English version below.
Le manifestazioni pro-Palestina stanno spaventando i moderati che sostengono Israele. Se la Russia potrebbe aver bisogno delle proteste, Israele ha invece bisogno di una soluzione politica per Gaza.
In molti Paesi occidentali si stanno diffondendo forti proteste pro-Palestina: è un dato di fatto. Tuttavia, il significato di questo fenomeno è meno chiaro ed evidente. Alcuni sostengono che le proteste indichino un cambiamento nell’opinione pubblica occidentale riguardo a Israele (ufficialmente sostenuto) e Hamas (ufficialmente contrario). In effetti, queste proteste fanno emergere un’ondata di nuovi immigrati provenienti da Paesi musulmani, che sono apertamente anti-israeliani. Esse fanno rivivere i sentimenti antiebraici occidentali, per lungo tempo sopiti e che ora sembrano legittimati dagli “orrendi massacri della popolazione di Gaza” da parte dell’esercito israeliano.
Questo aspetto è indubbio, ma forse la situazione è molto più complessa. I manifestanti sono per lo più individui emarginati che farebbero fatica a sopravvivere sotto il governo di Hamas o in molti Paesi musulmani poco tolleranti nei confronti delle manifestazioni antigovernative. Ma sono in sofferenza anche nei Paesi occidentali dove si sentono cittadini di seconda classe e spesso non riescono a integrarsi o a sentirsi a casa.
Rappresentano un fenomeno crescente di disorientamento globale. Si tratta di persone che non si sono ambientate nei Paesi ospitanti, ma che starebbero ancora peggio se tornassero in patria. Nel complesso, dimostrano la forza e la resilienza dei Paesi occidentali che li ospitano, che possono tollerarli e dovrebbero sforzarsi di integrarli.
Tuttavia, la loro sofferenza porta a un altro risultato. Questi manifestanti intimidiscono la maggioranza silenziosa dei cittadini occidentali e i governi di molti Paesi musulmani, influenzandoli a favore di Israele. Storicamente, molti Paesi europei non sono stati molto favorevoli a Israele nei suoi conflitti con i vicini arabi. Durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967 e la Guerra dello Yom Kippur del 1973, molti Paesi europei non si schierarono e si opposero alla fornitura di armi a Israele, anche se non ci furono proteste anti-israeliane nelle strade.
Ora, non solo tutti i governi occidentali sostengono Israele, ma anche molti Paesi musulmani. Tutti si sentono scottati dalle esperienze con gli estremisti musulmani. Soprattutto le nazioni musulmane si sentono sfruttate dalle successive ondate di radicalismo che tentano di dare altro corso all’islam. Da Al Fatah ad Al Qaeda, poi l’ISIS e ora Hamas, questi gruppi hanno ricattato i Paesi musulmani e afflitto il mondo con attacchi terroristici. Non hanno prodotto altro che caos e sono stati sottomessi solo con una sconfitta militare, non con un ragionamento pacifico.
Come i suoi predecessori, Hamas non ha alcuna proposta politicamente sensata o obiettivo politico realizzabile. Sostenere la fine di Israele non fa che annunciare la fine di Hamas. L’esperienza degli ultimi 60-50 anni spinge quindi molti ad approvare le azioni di Israele a Gaza, a prescindere da qualsiasi dichiarazione ufficiale e formale. Le proteste li convincono ulteriormente che Hamas deve essere affrontato a ogni costo.
Se questa è la tendenza di fondo, il presunto sostegno russo o cinese alle proteste rafforza ulteriormente il sentimento generale: tutto fa parte di un conflitto più ampio che deve essere gestito con fermezza. Questo crea anche alcune spaccature tra Russia e Cina e i Paesi musulmani, che preferirebbero schierarsi con Israele invece che con i suoi avversari.
Nulla è in bianco e nero e nulla cambierà da un giorno all’altro, ma le tendenze principali sembrano muoversi al contrario delle increspature superficiali. Israele potrebbe emergere più forte che mai in Medio Oriente dopo la guerra, mentre Russia e Cina potrebbero trovarsi dalla parte dei perdenti se non cambiano rotta.
Infatti, più a lungo si protraggono le manifestazioni a favore di Hamas in Occidente, più aumenta il sostegno popolare per Israele tra tutti i moderati del mondo. Pertanto, Hamas è stato sconfitto due volte, una prima volta sul campo di battaglia e una seconda volta con l’opinione pubblica mondiale. Se Hamas avesse una vera strategia politica, cercherebbe di negoziare un accordo quanto prima per cambiare tattica e vedere se c’è una possibilità di sopravvivenza politica. Solo la Russia, ora impegnata in una nuova offensiva in Ucraina, ha interesse a portare avanti la guerra a Gaza e le proteste nelle strade occidentali. Distraggono il mondo dalla brutale guerra a cui Mosca sta cercando di sopravvivere.
Tuttavia, le proteste evidenziano anche qualcosa di diverso: finora, le richieste irrealistiche di Hamas non hanno trovato alcuna risposta politica in Israele. È possibile che, come gli americani durante la Seconda guerra mondiale, Israele e i suoi alleati stiano preparando una risposta che sarà rivelata dopo la fine delle ostilità. Tuttavia, è necessaria una soluzione politica praticabile per Gaza da parte di Israele. Il fatto che Hamas sia irragionevole non giustifica l’assenza di un percorso politico praticabile per Gaza da parte di Israele.
In tutto questo, la Santa Sede deve essere coinvolta. Ci sono cattolici palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, che mantengono forti legami con i loro compatrioti musulmani. Una soluzione politica per Gaza deve passare anche attraverso di loro.
- In collaborazione con l’Appia Institute.
Israeli victory in disguise?
Pro-Hamas demonstrations are scaring moderates into support of Israel. Yet Russia may need the protests while Israel needs to provide a political solution for Gaza.
Loud pro-Palestinian protests are spreading in many Western countries—it is a fact. However, the meaning of this phenomenon is less clear and obvious. Some argue that the protests indicate a shift in Western public opinion regarding Israel (officially supported) and Hamas (officially opposed). Indeed, these protests surface a wave of new immigrants from Muslim countries who are vocally anti-Israeli. They revive Western anti-Jewish sentiments, which were long dormant and now seem legitimized by the Israeli army’s “hideous massacres of the Gazans.”
There is undoubtedly that aspect, but perhaps the situation is much more complex. The protesters are mostly marginalized individuals who would struggle to survive under Hamas’ rule or in many Muslim countries with little tolerance for anti-government demonstrations. Yet, they suffer in Western countries where they feel like second-class citizens and often fail to integrate or feel at home.
They represent a growing phenomenon of global disorientation. These are people who haven’t settled in their host countries but would be even worse off if they returned to their homelands. All in all, they demonstrate the strength and resilience of their Western host countries, which can tolerate them and should strive to integrate them.
However, their suffering leads to another outcome. These protesters intimidate the silent majority of Western citizens and the governments of many Muslim countries, swaying them to favor Israel. Historically, many European countries were not very supportive of Israel in its conflicts with Arab neighbors. During the Six Days War in 1967 and the Yom Kippur War in 1973, many European countries remained aloof and opposed arms deliveries to Israel, even though there were no anti-Israeli protests in the streets.
Now, not only are all Western governments supportive of Israel, but many Muslim countries are as well. They all feel burned by experiences with Muslim extremists. Especially Muslim nations feel exploited by successive waves of radicals attempting to hijack Islamic agendas. From Al Fatah to Al Qaeda, then ISIS, and now Hamas, these groups have blackmailed Muslim countries and plagued the world with terrorist attacks. They have delivered nothing but chaos and have only been subdued by military defeat, not peaceful reasoning.
Like its predecessors, Hamas has no politically sensible proposal or feasible political goal. Advocating for the end of Israel only heralds the end of Hamas. The experience of the past 60-50 years then prompts many to approve actions by Israel in Gaza, regardless of any official and formal statements. The protests further convince them that Hamas must be dealt with at any cost.
If this is the underlying trend, the alleged Russian or Chinese support for the protests further solidifies general sentiments—it’s all part of a broader conflict that must be firmly managed. This also creates some rifts between Russia and China, and Muslim countries, which would prefer to side with Israel instead of its adversaries.
Nothing is black and white, and nothing will change overnight, but major trends seem to be moving contrary to the superficial ripples. Israel could emerge stronger than ever in the Middle East after the war, and Russia and China could find themselves on the losing side if they do not adjust their course.
In fact, the longer the pro-Hamas demonstrations go on in the West, the greater the popular support for Israel among all moderates in the world. Therefore, Hamas has been defeated twice, once on the battlefield and the second time with global public opinion. If Hamas had any real political strategy, it would try to negotiate an agreement as soon as possible to change tactics and see if there is a possibility for political survival. Only Russia, now engaged in a new offensive in Ukraine, has an interest in carrying on with the war in Gaza and protests in western streets. They distract the world from the brutal war that Moscow is trying to survive.
Still, the protests also highlight something different—so far, Hamas’s unrealistic demands have found no political response in Israel. It’s possible that, like the Americans did during WWII, Israel and its allies are preparing a response that will be revealed after the hostilities end. Yet, a viable political solution for Gaza is necessary from Israel. The fact that Hamas is unreasonable does not justify an Israeli absence of a viable political pathway for Gaza.
In all of this, the Holy See must be involved. There are Palestinian Catholics in Gaza and the West Bank, and they maintain strong ties with their Muslim compatriots. A political solution for Gaza must also go through them.
Concordo con tutti i commentatori. Questo sillogismo uno ad uno che assimila in modo solido un gruppo politico-terroristico ad un popolo è vergognoso, oltre che senza fondamento storico. Questa superficiale assimilazione può determinare che l’annientamento del primo giustifichi linearmente l’annientamento del secondo, di fatto concretizzando un genocidio che è difficile oramai da negare anche per i più stoici difensori della causa israeliana. Incondivisibile la posizione italiana, generalmente europea, ad esclusione di pochi, nell’astensione sul voto per il riconoscimento dello stato palestinese. Ancora meno condivisibile la reazione dell’ambasciatore israeliano, che con il gesto della distruzione della carta delle nazioni unite ha voluto simboleggiare la fine del diritto internazionale. Un paraddosso che ha del ridicolo.
Una soluzione politica sarà possibile solamente rimuovendo l’ostacolo che la impedisce, chiaramente individuato già nel 1947: “The crux of the Palestine problem is to be found in the fact that […] since both groups* steadfastly maintain their claims, it is manifestly impossible, in the circumstances, to satisfy fully the claims of both groups, while it is indefensible to accept the full claims of one at the expense of the other.” (United Nations Special Committee on Palestine, Recommendations to the General Assembly, A/364, 3 September 1947) — *Arab population and Jewish population.
Come da anni dice Claudio Vercelli, “il conflitto tra israeliani e palestinesi in questi ultimi anni è di nuovo andato avvitandosi su di sé, dopo gli spiragli degli anni Novanta. Delle speranze trascorse rimane ben poco mentre delle antiche diffidenze tutto sembra essere stato riconfermato. Alla radice rimane il mancato riconoscimento reciproco, la tragica finzione per cui, affinché l’uno possa esistere, l’altro debba scomparire una volta per sempre.” > https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858142240 <
Non si può che sottoscrivere il precedente commento del signor Lanciano. L’articolo si fonda in effetti su un assunto del tutto errato e fuorviante, e cioè che tutte le persone che chiedono la fine delle ostilità in Medio oriente scendendo nelle piazze occidentali sostengono Hamas. Mi dispiace ma mi sembra un’intollerabile sciocchezza, peraltro pericolosa perché insuffla il sospetto che chi non appoggia la politica del governo israeliano criticandone pubblicamente le decisioni è potenzialmente un fiancheggiatore di terroristi. Che poi tra chi manifesta il proprio dissenso ci siano purtroppo persone male informate o peggio ancora in mala fede riguardo a Israele è un altro discorso (purtroppo vero).
Ciascuno è libero di pensare e scrivere ciò che vuole, ma sarebbe forse opportuno in questo drammatico frangente di misurare di più le parole e i facili “sospetti”
Identificare Hamas con i palestinesi è come identificare Netanyhau con gli israeliani. Per fortuna la stragrande maggioranza dei Paesi all’ONU non è caduta in questo errore e ha chiesto l’ingresso dello Stato della Palestina, così come la stragrande maggioranza dei Paesi e della popolazione mondiale non identifica lo Stato di Israele con gli ebrei per cui condanna la sua politica ma non significa che sia antisemita.