Una tregua umanitaria nell’est del Congo

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Per quasi tre decenni, la parte orientale della Repubblica Democratica del Congo è stata segnata da notizie di guerra. Uomini, donne e bambini muoiono ogni giorno; le armi cantano l’inno della morte tutto il giorno.

In breve, il Nord Kivu, epicentro del conflitto, è stato ridotto a un obitorio. Nel Grand-Nord, i ribelli ugandesi dell’ADF/NALU la fanno da padrone, uccidendo uomini, donne e bambini; nel Grand-Sud, il Movimento del 23 marzo (M23), una ribellione sostenuta dal regime ruandese, ha stabilito il suo regno a Rutsuru, Nyirangongo e Walikale. Di conseguenza, le principali città della provincia, Goma, Beni e Butembo, sono state praticamente soffocate e trasformate in campi per sfollati, con migliaia di persone che temevano per la propria vita e sono state costrette a vivere in condizioni di povertà e indegnità. I negozianti, le cui attività sono state rase al suolo, lottano per la sopravvivenza; solo il loro forte attaccamento alla vita li fa sopravvivere.

Nel sud del territorio di Lubero, l’M23 ha consolidato la sua presenza nelle ultime settimane conquistando la città di Kanyabayonga, una località strategica al crocevia tra i territori di Walikale e Lubero. È successo il 1° luglio. La notizia si è diffusa a macchia d’olio, accompagnata da una grande delusione, perché la presa di Kanyabayonga ha aperto la strada verso altre altre grandi città, tra cui Butembo. Da qui la paura di molti congolesi, che vedono perdere non solo una battaglia ma l’intera guerra.

Mentre le ostilità si intensificavano, giovedì scorso il Dipartimento di Stato americano ha annunciato la firma di una tregua di due settimane tra i ribelli dell’M23 e l’esercito congolese, per permettere alla popolazione di tornare alle proprie case e alle agenzie umanitarie di prestare soccorso a migliaia di uomini, donne e bambini indigenti. Un sospiro di sollievo, certo. Ma è davvero sufficiente? Non dovremmo dichiarare la guerra finita?

La tregua umanitaria è entrata in vigore venerdì 5 luglio, ma le linee non sembrano muoversi e i due belligeranti si fissano come cani e gatti da posizioni distanti appena un chilometro a Lubero. Se è bastata una semplice dichiarazione della Casa Bianca per far tacere le armi, non possiamo pensare che ci sia lo zampino degli occidentali?

Inoltre, le elezioni presidenziali in Ruanda sono previste per il 15 luglio: è solo una coincidenza? Queste sono solo alcune delle domande che gli analisti informati continuano a porsi. Comunque sia, al di là di una tregua, ciò che la popolazione del Kivu sogna è la fine di questa guerra ingiustamente imposta. E tutto ciò che serve, a quanto pare, è una semplice volontà da parte di chi manovra le cose.

  • In collaborazione con la rivista Je écris, Je crie.

Une trêve humanitaire à l’Est de la RDC

L’Est de la République Démocratique du Congo, depuis près de trois décennies, se démarque par des nouvelles de guerre. Des hommes, femmes et enfants y meurent chaque jour ; les armes chantent en longueur de journée l’hymne de la mort. Bref, le Nord-Kivu qui en est l’épicentre a été réduit à un mouroir. En effet, si dans le Grand-Nord, les ADF/NALU, rebelles venus de l’Ouganda font la loi en tuant hommes, femmes et enfants qu’ils rencontrent sur leur chemin, dans le Grand-Sud, c’est le Mouvement du 23 Mars (M23), une rébellion soutenue par le régime rwandais, établit son royaume dans le Rutsuru, le Nyirangongo, le Walikale.  Les grandes villes de la province, Goma, Beni et Butembo se sont du coup quasiment vues asphyxiées et transformées en camps des déplacés ; des milliers de personnes craignant pour leur vie étant obligées de vivre dans l’indigence et l’indignité totale. Les commerçants, du reste de leurs business calcinés par les flammes, se battent pour la survivre ; seul le vif attachement à la vie les rend têtus…

Au Sud du territoire de Lubero, ces dernières semaines, le M23 a consolidé sa présence  en faisant tomber la cité de Kanyabayonga,  cité stratégique puisque charnière entre les territoires de Walikale et Lubero. C’était exactement le 01 juillet dernier. La nouvelle comme une traînée de poudre s’était répandue accompagnée d’une grande déception puisqu’en fait, Kanyabayonga ouvre un chemin droit vers autres grandes agglomérations dont la ville de Butembo notamment. D’où la peur au ventre de nombreux congolais qui se voient perdre non pas une bataille mais toute la guerre.

Alors que donc les hostilités s’intensifiaient, le jeudi passé, le Département d’Etat américain a annoncé qu’une trêve de deux semaines a été signée entre les rebelles du M23 et l’armée congolaise, afin de permettre à la population de regagner leurs domiciles et aux organismes humanitaires de soulager des milliers d’hommes, femmes et enfants dépourvus de tout. Un ouf de soulagement, certes. Mais cela suffisait-il vraiment ? Ne doit-on plutôt pas déclarer la fin de la guerre ?

Entrée en vigueur ce vendredi 05 juillet, les lignes ne semblent pas bouger et les deux belligérants se regardent en chiens et chats sur des positions distantes d’un kilomètre seulement dans le Lubero. Si donc, une simple déclaration de la Maison Blanche a suffi pour que les armes se taisent, ne peut-on pas penser qu’eux (les Occidentaux) y sont pour quelque chose ? Par ailleurs, les élections présidentielles sont prévues au Rwanda pour le 15 juillet prochain, ceci est-il une simple coïncidence ? Des questions ; oui des questions parmi tant d’autres que des analystes avisés ne cessent de se poser. Quoi qu’il en soit, au-delà d’une trêve, ce dont les habitants du Kivu rêvent c’est la fin de cette guerre injustement imposée. Et semble-t-il, il suffit d’une simple volonté de la part des tireurs de ficelle et des pêcheurs en eaux troubles.

  • Publié en collaboration avec le magazine Je écris, Je crie.
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