La vivace discussione sui limiti che il governo ucraino intende definire rispetto alla Chiesa ortodossa filo-russa, o meglio non autocefala, in capo al metropolita Onufrio, contrasta con la sintonia, apparentemente priva di tensioni, fra la Chiesa ortodossa russa e il potere politico di Putin.
Il contesto dialettico di un paese devastato dall’aggressione russa non trova alcun corrispettivo nei peana elevati dal patriarca Cirillo al nuovo zar russo. Si denunciano i possibili limiti della libertà religiosa in Ucraina e si tace sulla condizione religiosa dei territori occupati (Crimea e Donbass), oltre che all’interno della Russia. Mentre si annuncia un rinnovato attacco russo e cresce il pericolo di un allargamento del conflitto.
Sulla libertà religiosa in Ucraina
Motivo del contendere sono le disposizioni governative circa alcuni esponenti della Chiesa ortodossa ucraina di Onufrio, le oltre 300 azioni di polizia nei confronti di monasteri e diocesi di quella Chiesa, la sospensione del contratto d’uso delle chiese maggiori della Lavra delle grotte a Kiev, le decisioni di restrizione delle libertà per alcuni esponenti ecclesiali (prima 14 gerarchi e 33 preti, poi, il 25 gennaio, altrui 22 ecclesiastici sia russi che ucraini).
Ma, soprattutto, sono in questione le sette proposte di legge (sotto esame in particolare quattro che modificano la legge sulla libertà religiosa) che andranno in discussione prossimamente al parlamento del paese.
Una commissione di esperti, nominati dal governo, il 1° febbraio ha consegnato un rapporto in cui si afferma che è ancora in essere «la connessione ecclesiastico-canonica tra la Chiesa ortodossa ucraina e la Chiesa ortodossa russa».
Nei nuovi statuti, approvati il 27 maggio 2022, non sarebbe chiara la rottura del vincolo con Mosca, non emergerebbe una reale indipendenza di essa e non si troverebbe traccia di una autocefalia.
A parere degli esperti, non sarebbe sufficiente la condanna di Onufrio all’invasione russa, il cambiamento degli statuti e la decisione di consacrare il sacro crisma a Kiev (senza riceverlo da Mosca) per garantire alla Chiesa ortodossa non autocefala una reale autonomia e mostrare l’infondatezza dei sospetti di collaborazionismo con l’invasore, verificati con le già citate operazioni di polizia.
Il sinodo della Chiesa autocefala, che fa riferimento al metropolita Epifanio, appoggia la posizione del governo e lo esorta «a continuare il suo lavoro volto alla protezione della sicurezza nazionale in ambito religioso». Ritiene ingiustificate le accuse di persecuzione da parte della Chiesa di Onufrio, sorprendentemente silente sulle violazioni dei diritti nei territori occupati dai russi.
Perseguitati o collaborazionisti?
L’arcivescovo maggiore degli Ucraini, il maggiore esponente della comunità greco-cattolica del paese, mons. Svjatoslav Ševčuk, in una intervista a Ukrainska Pravda (19 gennaio) ha preso posizione critica nei confronti delle proposte di legge che mirano a delegittimare la Chiesa ortodossa non-autocefala, o filo-russa. Il pieno rispetto delle libertà democratiche rimane un dovere anche nel contesto drammatico della guerra.
Inoltre, forte dell’esperienza della sua Chiesa durante la repressione comunista – è stata la comunità più perseguitata – ha fatto notare: «Interdire quella Chiesa vuol dire consegnarle la palma del martirio. La si inviterebbe a entrare realmente nell’orbita dell’opposizione silenziosa, giustificandone le rivendicazioni».
A un esponente politico ha detto: «Se volete dare un futuro al patriarcato di Mosca in Ucraina, mettetelo fuori legge» (cf. qui).
La Chiesa di Onufrio, che si è rifiutata di avallare le proteste della Russia e della Chiesa di Mosca all’ONU (cf. qui), non ha mancato di fare presente al Consiglio di sicurezza dell’organizzazione internazionale i pericoli per la libertà religiosa rappresentati dai disegni di legge e dalle «sanzioni personali illegali contro i vescovi della Chiesa (filo-russa)».
Il responsabile giudico della Chiesa ha criticato la scelta degli esperti fatta dal governo. Alcuni si erano già espressi in forma critica e il loro lavoro non si sarebbe concentrato sugli statuti recenti della Chiesa non autocefala, quanto piuttosto sui documenti del portale on-line della Chiesa russa.
Uno dei suoi vescovi censurati, Paolo, responsabile della comunità monastica della Lavra delle Grotte di Kiev, luogo fondativo e prestigioso per l’intera ortodossia slava, il 31 gennaio ha lanciato un appello al mondo monastico di tutte le Chiese ortodosse per essere difesi «dalle persecuzioni, dai soprusi e dalle discriminazioni contro i cristiani della Chiesa ortodossa (filo-russa)» e invocando «di porre fine all’incitazione all’odio interconfessionale nel nostro paese». Peccato si sia dimenticato qualche mese fa di fare appello all’assemblea generale del monachesimo russo per una parola contro la guerra (cf. qui).
Voci prevedibili e perplessità reali
Alle voci interne si sono unite quelle dei gerarchi delle Chiese filo-russe all’estero. Ireneo di Backa (Serbia) ha parlato di persecuzioni, intimidazioni e di «terrorismo di stato».
Il metropolita del Montenegro (Chiesa serba), Giovanni, ha ricordato che un’operazione similare di sequestro delle chiese era stata tentata in Montenegro ed è fallita. Anche grazie al sostegno del metropolita Onufrio che aveva visitato il Montenegro in quei mesi.
Il metropolita Marco di Berlino, peraltro critico dell’aggressione militare russa, ha accusato il governo di Kiev di essere andato oltre la persecuzione hitleriana («Hitler non è andato tanto oltre quanto le autorità ucraine»).
La Chiesa russa attacca sia il governo di Kiev sia il patriarca di Costantinopoli per la sua decisione di riconoscere l’autocefalia alla Chiesa ucraina di Epifanio. In un commento, peraltro tardivo (2 marzo 2923), all’intervento di Bartolomeo ad Abu Dhabi (9 dicembre 2022), lo si accusa della responsabilità della frattura nell’Ortodossia e del colpevole silenzio sulle perquisizioni, interrogatori, violenze e calunnie in atto contro la Chiesa di Onufrio.
Per Cirillo (25 gennaio) Bartolomeo non è libero e «forze straniere usano il patriarcato di Costantinopoli per i loro scopi». Il sinodo moscovita denuncia una «campagna anticristiana» in atto in Ucraina con un enfatico riferimento alle persecuzioni comuniste.
Un margine di ambiguità nelle decisioni restrittive circa la Chiesa di Onufrio è condivisibile e lo sottolinea un esperto assai attento come Peter Anderson che valorizza gli elementi più critici dell’azione di quella Chiesa nei confronti della Russia, come, in negativo, la rimozione di Olena Bogdan dalla presidenza del servizio statale circa le fedi. Trova, in particolare, eccessive le penalizzazioni previste per il metropolita russo Ilarion, prima responsabile del dipartimento delle relazioni estere del patriarcato e ora confinato nella piccola comunità ortodossa d’Ungheria, probabilmente a causa delle sue reticenze sull’opportunità della guerra.
Un più energico distacco è tuttavia richiesto in un documento di chierici e laici della Chiesa non autocefala (12 gennaio) che pone al proprio sinodo dieci domande a cui rispondere per una piena chiarifica dell’indipendenza canonica e teologica (contro il “mondo russo”) rispetto al patriarcato di Mosca.
In una recente inchiesta, l’istituto di ricerca KIIS registra che il 78% degli ucraini sostiene il governo nella sua volontà di disciplinare la Chiesa non autocefala. Per il 54% dovrebbe essere cancellata.
Putin, meglio degli zar
Tutt’altro clima a Mosca, dove Cirillo prosegue in una giustificazione piena dell’aggressione militare all’Ucraina in nome di uno scontro apocalittico con il decadente Occidente e per la salvezza del cristianesimo, espresso solo dalla sua Chiesa. «Ringrazio Dio per il fatto che le relazioni Chiesa-stato si stiano sviluppando oggi in questa maniera nello stato russo e Dio conceda che ciò si prolunghi nel futuro. Ringrazio Vladimir Vladimirovich Putin, presidente del nostro paese… che sostiene proprio questa modalità di interazione tra Chiesa e stato. E, parlando francamente, questa è la prima volta in tutta la lunga storia della Chiesa ortodossa russa» (1° febbraio 2023). «La Russia sta diventando sempre più un’isola di libertà, perché sosteniamo i valori che garantiscono la vera libertà» (25 gennaio).
A parte un piccolo gruppo di preti e di credenti (cf. qui), il dissenso è intuibile solo nel silenzio. Cirillo sottolinea: «Oggi, nelle nostre file, non c’è un solo vescovo che dica: no, non sono affari miei, resto in disparte» (1° febbraio). Elenca con soddisfazione le conquiste della Chiesa nella società e nello stato. Vi è la necessità di una nuova ideologia costruita attorno all’idea nazionale che la Chiesa sta promuovendo.
Il presidente ha firmato il 9 novembre 2022 un decreto sui fondamenti della politica statuale che garantisce i valori morali e spirituali della tradizione russa. Si conferma l’impraticabilità (condivisibile) della fecondazione surrogata, ma anche l’esclusione dalla comunicazione pubblica di ogni riferimento all’omosessualità o al cambiamento di genere. Il mese successivo Putin ha approvato le modifiche al codice della famiglia che garantiscono la sua struttura tradizionale.
Ma non mancano le richieste di nuove normative legali: privare l’aborto di ogni copertura finanziaria. Chi lo fa, se lo paghi. Provvedere, inoltre, all’esenzione dal servizio militare per gli ecclesiastici, il cui servizio al fronte è del tutto volontario. Inoltre, ampliare a tutte le scuole d’obbligo l’insegnamento della religione ortodossa e riconoscere i titoli accademici delle scuole e facoltà teologiche.
La responsabilità della guerra è tutta addebitabile agli ucraini e ai loro alleati. Così le violenze sui civili e le stragi non sono attribuibili all’esercito russo. Compito della Chiesa è pregare per la pace, chiedere un trattamento umano per i prigionieri, sostenere l’evacuazione dei civili dai territori degli scontri e, una volta concluse le ostilità, operare per la riconciliazione. Nessun accenno ad un giudizio più argomentato e meno corrivo in ordine alla guerra e nessuna percezione dell’urgenza indilazionabile di colloqui di pace, alla vigilia di un minacciato attacco in grande stile dell’armata russa.
Armistizio urgente e il sogno di una nuova Helsinki
Pretendere di vincere la guerra vuol dire sottovalutare un ampliamento incontrollato del conflitto. L’auspicio è quello di un armistizio e di una pace trattata. Come suggerisce Arduino Paniccia su Avvenire (1° febbraio) questo comporta il coinvolgimento di USA-Nato e Cina su iniziativa di uno dei due.
«Una cosa è chiara: fino ad oggi si è parlato del destino dei territori occupati e della Crimea. Ma questo non può essere un punto di partenza di nessuna concreta trattativa. Una conferenza di pace tra potenze deve prendere il via da accordi sugli armamenti (uso dell’arma nucleare, droni, sottomarini, missili balistici), per condurre a un contesto geoeconomico in cui sia prevista l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, che definisca gli aspetti della sicurezza, del ruolo della Nato, e che offra soluzioni diplomatiche “creative” per i “corridoi” del Donbass».
Pieno di fascino e di profezia l’indirizzo espresso dal card. Pietro Parolin in un colloquio del 13 dicembre (L’Europa e la guerra. Dallo spirito di Helsinki alle prospettive di pace).
«Abbiamo bisogno di immaginare e costruire un nuovo concetto di pace e di solidarietà internazionale, ricordandoci che tanti paesi e tanti popoli chiedono di essere ascoltati e rappresentati. Abbiamo bisogno di realizzare nuove regole per i rapporti internazionali, che oggi ci appaiono – passatemi l’espressione – molto più “liquidi”, e dunque inconsistenti, rispetto al passato.
Abbiamo bisogno di coraggio, di scommettere sulla pace e non sull’ineluttabilità della guerra; sul dialogo e sulla cooperazione, e non sulle minacce e sulle divisioni. Abbiamo bisogno di una de-escalation militare e verbale, per ritrovare il volto dell’altro, perché ogni guerra – diceva il venerabile mons. Tonino Bello – trova la sua radice nella “dissolvenza dei volti”. Perché, dunque, non tornare a rileggere ciò che è scaturito dalla Conferenza di Helsinki, così da riprendere alcuni dei suoi frutti e metterli a tema in forma nuova? Perché non lavorare insieme per realizzare una grande conferenza europea dedicata alla pace?».