Nel discorso ecclesiastico sull’Europa sembra prevalere da tempo un costante richiamo al passato, dalle “radici cristiane” del nostro continente al “ritrovare la propria anima” – con cui si sembra sottintendere una sorta di riferimento normativo al cristianesimo che fu, e che ora pare essersi dissolto irrimediabilmente dagli scenari europei. Richiamo nostalgico, che non riesce a immaginare una fase nuova della presenza della fede cristiana nella configurazione di un’Europa a venire. L’inaridimento proposizionale del cristianesimo di fronte alla cultura contemporanea dell’Occidente europeo segna lo stallo di una fede che seppe produrre gli slanci migliori proprio in una dialettica acuta, e talvolta aspra, con i diversi assestamenti mondani del contemporaneo. Il cristianesimo è stato capace, per lungo tempo, di immaginare l’alterità della trascendenza e la singolarità del Dio di Gesù esattamente attraverso questo radicamento intelligente nelle mutazioni del tempo. Propugnando, al tempo stesso, nell’altra parte della dialettica un affinamento sempre più calibrato della propria differenza rispetto alla fede e alle sue istituzioni. Pensare il cristianesimo cattolico, come fede personale e comunità ecclesiale, semplicemente come resistenza intransigente e freno ottuso all’avanzare dei tempi moderni è sicuramente ingeneroso e, probabilmente, storicamente inadeguato. Certo, esso è stato in parte anche questo, ma non solo. Che ancora ci si impegni alacremente su questo versante non solo sorprende, ma rivela anche un residuo di rigurgito ideologico da parte di una laicità astiosa e chiusa in se stessa nella stessa misura che essa presume di individuare nella controparte a cui si oppone. Le immaturità si distribuiscono su tutti i versanti del contendere, così come la mancanza di responsabilità davanti alle urgenze del tempo presente.
Oltre le ragioni nazionali
Davanti al travaglio davanti al quale l’Europa si trova attualmente, mi sembra che si sia giunti al punto in cui la singolarità della propria storia non è più sufficiente a dare forma a una nuova e feconda stagione. In qualsiasi modo la si legga – secondo il criterio della religione che l’ha impregnata per secoli, o secondo quello di un moderno confessionalismo di laicità. Le ragioni storiche, che hanno generato e innervato per mezzo secolo il progetto di un’Unione Europea, hanno oramai esaurito la loro forza di configurazione e producono oggi, al massimo, debolissimi legami di coesione sovra-nazionale. Il baratro dell’auto-distruzione europea della seconda guerra mondiale e il congelamento geopolitico della guerra fredda sono, appunto, storia passata che non tocca più l’esperienza quotidiana delle attuali generazioni di cittadini europei. Da esse possiamo apprendere molto, come sempre avviene con la storia, ma la fecondità di questo processo culturale e civile di apprendimento può funzionare solo se si mette in campo un effettivo riconoscimento politico che quella memoria, che ha costruito la nostra Europa odierna, non può più essere la ragione del nostro stare-insieme all’interno di istituzioni sovra-nazionali. Eppure tutte le logiche che governano le politiche europee in questo momento si muovono ancora all’interno di questo “antico” quadro, che immagina l’Unione come mero bilanciamento delle ragioni nazionali degli stati che la compongono. Per decenni questa alchimia è stata capace di produrre, quasi per incanto, anche un vero e proprio senso di appartenenza. Ma oggi ci stiamo nutrendo dei suoi marginali residui, e al più ci riesce di far sopravvivere giorno per giorno un ideale oramai incapace di dare ragione di sé.
Svolta necessaria
In questo la Chiesa cattolica non è la sola istanza europea che pensa al futuro del nostro continente secondo le coordinate di una nostalgica memoria. La nostalgia che un salto indietro, sia esso pre-modernità o pre-Unione Europea, rappresenti la cura a ogni problema della nostra contemporaneità è sentimento che si diffonde sempre di più negli animi delle popolazioni europee. Condizione magistralmente manipolata e sfruttata dalle molte avanzate nazionalistiche prive di ogni progetto, se non quello di chiudere la parentesi iniziata all’alba della fine del secondo conflitto mondiale. Abbandonando così all’ignoto i giorni che verranno. Se qualcosa del genere accadrà non potremo scaricare la responsabilità né sugli altri né sulle debolezze delle istituzioni europee, ognuno di noi avrà fatto la sua parte affinché qualcosa del genere accadesse. Riconoscere che l’Europa è uscita dalla culla sicura della propria storia recente è il primo, necessario, passo per generare un sentire diverso rispetto a quello che sembra montare imperioso nei nostri territori. Ciò che ha generato il nostro stare-insieme oltre ogni confine nazionale non è in grado di disegnare il nostro futuro prossimo, che ne raccolga l’idealità e sia capace di immaginare una ragione altra che legittimi la plausibilità dell’impresa europea.
Che magnifico Intervento! Perfortuna che c’è ancora qualcuno che ci spinge a pensare in modo diverso!