Quarant’anni fa – era il 1976 – in Argentina si rompeva l’ordine costituzionale ed era la fine dello stato di diritto. «Un fatto – scrivono i vescovi della Commissione permanente della Conferenza episcopale argentina, riuniti a Buenos Aires dal 14 al 15 marzo – che non si deve mai più ripetere né possiamo dimenticare». L’Argentina viveva un momento complesso e difficile. La violenza era in progressivo e drammatico aumento, che culminò con il terrorismo di stato, «protagonista di crimini di diversa indole, tra i quali: la tortura, l’assassinio, la scomparsa di persone e il sequestro di bambini». Gli argentini – si chiedono i vescovi – non possono non chiedersi come si sia potuti arrivare al periodo più oscuro della storia argentina. Le drammatiche conseguenze di scontri, dolore e morte perdurano ancora e testimoniano di un passato che va affrontato e sanato.
«Il ritorno della democrazia segnò l’inizio di un cammino di verità, di giustizia e di incontro tra tutti, che è urgente continuare a percorrere, per raggiungere la concordia e l’amicizia sociale».
Base indispensabile di ogni convivenza – sottolinea ancora la Commissione – è il riconoscimento del valore della vita, della dignità e dei diritti inalienabili della persona, se si vuole convivere umanamente e con serenità.
«La memoria del 24 marzo, quest’anno, – concludono i vescovi argentini – coincide con la celebrazione del Giovedì santo, giorno di dolore e di tradimento, ma anche giorno nel quale Gesù manifestò il suo amore fino alla fine dando la vita per noi. Nel suo sangue siamo stati riconciliati. «Cristo è la nostra pace» ( Ef 2,14) e il fondamento di una speranza che ci spinge a costruire una società autenticamente umana. Il suo esempio ci aiuti a cicatrizzare le nostre ferite nella verità, il pentimento, la riparazione nella giustizia e il desiderio di ottenere misericordia».