La risoluzione approvata dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (27 aprile 2017) sulla “Protezione dei diritti di genitori e bambini appartenenti a minoranze religiose”, più che per i contenuti delle raccomandazioni che vengono proposte, comunque importanti, merita di essere apprezzata come la percezione consapevole di un’istituzione europea delle profonde trasformazioni in atto nel corpo sociale del continente (qui il link al testo).
Plasmare la coesistenza umana in Europa dando il dovuto spazio a queste trasformazioni rappresenta la condizione politica, oggi necessaria, per il proseguimento del progetto europeo nella forma di diversità pacificate tra di loro, capaci di attingere l’una dall’altra le ragioni di una coesistenza riuscita – senza mirare a una omologazione discriminatoria degli stili di vita.
La religione viene colta come fenomeno espressivo maggiore delle trasformazioni in atto nel corpo sociale europeo: “L’Assemblea parlamentare nota che la popolazione degli Stati membro del Consiglio d’Europa è più diversa etnicamente, culturalmente e religiosamente di quanto non lo sia mai stata. Il panorama delle comunità religiose in Europa è complesso e in via di evoluzione, con forme di confessione religiosa tradizionale che si diffondono oltre i loro territori tradizionali e con nuove denominazioni religiose che vengono emergendo” (§1).
Il nucleo della risoluzione risiede nel riconoscimento politico e legislativo del concetto di accomodazione ragionevole quando sono in gioco “persuasioni confessionali o morali profonde” (§5.2) degli individui. In questo caso, ogni individuo ha il diritto di “non essere obbligato a compiere azioni che vadano contro” queste persuasioni fondamentali per la sua identità e integrità personale (§5.1).
Il fuoco della risoluzione si concentra sulle minoranze religiose presenti negli stati membri del Consiglio, con una particolare attenzione alle famiglie e ai bambini per quanto riguarda l’ambito degli itinerari di formazione scolare ed educativa offerti dalle istanze pubbliche dei singoli paesi. Che sono invitati ad “annullare ogni legge o regolamentazione che stabilisce una distinzione discriminatoria fra minoranze religiose e confessioni religiose maggioritarie” (§5.3).
Questo ulteriore impegno da parte dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, a favore di una legislazione degli stati membro che ottemperi al dovere di un’effettiva libertà religiosa delle persone, va sicuramente accolto come attenzione e consapevolezza istituzionale di rilievo nel contesto europeo contemporaneo. Rimane però aperta la questione se tra i fenomeni di trasformazione in atto, che sembrano trovare un loro perno intorno alla confessione religiosa delle persuasioni fondamentali dell’individuo, e lo strumentario giuridico di cui l’Europa oggi dispone non si dia uno scarto per cui quest’ultimo non sia realmente in grado di governare i primi; ma rappresenti semplicemente una reazione in costante ritardo sulla realtà delle cose e del sentire che attraversano attualmente la socialità europea.