I mass-media italiani hanno dato molto spazio alla crisi economica della Turchia. Mi è sembrato che qui i giornali abbiano fatto di tutto per far vedere che non esiste un grave problema, ma che, se c’è un problema, tutto questo è frutto di un complotto organizzato dall’esterno.
Questo è quanto sottolineato più volte dal presidente Erdoğan. Pochi giorni fa, parlando al congresso del suo partito ad Ankara ha affermato: «Abbiamo capito il loro gioco. Ci hanno minacciati con l’economia, gli interessi, l’inflazione, ma noi li affrontiamo senza paura… Se loro hanno i dollari, noi abbiamo il nostro Allah… Siamo una sola nazione, una sola bandiera, una sola patria, un solo Stato. E a chi vuole dividerci, diamo una risposta adeguata nelle urne e nelle piazze…».
Qui a Smirne la gente parla poco della crisi economica. I rıstoranti continuano ad essere affollati.
Si può dire che ci sono due parti. Quelli favorevoli al partito di Erdoğan sono convinti che, se crisi c’è, Erdoğan ha tutta la capacità e la forza per superare la crisi. L’altra parte parla apertamente di crisi, e si aspetta il peggio.
La crisi economica è anche legata al problema del pastore protestante americano Brunson, incarcerato e condannato perché accusato di legami con il gruppo “terrorista” di Fetullah Gùlen, organizzatore del colpo di stato del 15 luglio 2015, e con i gruppi “terroristici” curdi. Gli Stati Uniti hanno più volte chiesto la liberazione del pastore protestante, ma finora la risposta è stata negativa. La convinzione di molti è che ormai si tratti di un problema politico e di orgoglio nazionalistico. Erdoğan deve dimostrare di fronte ai turchi, di fronte all’America e al mondo intero che la Turchia è forte e non si lascia condizionare e umiliare da nessuno.
Pur facendo dichiarazioni di tipo nazionalistico e religioso («abbiamo Allah con noi!»), da buon pragmatico, Erdoğan cerca sostegno da altri paesi, compresa l’Europa. Già ha ricevuto l’aiuto di 15 miliardi di dollari dal Katar. Inoltre, paesi come la Germania, l’Italia e la Francia hanno forti rapporti commerciali con la Turchia e sono stati anch’essi colpiti dai nuovi dazi dell’America. Si sono già dichiarati disponibili a sostenere la Turchia. E così anche la Russia e la Cina.
In ogni, caso la situazione economica sembra più tranquilla. Molti imprenditori e semplici cittadini hanno seguito l’invito di Erdoğan a cambiare i dollari e gli euro in lire turche. Addirittura il presidente degli industriali turchi ha affermato che la crisi economica può essere occasione di nuove opportunità per la Turchia.
In effetti, i prezzi sono aumentati, ma in modo contenuto. Anzi Erdoğan ha promesso l’aumento delle pensioni. Ora tutti in Turchia pensano alla Festa del sacrificio (Kurban Bayram) che comincia in questi giorni, martedì 21 agosto. I problemi della crisi economica sono messi da parte.
Quanto al sogno di creare un nuovo impero con le repubbliche asiatiche ex sovietiche, penso che Erdoğan abbia abbandonato l’idea, accorgendosi che ormai sono un mondo molto diverso dal quello turco e non hanno nessuna voglia di stare sotto la Turchia. Anche la leadership con i paesi musulmani. a cui tanto tiene Erdoğan, può esserci solo in modo occasionale, visto che la Turchia non ama i paesi arabi e viceversa…