Dopo Miguel d’Escoto toccherà a Camilo Torres? La remissione della censura ecclesiastica (sospensione a divinis) al ministro nicaraguense avvenuta nell’agosto 2014 ha reso meno occasionale la recente domanda del movimento ecclesiale «Noi siamo chiesa», in occasione dei 50 anni dalla morte (febbraio 1966), di un gesto di misericordia e di riconoscimento verso il prete guerrigliero, ucciso in uno scontro a fuoco fra l’esercito di liberazione nazionale (guerriglia) e l’esercito nazionale colombiano.
Il nome di Camilo Torres Restrepo dirà poco alle generazioni più giovani, ma fu uno dei riferimenti dei credenti degli anni ’60-’70. Nato a Bogotà nel 1929, divenne prete, studiò a Lovanio e si impegnò da subito nella pastorale universitaria e giovanile. Dopo aver sostenuto la lotta politica per dare rappresentanza alla classi sfruttate, passò alla violenza rivoluzionaria dell’Esercito di liberazione nazionale.
Il suo caso, sul difficile discrimine fra violenza e non violenza, fra cristianesimo e marxismo, fra obbedienza gerarchia e adesione alle domande popolari, divenne emblematico. A pochi mesi dalla sua morte (1968) l’episcopato latino-americano a Medellin fece la scelta preferenziale per i poveri e cinque anni dopo si avviò in forma compiuta la teologia della liberazione, grazie a Gustavo Gutierrez. Formalmente la rimozione di una censura post-morte non ha alcun effetto pratico, ma, per il movimento ecclesiale, contribuirebbe alla pacificazione in Colombia e alla riconoscimento della «legittimità politica» e morale della sua scelta.