Per il direttore della rivista dei gesuiti statunitensi America, p. Matt Malone s.j., la nomina di Amy C. Barret a ridosso delle elezioni presidenziali di novembre quale nono giudice della Corte Suprema statunitense è quantomeno inopportuna: «non vi è dubbio che il presidente e il Senato avrebbero dovuto attendere».
Presidente e Senato hanno sì agito legittimamente, nell’ambito dei poteri loro concessi, «ma, tuttavia, è presupposto fondamentale di ogni calcolo etico il fatto che non si dovrebbe fare qualcosa semplicemente perché uno ha il potere di farla».
La decisione di Trump rappresenta un duro colpo per un corpo politico che, tra Senato e Camera dei rappresentanti, «sta già boccheggiando in ricerca di qualche refolo d’aria non di parte». Ed è proprio l’uso politico del potere giudiziario ad essere la vera questione in gioco (non certo a partire da Trump, anche se con lui la questione è stata portata alle soglie di un punto di non ritorno).
«Dobbiamo decidere come paese se vogliamo andare avanti a considerare le nostre corti come una terza camera del potere legislativo, se vogliamo che le questioni sociali e morali più controverse del nostro tempo vengano decise non dagli elettori o dai rappresentanti da essi eletti, ma da nove persone non elette che, per la maggior parte, hanno studiato a Harvard o Yale».
L’occupazione politica della Corte Suprema corrisponde, dunque, alla fine della politica come tecnica e arte di governo, sancendo da ultimo l’inutilità degli organi rappresentativi del sistema democratico come ambito adeguato in cui cercare e trovare una mediazione politica tra posizioni diverse – attraverso processi di negoziazione che riescano a dare stabilità alle scelte fatte in sede legislativa.
La fragile repubblica
In un lungo articolo, pubblicato su Foreign Affairs con il titolo La Repubblica fragile, S. Mettler e R. Lieberman ricordano che «quando i partiti dividono i rappresentanti eletti e la società in due campi immutabilmente opposti, che si vedono l’un l’altro come nemici, allora essi indeboliscono e danneggiano la coesione sociale e la stabilità politica».
I due autori individuano quattro dimensioni di fragilità che possono mettere a repentaglio la tenuta democratica e costituzionale del sistema politico americano: 1) polarizzazione politica; 2) conflittualità su chi appartiene o meno alla comunità politica; 3) una crescente disuguaglianza economica; 4) uso eccessivo del potere esecutivo. «Oggi, per la prima volta da sempre, il paese si trova difronte a tutti e quattro questi pericoli allo stesso tempo».
«Il presidente Trump ha spietatamente sfruttato queste divisioni sempre maggiori per distogliere l’attenzione dall’insufficiente risposta della sua amministrazione alla pandemia e per attaccare coloro che egli percepisce come suoi nemici personali o politici». D’altro lato, come nota Malone nel suo articolo, anche i democratici sembrano condividere la cultura politica di un decisionismo di parte, basato sulla mera forza dei numeri, volto a imporre all’altra parte della nazione la propria visione – senza alcuna negoziazione e mediazione.
In questa condizione, secondo Mettler e Lieberman, vi è solo una via per sottrarre il sistema democratico all’implosione dello scontro totale tra i partiti e le due parti della Nazione: «nella valutazione delle politiche o delle proposte legislative, gli americani dovrebbero distanziarsi dalle loro tendenze ideologiche, dagli interessi materiali, e dalle preferenze di parte, concentrandosi invece sulla domanda se tali misure rinforzano o indeboliscono la democrazia. La cosa più importante che gli americani possono fare è insistere sul ruolo della legge, la legittimità della competizione, l’integrità dei diritti, e una strenua difesa di elezioni libere e imparziali».
Insomma, solo una ripresa rapida di una politica costituzionale, piuttosto che di parte, potrebbe salvare l’America da se stessa. Le imminenti elezioni ci diranno quale tipo di politica vogliono i cittadini statunitensi – e se colui che sarà eletto sceglierà di condurre lentamente il paese fuori dalla faziosità di parte in cui lo ha condotto lo scontro ideologico totale in atto da tempo.