Vanno di gran moda in questi tempi, nel pieno della ricorrenza del centenario della Grande Guerra, servizi speciali e dibattiti TV tra vari esperti di diversi campi. A tale proposito gioverà ricordare che esattamente cento anni fa nel febbraio del 1916 nella regione delle Argonne, nel nord della Francia, si combatté una delle battaglie tra le più cruente della Prima Guerra Mondiale e tre le più sanguinose dell’intera storia dell’umanità. Su quel campo di battaglia in un mare di fango restarono quasi un milione di cadaveri tra soldati francesi e tedeschi. La battaglia durò fino al novembre dello stesso anno e vide le artiglierie dei due paesi belligeranti bombardarsi per mesi ininterrottamente. Oltre mille cannoni su ambo i fronti spararono più di trenta milioni di proiettili, migliaia furono i morti, centinaia di migliaia i mutilati e i feriti, di cui molti per la gravità dei colpi ricevuti, sopravvissero solo pochi anni da quella spaventosa ecatombe. Cinque villaggi furono completamente rasi al suolo, per mesi migliaia di soldati che marcivano nelle trincee acquitrinose, il più delle volte dormendo all’addiaccio sotto piogge insistenti, furono mandai all’attacco per conquistare qualche metro di terra in più. Buona parte dei soldati morì per assalti alla baionetta. Migliaia di giovani vennero sacrificati per adempiere ordini scellerati privi di senso, dati da spocchiosi ufficiali che avevano perso ogni contatto con la realtà e ogni forma di dignità umana.
Qualche anno fa Papa Ratzinger scrisse una lettera al Vescovo francese di Verdun, Mons. Francois Maupu, in cui ricordava come il suo predecessore Papa Benedetto XV chiese con insistenza a più riprese ai responsabili dei paesi belligeranti di evitare una guerra che si sarebbe rivelata “una inutile strage”. Papa Benedetto XVI in quella lettera sottolineava come Verdun sia da considerarsi come un simbolo di riconciliazione per due grandi nazioni che si sono combattute con accanimento in quelle sperdute campagne delle Argonne per ricordare a tutti i paesi – in modo particolare a quelli europei – che solo la riconciliazione e il perdono reciproco possono garantire una pace vera, una pace che apra a un avvenire pieno di speranza. In questo suo messaggio Ratzinger rilevava come l’impegno per creare legami di fraternità e carità, per il bene di tutti e lo sviluppo delle nazioni, specialmente le più svantaggiate, sia realizzato prendendosi cura dei più poveri e dei più emarginati.
Nel solco della grande tradizione del Magistero della Chiesa, Papa Francesco è intervenuto a più riprese a ricordare di quanto sia fondamentale vivere nella pace e come nessun credente può esimersi dall’essere un costruttore di pace. Ricordiamoci sempre come in tanti paesi del Sud del Mondo la pace sia ancora un traguardo lontano, anzi purtroppo cresce e si alimenta nell’opinione pubblica internazionale la convinzione che alcune situazioni si possono risolvere solo utilizzando metodi violenti. Vediamo anche che con la scusa di difendere interessi vitali delle proprie economie, certe nazioni non esitano a bombardare e a inviate truppe in altri paesi, pazienza se le vittime sono civili innocenti che pagano con la vita il prezzo di queste politiche. In situazioni come queste il cristiano, proprio perché secondo le Beatitudini deve essere un costruttore di pace, non può rimanere neutrale, egli si mette sempre dalla parte delle vittime innocenti e di chi subisce violenza, è questo un modo di pensare e di agire che deve crescere e rafforzarsi sempre più nel cammino delle nostre comunità.
Mario Bandera