Version française ci-dessous
Non molto tempo fa Augustin Kakine Aurèle, un poeta contemporaneo, ha scritto: «Solo per la pace vale la pena combattere». Si tratta di un’altra versione del vecchio adagio latino: «Si vis pacem, para bellum» (se vuoi la pace, prepara la guerra). Che significa: la vera pace si ottiene con la guerra e se si vuole davvero la pace bisogna combattere, occorre avere la forza di battersi. E se questo poeta avesse ragione?
La guerra contro il Movimento del 23 marzo (M23), il gruppo armato che – ormai su questo non ci sono più dubbi – è il braccio del Ruanda per alimentare il conflitto nell’Est della Repubblica Democratica del Congo, sta prendendo una forma inattesa. Da un po’ di tempo a questa parte, la paura ha cambiato schieramento: il movimento M23, che alcuni non esitano a definire terroristico, viene scalzato dalle sue posizioni un giorno dopo l’altro. E questo succede per l’intervento e la forza crescente dei Wazalendo, i gruppi di autodifesa locali.
Fino a poco tempo fa la situazione era sostanzialmente di stallo. Non si muoveva nulla sul fronte, poiché era stato dichiarato il cessate il fuoco. Si può dire che ci si è messi d’accordo di lasciare ai ribelli i territori che essi occupano e alle forze dell’EAC (una forza militare regionale che fa capo alla Comunità degli Stati dell’Africa orientale − ndr), che di fatto sono degli osservatori inefficaci, la cosiddetta zona tampone. Una tregua di compromesso, una tregua nella quale i poveri cittadini subiscono atrocità nella totale oscurità e lontano dalle videocamere dei difensori dei diritti umani. Oppressi nel loro stesso paese, schiavi nella loro stessa terra.
Non è nella natura umana accettare l’oppressione, scrive Camus ne L’homme revolté (L’uomo in rivolta); così questi giovani, sapendo di essere il futuro e rifiutandosi di credere alla fatalità, hanno deciso di prendere in mano il proprio destino. È questa l’origine dei Wazalendo.
Si tratta di diversi gruppi armati locali di autodifesa coalizzati in uno solo denominato «Wazalendo», termine swahili che significa «patrioti». Stanno combattendo e facendo fuggire le truppe dell’M23 nei territori di Masisi, Rutshuru e Nyiragongo. Non sapendo più su chi contare – sul governo, sulle forze dell’ONU, sulle truppe dell’EAC –, questi gruppi combattono per la loro terra. Come ad affermare che se non combattono loro per la loro causa non lo farà nessun altro, perché tutti hanno mostrato la loro incompetenza, anzitutto il governo congolese.
Essi hanno un sostegno incondizionato da parte del popolo congolese, perché incarnano un Congo resistente a tutte le forze esterne; un Congo orgoglioso di sé e dei suoi valorosi figli; perché coltivano il sogno di un intero popolo, il sogno di vedere questa regione, a lungo segnata dalla guerra, finalmente pacificata e liberata dai predatori che arrivano da ogni dove per arraffare le sue ricche miniere. La guerra di Wazalendo è quindi la guerra del popolo, è una guerra di popolo. Può essere lunga, ma la vittoria sarà dalla parte del popolo. È la loro.
Version française
Les Wazalendo : se battre ou disparaître
Il y a peu, Augustin Kakine Aurèle, ce poète contemporain scandait dans ses vers : “La paix, seule, mérite qu’on se batte pour elle”. C’est l’autre version du vieil adage latin : “Qui vis pacem, para bellum” (Qui veut la paix prépare la guerre). Un peu pour dire que la vraie paix se prépare par la guerre et si l’on veut vraiment la paix, il faut se battre. La force de se battre, il faut l’avoir alors. Et si ce poète avait raison !?
La guerre contre le Mouvement du 23 Mars (M23), ce groupe armé qui, on en doute plus, constitue le bras du Rwanda pour alimenter le conflit à l’Est de la République Démocratique du Congo, prend d’autres allures. En effet, depuis un certain temps, la peur a changé de camp tant ce mouvement que d’aucuns n’hésitent pas de qualifier de terroriste se voit du jour au jour déloger de ses positions. Et ce, grâce à l’intervention et la montée en puissance des Wazalendo, ces groupes autochtones d’autodéfense.
En effet, il y a peu, on assistait au statu quo. Rien ne bougeait sur les lignes de front tant on avait déclaré un cessez-le-feu. On peut se dire que l’on s’était entendu à laisser aux rebelles les territoires qu’ils occupaient et aux forces de l’EAC, ces observateurs inefficaces sa zone dite tampon. Une accalmie des compromis, une accalmie dans laquelle les pauvres citoyens subissent dans l’opacité totale et loin des caméras des défenseurs des droits de l’homme des atrocités. Ils sont opprimés dans leur propre pays, esclaves sur leur terre.
Et comme Camus dans “L’homme révolté”, il n’est pas de la nature de s’accommoder à l’oppression, les jeunes gens sachant qu’ils sont l’avenir et refusant de croire à la fatalité se sont décidés de prendre leur destin en main. C’est de là que naissent les “Wazalendo”.
Ces groupes armés locaux d’autodéfense coalisés en un seul dénommé “Wazalendo”, concept swahili qui se traduit par les “Patriotes” combattent et mettent en débandade les troupes du M23 dans les territoires de Masisi et Rutshuru et Nyiragongo. Ne sachant plus, du gouvernement, des forces onusiennes, des troupes des EAC, sur qui compter, ils se battent pour leur terre ; un peu pour dire que si nous ne nous ne battons pas pour nous-mêmes, personne ne le fera parce que tous ont prouvé leur incompétence ; le gouvernement congolais en premier.
Il s’ensuit alors un soutien inconditionnel de tout le peuple congolais parce qu’ils incarnent un Congo résistant à toutes les forces extérieures ; un Congo fier de lui et de ses dignes fils ; ils bercent le rêve de tout un peuple ; rêve de voir cette région longtemps meurtrie par la guerre finalement pacifiée et libérée de ces prédateurs qui viennent de partout pour s’emparer de ses riches carrières de minerais. La guerre de Wazalendo est donc la guerre du peuple ; c’est une guerre populaire. Elle durera peut-être mais la victoire sera du côté du peuple. Elle est sienne.
A proposito di Wazalendo
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Quando in qualsiasi parte del mondo la gente prende in mano il coraggio per difendere la propria libertà
posso dire di godere intensamente tale scelta perché è indice di civiltà che cresce e si impone sul male.
Mi pare che la risposta più logica sia di godere della libertà e del coraggio di Wazalendo