USA-Israele-Iran: la vittoria di Erdogan

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L’annuncio da parte di Donald Trump di negoziati diretti con l’Iran ha fatto emergere, un po’ sotto traccia, il volto del leader turco Erdogan.

Come raccontato ieri (cf. SettimanaNews, qui), la questione iraniana rimane certamente aperta a sviluppi diversi; Trump però non ha soddisfatto le posizioni di coloro che volevano comunque l’attacco a Tehran. Con il bastone, cioè con una mobilitazione di mezzi militari che portando i temibilissimi bombardieri B2 a distanza di volo da Teheran e quindi pronti ad un eventuale attacco alle centrali nucleari iraniane, ha fatto prevalere la scelta negoziale anche a Tehran.

Poco fa il ministro degli esteri iraniano al riguardo ha affermato: “La questione nucleare, nel senso di una chiarificazione e assicurazione della natura pacifica del nucleare iraniano in cambio della rimozione delle crudeli sanzioni è l’unico argomento in discussione”. Da parte sua Trump ha detto che Tehran non può avere la bomba atomica, questo è escluso. Dunque esito aperto, l’opzione militare oggi però non è scontata.

Sabato nella capitale dell’Oman comincerà la discussione tra le due delegazioni, che dovrebbero essere guidate dal ministro degli esteri iraniano e dall’inviato in Medio Oriente della Casa Bianca Witkoff.

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Ma c’era un altro argomento in discussione alla Casa Bianca, la Siria, dove Israele ha denunciato con fermezza l’espansionismo militare turco, temuto come avvicinamento ai suoi confini di un fronte “islamista” costituito questa volta da Turchia e le nuove autorità siriane. Il ministro degli esteri turco era intervenuto a raffreddare le acque, dopo diversi bombardamenti israeliani in territorio siriano contro postazioni militari, dicendo: “non vogliamo nessun confronto militare con Israele in Siria”.

Questo messaggio per molti osservatori è stato indirizzato a Washington, poiché la Turchia insiste nel volersi occupare lei della lotta contro l’Isis nell’est siriano, permettendo alle forze statunitensi di considerare il ritiro dal Paese. Se Israele vorrebbe imporre condizioni per la revoca delle sanzioni statunitensi su Damasco, la Casa Bianca sembra convinta della utilità di un ruolo più ampio per Ankara in Siria.

Infatti dallo studio ovale, poco dopo aver parlato di Iran, Trump ha detto: “Ho un buon rapporto con un uomo di nome Erdogan. Avete sentito parlare di lui? Si dà il caso che lui mi piaccia e che io piaccia a lui”. Per poi aggiungere: “Ho detto a Erdogan: congratulazioni, hai fatto quello che nessuno avrebbe potuto fare in 2.000 anni. Hai preso il controllo della Siria”. E riferendosi a Erdogan ha aggiunto: “È un osso duro. È molto intelligente e ha fatto qualcosa che nessuno avrebbe potuto fare”.

Per gli equilibri in Siria le parole di Trump significano molto, visto che per il presidente americano tutti i problemi con Ankara sono risolvibili purché Israele si dimostri ragionevole. Infatti alcuni hanno visto nelle sue parole l’indicazione che una Siria legata alla Turchia sarebbe preferibile alle altre possibili (probabilmente pensando al ritorno di altre influenze).

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Ma le parole di Trump pesano molto anche in Turchia, paese attraversato da molti giorni da fortissime proteste e manifestazioni contro Erdogan. Il Manifesto scrive che il leader dell’opposizione turca a Erdogan, Ozgur Ozel, appena eletto leader del partito ha detto, riferendosi al recente arresto del principale sfidante di Erdogan in vista delle presidenziali, il popolarissimo sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu: «Mi rivolgo a Erdogan, non al presidente eletto con i voti della nazione, ma al leader della giunta che ha tentato un colpo di Stato. Devi dircelo, guardandoci negli occhi: il golpe contro il tuo avversario è stato autorizzato dagli Stati uniti, oppure no? Trump sapeva che Imamoglu sarebbe stato arrestato. Ci sono dichiarazioni secondo cui “l’America è stata interpellata”. Finora, nessuna risposta né da Ankara né da Washington. Sappiamo tutti che c’è un legame con l’oltreoceano».

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Trump nelle sue esternazioni alla Casa Bianca ha parlato anche di Gaza: “Noi siamo determinati a liberare tutti gli ostaggi, ma anche a eliminare la tirannia e a consentire agli abitanti di Gaza di scegliere liberamente dove vogliano andare” – senza alcuna menzione del diritto a rimanere dove vivono. Il piano di Trump per Gaza, respinto sin qui da tutti i paesi arabi, resta lo stesso. Le preoccupazioni espresse dall’Onu non sono state citate.

Il punto che emerge evidente è la conferma di ciò che molti ritenevano, e cioè il solido rapporto tra Trump e il leader turco, con tutto ciò che ne consegue, in termini interni alla Turchia e internazionali. Che poi lui, almeno stando alle sue affermazioni, sia un difensore dei palestinesi è un’altra storia.

Meno evidente ma possibile, appare a molti commentatori anche che Trump, dopo aver ordinato durante il suo precedente mandato l’eliminazione del più importante pasdaran, il generale Qassem Soleimani, sia pronto a scegliere una linea “pragmatica” con Tehran. Anche qui però si coglie un’evidenza: lo scarso rilievo attribuito al movimento “donna, vita, libertà”. Se poi si cercherà una sistemazione di tutto questo, e altro, in occasione del suo probabile viaggio a Riad nel prossimo mese di maggio resta da capire.

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2 Commenti

  1. Maria Laura Innocenti 15 aprile 2025
  2. Aldo Ciaralli 15 aprile 2025

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