Una ricerca del Pew Research Center sulla base delle proiezioni dei demografi del World population prospect dell’ONU annuncia il sorpasso a livello mondiale degli ultra 65enni rispetto ai bambini da 0 a 4 anni. Ne dà notizia il Corriere della sera (26 aprile). In prospettiva, nel 2100, i bimbi saranno 650 milioni, mentre gli anziani saranno 2,5 miliardi. Gli ultracentenari dagli attuali 451.000 cresceranno nel 2050 a 3.676.000. Oltre la metà sarà concentrata fra Cina, Giappone, Stati Uniti, Italia e India. Oggi l’ordine dei paesi più interessati è questo: Stati Uniti (72.000), Giappone (61.000), Cina (48.000), India (27.000), Italia (25.000). Dietro gli ultracentenari sono in forte crescita le altre coorti di età, in particolare gli ultraottantenni. Le proiezioni rimangono tali perché non tutte le variabili possono essere prevedibili, anche se rimangono sostanzialmente affidabili.
Si possono aggiungere due riflessioni. La prima riguarda il caso italiano che, contrariamente alle previsioni, vede nel 2015 un forte aumento delle morti, soprattutto anziane. La seconda richiama le parole dell’esortazione apostolica Amoris lætitia relative all’ultima stagione della vita.
Per l’anno trascorso le cifre dei decessi (non ancora confermate) arriveranno a 666.000 con un aumento di 68.000. Una crescita anomala, visto che se ne prevedevano 16.000. Un aumento che ha destato sorpresa perché è simile a quanto successo durante la prima e la seconda guerra mondiale. I picchi maggiori sono indicati fra gennaio e marzo e fra luglio e agosto. Le spiegazioni ipotizzate sono relative al minor ricorso alla vaccinazione antiinfluenzale, a una prassi ospedaliera che privilegia le cure palliative all’accanimento terapeutico, al venire meno delle reti familiari estese che meglio garantiscono gli anziani. I medici più attenti delle residenze assistite e dei reparti geriatrici sottolineano la maggiore fragilità degli anziani che non hanno relazioni amicali o familiari. C’è chi, infine, sottolinea come i tagli allo stato sociale e in particolare alla sanità abbiano a che vedere con l’inaspettato aumento dei morti. Il minor flusso di immigrati e la decrescita dei nati, per la prima volta sotto i 500.000, determinano un calo complessivo della popolazione nell’ordine dei 150.000 abitanti. Il contenimento della crescita degli anziani non cancella i processi di invecchiamento complessivo e non nasconde il punto critico e cioè la mancanza dei nati.
L’Italia è, dopo il Giappone, il paese con l’età media più alta e il più vecchio dentro l’Unione Europea. Se non vi è un’inversione di tendenza, nel 2050 ci sarà un crollo della popolazione lavorativa, la forza di lavoro potenziale sarà del tutto insufficiente per reggere l’economia e lo stato sociale, in un momento in cui i figli degli immigrati supereranno quelli degli autoctoni: la popolazione con meno di 65 anni si ridurrà di 6,5 milioni e quella oltre i 65 aumenterà di 8,2 milioni. Ma già ora, «una società che non mette più al mondo figli è una società stanca, sfiduciata, incapace di pensare il proprio futuro. Non può essere generativa una società nella quale non si riesce o non si vuole più essere “genitori”. Investire risorse per un rilancio del grande significato simbolico della genitorialità è quindi una risposta non soltanto al bisogno di realizzazione, spesso purtroppo insoddisfatto, della personalità adulta, ma anche alle necessità di sopravvivenza della società» (cf. Progetto culturale della CEI, Il cambiamento demografico. Rapporto-proposta sul futuro dell’Italia, Laterza, Roma-Bari 2011, pp.163-164).
«“Non gettarmi via nel tempo della vecchiaia, non abbandonarmi quando declinano le mie forze” (Sal 71,9). È il grido dell’anziano che teme l’oblio e il disprezzo» (n. 191): così commenta l’esortazione Amoris lætitia la presenza dell’anziano nella famiglia. «Dobbiamo risvegliare il senso collettivo di gratitudine, di apprezzamento, di ospitalità, che facciano sentire l’anziano parte viva della comunità. Gli anziani sono uomini e donne, padri e madri che sono stati prima di noi sulla nostra stessa strada, nella nostra stessa casa, nella nostra quotidiana battaglia per una vita degna. Perciò come vorrei una Chiesa che sfida la cultura dello scarto con la gioia traboccante di un nuovo abraccio tra i giovani e gli anziani» (n. 191). «Le loro parole, le loro carezze o la loro sola presenza aiutano i bambini riconoscere che la storia non inizia con loro, che sono eredi di un lungo cammino e che bisogna rispettare il retroterra che ci precede» (n. 192). La cura degli anziani alimenta la memoria storica collettiva e «fa la differenza di una civiltà».