Imparare dalla storia come attraversare il presente e dare forma umanistica all’incertezza del futuro, vivere anche della sapienza e coraggio dei morti, sentirci portati da loro come una forza per custodire quel bene fragile che è il progetto di un’Europa unita. Quando la politica è all’altezza di questi temi si possono gettare anche oggi semi fecondi per un domani abitabile dalle generazioni più giovani. Riportiamo ampi estratti del discorso tenuto dal ministro degli esteri tedesco, Heiko Mass, in occasione della recente commemorazione del 20 luglio 1944 (originale tedesco qui).
Siamo riuniti qui oggi, 20 luglio, per fare memoria degli uomini e delle donne che non vollero accettare ulteriormente la contrapposizione fra «umanità» e «Germania». Che non vollero accettare la fine dell’umanità nel loro paese. Essi hanno combattuto (come si trova della bozza della Dichiarazione di governo dei resistenti, che purtroppo non fu mai letta) per la «maestà del diritto», per la «libertà dello spirito, della coscienza e della fede degli uomini».
Il regime nazionalsocialista temeva queste idee. Ne aveva una tale paura che assassinò coloro che si schieravano per esse (…). L’azione di questi uomini e donne consentì alla resistenza di diventare ciò che lo storico P. Hoffmann ha chiamato la «legittimazione dell’evidente». Come Hitler rappresentava la follia del nazionalsocialismo, così l’attentato contro di lui è stato l’espressione della rivolta contro la tirannide.
Un’altra Germania
In questo modo la resistenza, in tutta la sua ampiezza, ottenne visibilità. L’attentato mostrò al mondo che c’è ancora un’altra, migliore Germania (…). Il coraggio di queste persone ci tocca e commuove anche oggi. Ci muove perché nella nostra ammirazione scorre sempre anche la domanda: «come avrei agito io? Avrei avuto il coraggio di mettere completamente a repentaglio la mia vita? Avrei rischiato che la mia famiglia, i miei amici, venissero ritenuti responsabili per la mia azione? Avrei opposto resistenza sapendo che per gli occhi dei miei connazionali sarei stato considerato come un traditore?».
Non rendiamoci le cose troppo agevoli. Troppo differenti sono i tempi, troppo esistenziali le domande. E ogni tentativo di dare una risposta sarebbe a buon mercato, oppure scoraggiante. Eppure, tali domande ci insegnano qualcosa che, nelle cose quotidiane della nostra moderna democrazia, non è per nulla quotidiano: gratitudine. Gratitudine per vivere in un paese che non ci costringe più a dare una risposta a queste domande esistenziali. Un paese che ci rende più facile affermare e vivere le nostre persuasioni.
Ma anche gratitudine per gli uomini e le donne del 20 luglio, che con la loro resistenza hanno posto un segno di decenza, decoro e speranza. L’opposizione alla dittatura fece intrecciare tra loro forze estremamente diverse.
Accanto ai membri della resistenza provenienti dai corpi militari vi era anche un’ampia opposizione civile: rappresentanti dei sindacati e dei movimenti dei lavoratori, le Chiese, i membri del Kreisauer Kreis, politici come il socialdemocratico Julius Leber o il conservatore Carl Friedrich Goerdeler, impiegati pubblici e imprenditori, donne e uomini di convinzioni diverse.
A differenza di noi, essi conoscevano la democrazia e i partiti al massimo come costrutti instabili. Associazioni internazionali, come la Società delle Nazioni, si erano rivelate prive di forza ed efficacia. Nazionalismo e revanscismo non erano per nulla aspetti marginali, ma espressione di una posizione ben stabilita e maggioritaria.
Storia e coscienza
La ricerca storica ha valutato sempre di nuovo anche in maniera critica i motivi e i percorsi della resistenza tedesca: 1) il rapporto reciproco fra alcuni membri della resistenza con il regime nazista; 2) i lunghi percorsi, non senza errori, che hanno portato alla resistenza; 3) i dubbi rispetto ai piani di attentato e all’uso della violenza; 4) le ragioni del momento così tardivo per l’azione del 20 luglio 1944.
Per quanto questa elaborazione critica sia importante, essa comporta anche un pericolo. Il rischio di ascrivere le cause del fallimento del ribaltamento di regime proprio a quelle poche persone che ebbero il coraggio di agire. Il loro merito resta quello di averci provato.
Per giudicare la resistenza, dovremmo poter provare la lacerazione della coscienza di quegli uomini e donne che il 20 luglio 1944 passarono all’azione. La loro lacerazione interiore fra lealtà e rivolta, tra paura e disponibilità al sacrificio, tra dubbio in merito alla riuscita dei piani del colpo di stato e la consapevolezza della sua necessità.
Tutti i membri della resistenza avevano però una cosa in comune: la loro risoluta determinazione di ribellarsi contro l’ingiustizia esercitata al parossismo, mettere fine al male con parole e atti concreti. In tal modo, queste persone ruppero con quello che lo storico F. Stern ha chiamato il «sottile silenzio». In tal modo, egli descrive il comportamento di tutti coloro che non acclamavano Hitler in maniera trionfante, ma che per paura od opportunismo chiusero gli occhi davanti alle barbarie perpetrate. Coloro, dunque, la cui coscienza non mosse a un’azione incondizionata – come fu invece per gli uomini e le donne della resistenza.
Anche in questo caso, la distanza storica non permette una critica affrettata. Infatti, pretendere una resistenza attiva contro il regime nazista significherebbe, da ultimo, chiedere a tutti e ciascuno il coraggio del martirio. Terribile è che il «sottile silenzio» non terminò con il regime nazista. Anche nella Repubblica Federale gli eroi della resistenza e le loro famiglie vennero ignorati, talvolta addirittura additati come traditori.
La memoria delle vittime rimase cosa privata. I familiari delle vittime hanno dovuto attendere troppo a lungo per una riparazione da parte dello stato e per la revoca delle ingiuste sentenze da parte del Tribunale speciale nazista – se mai si è giunto a ciò.
Memoria come compito
E oggi? Per fortuna il nostro sguardo verso la resistenza ha cambiato registro. Gran parte del merito per questa trasformazione va alla «Fondazione 20 luglio», al memoriale della resistenza tedesca e, naturalmente, ai parenti delle vittime. Mi rallegro che molti di essi siano qui oggi. Con il loro impegno hanno reso possibile che il 20 luglio si inscrivesse nella storia tedesca e nella memoria come una svolta verso il bene.
Fare memoria non vuol dire mai solo guardare indietro. Fare memoria è sempre anche un compito. Questo vale tanto di più ora, quando la memoria della resistenza ben presto dovrà esercitarsi senza più testimoni diretti di essa.
Oggi reclamano per sé il loro «diritto alla resistenza» proprio coloro che vituperano i rappresentanti del popolo come «traditori del popolo». Liquidare la memoria come «culto della colpa» e i mezzi di libera informazione come «stampa menzognera» è una vergogna. Ritengo inaccettabile che la bandiera del 20 luglio, realizzata dal membro della resistenza J. Wirmer, venga abusata nel corso di manifestazioni dei neonazisti. Questo simbolo, una croce nei colori democratici nero, rosso e oro, dovrebbe sventolare sopra la Germania liberata dal nazionalsocialismo.
Questa bandiera dovrebbe incarnare gli ideali per cui gli uomini e le donne del 20 luglio hanno dato la loro vita. Era una bandiera dell’umanità. La memoria è un compito, e per questo non si deve dare alcun sottile silenzio quando cittadini rabbiosi e nostalgici del passato ribaltano in maniera perversa il significato di questi simboli della resistenza.
Per dirla con le parole di K. Tucholsky: «Niente è più difficile e richiede più carattere che trovarsi in aperta contrapposizione col proprio tempo e dire ad alta voce: no!». Per fare ciò oggi non serve alcun martirio, nel 2018 basta il coraggio civile. Prendiamo la parola quando le discussioni tra amici o nei nuclei familiari slittano in cupo risentimento.
Portiamo argomenti e fatti contro gli scenari di decadenza e tramonto disegnati da populisti reazionari! Esprimiamoci in maniera differenziata e ponderata quando nazionalisti di ogni sorta fanno credere nella possibilità di soluzioni troppo semplici. Tutto questo fa parte di una memoria contemporanea del 20 luglio 1944.
Questo ce lo avete ancora una volta richiamato alla memoria voi, discendenti dei membri della resistenza (…). L’Europa ha bisogno di sostenitori come voi, oggi più che mai! Vorrei richiamare alla memoria le idee di uomini come Adam von Trott zu Solz, che per la sua partecipazione alla resistenza fu impiccato a Plötzensee. Lungo il percorso che porta verso il mio ufficio presso il Ministero degli esteri passo ogni giorno davanti alla lapide su cui è inciso il suo nome.
Per lui e per gli altri compagni di lotta raccolti nel Kreisauer Kreis una cosa era ben chiara: la pace in Europa può riuscire solo attraverso il superamento dei confini. Le loro speranze si fondavano su una federazione europea – con il proprio esercito, un’unione doganale, una moneta unitaria e una comune suprema Corte di giustizia.
Il sogno e la necessità dell’Europa
La nostra Europa rappacificata trova in questo le sue radici. Chi oggi mette in questione l’Unione Europea e le conquiste da essa ottenute taglia queste stesse radici. Anche in altri paesi molti precursori dell’Europa misero a repentaglio le loro vite per la causa della resistenza. (…) Fritz Stern, già otto anni fa proprio qui a Benderblock, ha proposto il tema di un fare memoria europeo.
Un fare memoria che, naturalmente, lascia emergere le differenze tra una resistenza contro una potenza straniera occupante e una resistenza contro una dittatura nel proprio paese; ma che mostra anche i punti in comune, in primo luogo il coraggio di tutti i membri della resistenza nella loro lotta a favore dell’umanità dell’uomo.
Un passo in questa direzione potrebbe essere quello di rendere familiari i giovani in tutte le parti d’Europa con la storia della resistenza. Credo che questa sarebbe una sana immunizzazione contro la propaganda populista in molti paesi europei. (…) Oggi sappiamo che la rivolta degli onesti non è stata invano. Il seme è sbocciato, proprio nella nostra Costituzione che pone la dignità dell’uomo al di sopra di tutto.
Quel seme è sbocciato e maturato attraverso un onesto confronto con l’ingiustizia nazionalsocialista. I suoi frutti sono la nostra libera società e la considerazione di cui la Germania gode in Europa e nel mondo. Il 20 luglio 1944 non sta quindi per il fallimento della resistenza. Esso marca piuttosto il punto seminale verso una nuova e migliore Germania. (…)
Il nostro compito è di custodire questa Germania umana in un’Europa unita. Con tutta la forza che, in vista di ciò, sgorga anche dal fare memoria del 20 luglio 1944. Il futuro ha bisogno di memoria.