perché il «nemico apprezza molto in suoi agenti in tonaca».

Fra i vescovi, i collaborazionisti sarebbero una ventina su un centinaio. Il vescovo Serafino di Frankivsk, dopo l’invasione, è fuggito in Russia al servizio di Cirillo senza più tornare. Il suo sostituto, Nikita, è stato accusato di condotte immorali. Il vescovo Teodosio si Cherkassy è stato per alcuni mesi agli arresti domiciliari. Dopo la lavra di Kiev, anche il complesso monastico di Potchaȉev verrà probabilmente sottratto alla Chiesa autocefala.

Dubbi sulla libertà religiosa

Lo stesso Onufrio, molto rispettato per il suo equilibrio e la vita austera, è stato coinvolto nell’accusa di possedere un passaporto russo. Ha dovuto darne una lunga e circostanziata spiegazione affermando di aver abbandonato la cittadinanza russa da anni. «Non ho un passaporto russo… mi considero un cittadino ucraino».

Ai monaci e alla monache arriva la sollecitazione ad abbandonare la Chiesa non autocefala: ha testimoniato l’igumena (superiora) del monastero Sant’Arcangelo di Odessa. Il rettore dell’Accademia collocata nella Lavra delle grotte ha scritto a Bartolomeo di Costantinopoli per denunciare l’attiva partecipazione della Chiesa autocefala alle violenze contro chiese e monasteri che fanno riferimento a Onufrio.

Una voce a parte è quella della Chiesa greco-cattolica. L’arcivescovo maggiore, Svitoslav Shevchuk, ha messo in guardia le autorità dal «creare dei martiri», illudendosi di spegnere una comunità credente. È però consapevole delle ambiguità che abitano la Chiesa non autocefala, il cui comportamento richiama quello degli oligarchi. Quando lo stato «esige il rispetto delle leggi, diventa chiaro che quanti non le hanno mai rispettate possano sentirsi perseguitati», sentirsi offesi perché invitati a rispettarle. È legittimo che lo stato intervenga quando una Chiesa diventa pericolosa per la sicurezza di tutti. Purtroppo, ciò penalizza tutte le comunità credenti perché tutte perdono di credibilità agli occhi della popolazione.

La spinta dei politici e dei media a penalizzare la Chiesa non autocefala solleva qualche dubbio sulla correttezza formale delle decisioni. Di queste ambiguità si alimentano le molte denunce, interne ed esterne, che reclamano il rispetto dei diritti di libertà di religione e di pensiero: dal patriarca ortodosso copto, Tawadros, a quello serbo, Porfirio, dall’istituto San Sergio (Parigi) al metropolita del Montenegro, Giovanni, dalla KEK (consiglio delle Chiese d’Europa) ad alcune istituzioni politiche. Le sentenze dei tribunali forniranno una indicazione importante.

Cirillo: mai preso ordini

Privo di ogni incertezza e ambiguità è il sostegno del patriarca Cirillo di Mosca alla guerra contro l’Ucraina. Anche a costo di smentire le sue affermazioni. Nell’intervento che fece all’assemblea ecumenica di Basilea (15-21 maggio 1989) esaltava la democratizzazione interna di Gorbaciov e anzi auspicava una «democratizzazione interna profonda» per l’intera società. E citava Ef 6,12 (la lotta non contro le creature ma contro i Principati e le Potestà) non applicandola all’Occidente come fa ora, ma come impegno «morale comune a tutti».

Un appoggio alla guerra anche a costo di smentire un magistero da lui stesso approvato, come un passaggio de I fondamenti della concezione sociale (concilio russo 2000) in cui al capitolo terzo, n. 5 si esclude la giustificazione ecclesiale per «una guerra civile o una guerra di aggressione esterna». Il 18 aprile proclama: «l’isola della libertà è il nostro paese e la nostra Chiesa».

E reagisce con forza davanti alle accuse di prendere ordini da Putin. «Davanti a Dio vi dico: il presidente non ha mai dato ordini al patriarca, non li sta dando e, ne sono certo, non li darà». Ed esalta la “sinfonia” Chiesa-politica che neppure a Bisanzio «fu mai pienamente realizzata».

Il 21 aprile trasforma l’aggressore in aggredito. La «difesa della patria è il più grande dovere e un atto santo… Invito tutti voi ad elevare oggi una preghiera speciale per il nostro presidente, per le autorità e il nostro esercito, e per tutto il popolo, affinché nessuna forza malvagia esterna possa dividerci e quindi indebolirci».

Il 30 aprile irride quanti  «percepiscono ancora il cosiddetto mondo occidentale come ideale. Ma questo non è ideale, è la fine, è la morte della civiltà! Matrimoni tra persone dello stesso sesso, pedofilia, “libertà” che distrugge completamente la personalità: tutto ciò che ferisce la persona, la sua autenticità, la sua natura. E qualsiasi politico pensante deve capire: non c’è prospettiva di vita dall’altra parte (Occidente), perché tutto ciò che oggi viene presentato lì come ideale, viene dall’Anticristo, dal demone. Contro Gesù Cristo».

E attribuisce le diverse posizioni delle Chiese d’Occidente alla paura: «Sì, hanno paura! Noi, anche nell’Unione Sovietica, non avevamo paura di andare controcorrente!».

Paura di chi?

Eppure, nello stesso giorno, in un’omelia durante l’ordinazione di un vescovo, mette in guardia l’eletto dalla paura: «È molto importante che il timore di Dio ti aiuti a superare la tua paura terrena e quotidiana. Chi ha paura non sa gestire efficacemente la Chiesa e guidare il popolo. La sua parola non sarà autorevole per chi ascolta. Come un capitano che ha paura di una tempesta non può guidare la nave sulla giusta rotta con mano ferma».

Il 18 aprile denuncia un pericoloso «nemico interno» e, qualche giorno dopo, specifica: «Oggi la nostra preghiera è per la nostra patria, affinché il Signore la protegga dai nemici esterni e interni, da tutti coloro che non associano la propria vita alla Russia, che sono pronti a fare soldi in Russia, ma non sono mai stati pronti a servire la patria. Dobbiamo educare le persone, anche attraverso la predicazione, all’amore per la patria che è la virtù più grande».

La cecità dell’Occidente

Dai dati di cronaca prende figura una riflessione critica di Jean-François Colosimo verso l’Occidente sul peso della fede nell’attuale contesto bellico internazionale. Senza questo non si comprende che «Vladimir Putin, in nome di una religione reinventata (Ortodossia russa o russismo ortodosso), ma con uno zelo indiscutibilmente religioso, attacchi l’Ucraina non senza disprezzare la nostra supposta a-religione e burlandosi dell’Occidente anatematizzato come decadente nei suoi costumi perché declinante nel suo credo. Che cosa ci è successo? Abbiamo castrato la storia e la geografia che la religione ha plasmato molto più che qualsiasi altra istanza ed esse sono diventate per noi come lingue straniere. Abbiamo omesso che il fatto religioso è prioritario, che appartiene al codice genetico, che struttura le mentalità collettive e che non ha bisogno di essere manipolato per influire. Abbiamo mal-giudicato  che, se c’è una divisione del mondo in aree e blocchi, essa risiede anzitutto nell’immaginario. Le rappresentazioni simboliche istruiscono le istituzioni politiche, economiche e sociali. Non il contrario. Abbiamo rimosso che la cultura procede sempre dal culto. Nessuna frontiera d’ordine fisico ha mai impedito uno scontro dalle pretese metafisiche. E, infine, abbiamo occultato che il sacrificio supremo si compie tanto meglio quando viene comandato da una figura invisibile e non dimostrabile» (La crocifixion de l’Ucraine, Parigi 2022, p. 206).

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Un commento

  1. Giampietro 5 maggio 2023

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