In vista della prossima assemblea plenaria dei vescovi statunitensi è riemersa, per mano di alcuni di loro, la questione se la Conferenza episcopale debba emettere una nota dottrinale sul diniego della comunione a quei cattolici che sono pro-choice in materia di aborto. Posizione, questa, che coinvolgerebbe circa il 50% dei fedeli cattolici americani.
Ma non è a costoro che pensano i vescovi intervenuti sul tema in questi giorni: il bersaglio, fin dalla sua elezione, è il presidente Joe Biden. In un articolo pubblicato su NCR, il gesuita Thomas Reese presenta in termini lucidi il quadro della questione.
Per poter pubblicare un simile documento dottrinale, la Conferenza episcopale statunitense avrebbe bisogno di 2/3 dei voti favorevoli in sede plenaria; poi dovrebbe inviare una richiesta di approvazione alla Santa Sede. Per Reese è improbabile che il Vaticano di papa Francesco acconsenta a una simile presa di posizione nel periodo presidenziale di Biden.
In alternativa, spetterebbe al vescovo locale escludere delle persone dal ricevere la comunione durante la partecipazione alla celebrazione eucaristica. Per quanto riguarda la diocesi di Washington, l’arcivescovo Wilton Gregory ha già affermato che non intende procedere in questo senso per ciò che riguarda Biden – e tutti gli altri fedeli della sua Chiesa locale.
Reese annota con pertinenza che i vescovi favorevoli al diniego della comunione per Biden sanno benissimo quali sono i limiti canonici ed ecclesiologici che si frappongono a questa eventuale decisione. “Cosa sta dunque succedendo – si chiede Reese –. Si tratta di politica”.
“Le guerre sulla comunione sono parte di una strategia politica, che non ha nulla di spirituale. I repubblicani sanno che le guerre sulla comunione sono come bocconcini prelibati per i giornalisti, e i repubblicani e i loro vescovi alleati preferiscono che venga raccontata questa storia, piuttosto che quelle riguardanti l’impegno di Biden contro il Covid, quello sulle infrastrutture, il cambiamento climatico e la creazione di posti di lavoro”.
Fare della comunione uno strumento di narrazione politica, da usare per stigmatizzare un avversario, è qualcosa di molto lontano dallo spirito della celebrazione eucaristica.