Dal resoconto di un dialogo con un religioso attivo in Giordania emerge un’ottica diversa sulla Turchia e il contro-golpe che vede Erdogan accelerare l’islamizzazione del paese. Ai processi anti-secolarizzanti interni, alle filiazioni storiche con l’impero ottomano, K. Ataturk e il panturchismo, alle nuove relazioni Turchia-Russia, Turchia-Stati Uniti, Turchia-Unione Europea, va aggiunto la ridefinizione etnico-religiosa di tutto il Medio Oriente, con l’obiettiva alleanza con Israele.
Esprime l’ottica occidentale un passaggio dell’editoriale di A. Panebianco sul Corriere della sera (11 agosto): «Quando era ancora viva e dominante la Turchia creata da Mustafa Kemal Ataturk a partire dal 1923, la Turchia laica, europea, che si ispirava a modelli occidentali, l’alleanza con l’Occidente (appartenenza alla Nato, volontà di ottenere definitivamente la “patente” di paese europeo entrando a far parte dell’Unione) era naturale, inevitabile. Ma ora che la Turchia di Ataturk, la Turchia europea, è in rotta, e coloro che l’hanno animata sono nelle mani degli sgherri del presidente turco o comunque ridotti all’impotenza e al silenzio, il nascente sultanato islamico ci sta dicendo che, d’ora in poi (ma per la verità Erdogan ce l’ha già fatto capire da alcuni anni) non ci saranno mai più alleanze “naturali”, scontate e stabili, con gli occidentali, dai quali la società turca si va sempre più allontanando».
La guerra fra Iraq e Iran degli anni ’80 e le successive guerre del Golfo hanno avviato e alimentato un processo su base religiosa. Tutti gli stati nazionali sono falliti. Si va verso una frammentazione sempre più spinta con Erdogan che si candida a simbolo vincente dell’islam sunnita. Negli ultimi anni si è costruita l’immagine di un leader che manca all’islam sunnita. Si è appropriato della memoria del califfo Omar, il dittatore giusto, in un’epoca in cui il mondo arabo manca di un riferimento, di una figura carismatica. La distanza fra gli attuali governanti arabi e i loro popoli è un vuoto che il presidente turco intende riempire. Nella crescente fragilità degli stati medio-orientali la Turchia rimane l’unico stato affidabile e grande. Il mondo sunnita deve decidere da chi farsi rappresentare.
La casa regnante dell’Arabia Saudita lavora da decenni per proporsi come unica rappresentante dell’islam sunnita. Essere i protettori di Mecca e Medina, centri fisici della memoria islamica, la garantisce. Ma ad essa manca un rapporto di rappresentanza diretta del suo popolo e la sua egemonia nel mondo sunnita non è mai stata senza rivali. Una delle sue difficoltà maggiori sono gli scarsi rapporti col mondo e la persistente diffidenza dell’Occidente. Mecca e Medina sono chiuse per chiunque non sia musulmano e la posizione dei sauditi è quella di un totale antagonismo rispetto al mondo moderno.
È quello che invece l’Iran garantisce agli sciiti e che Erdogan assicura ai sunniti. La modernità attraversa la Turchia molto più di quanto faccia con l’Arabia Saudita.
L’altro pezzo di mosaico è l’obiettiva alleanza con Israele. La definizione religiosa degli stati medio-orientali, attuali e in divenire (l’ipotesi di una ripartizione dell’Iraq, fra sciiti, sunniti e curdi è largamente accetta) incrocia la richiesta di Israele come stato ebraico, come stato religioso. Non passa attentato in Europa che non registri l’invito di Netanyahu agli ebrei della diaspora a scegliere Israele come unico luogo sicuro per loro. Quelle che per anni sono state considerate richieste ebraiche inaccettabili – riconoscimento dell’ebraicità dello Stato, il congelamento dei profughi negli attuali paesi di residenza – diventano progressivamente legittime. La confessionalizzazione degli altri Stati rafforza l’identità di Israele e la loro debolezza ne conferma la stabilità. Non è casuale il riconoscimento di Erdogan nel dopo-golpe a Israele.
In tale contesto il destino peggiore è quello dei cristiani. Per loro la laicità dello Stato e un minimo di rappresentanza (se non di democrazia) sono essenziali per non essere ricondotti al millet, a cittadini di seconda specie. Non è previsto nessuno Stato cristiano. Il Libano insegna. Il Daesh e le sue persecuzioni sono la faccia più dura di una condizione che potrebbe rivelarsi semplicemente invivibile.