Papa Francesco ha lasciato Myanmar dopo aver celebrato la messa per i giovani. Tema ricorrente in questi giorni: a loro ha affidato il futuro della Chiesa e della società. Il giorno precedente, mercoledì, ai vescovi aveva chiesto di non dimenticarsi dei giovani e di metterli al centro di ogni strategia pastorale.
Al Consiglio supremo buddista, sempre mercoledì, in un incontro cordiale e caratterizzato dai colori sgargianti delle vesti e degli arredi, il capo religioso venuto da Roma non ha mai pronunciato la parola proibita “Rohingya” ma ha ribadito con forza che fanatismo e violenza vanno banditi mentre è la collaborazione per la pace a dover caratterizzare il rapporto tra le fedi religiose.
«Che nel vostro ministero episcopale – ha affermato papa Francesco rivolgendosi ai vescovi della Birmania – possiate fare costantemente esperienza della guida e dell’aiuto del Signore nell’impegno a favorire la guarigione e la comunione ad ogni livello della vita della Chiesa, così che il santo popolo di Dio, il vostro gregge, mediante il suo esempio di perdono e di amore riconciliante, possa essere sale e luce per i cuori che aspirano a quella pace che il mondo non può dare. La comunità cattolica in Myanmar può essere orgogliosa della sua profetica testimonianza di amore a Dio e al prossimo, che si esprime nell’impegno per i poveri, per coloro che sono privi di diritti e soprattutto, in questi tempi, per i tanti sfollati che, per così dire, giacciono feriti ai bordi della strada. Vi chiedo di trasmettere il mio ringraziamento a tutti coloro che, come il Buon Samaritano, si adoperano con generosità per portare a loro e al prossimo che è nel bisogno, senza tener conto della religione o dell’etnia, il balsamo della guarigione. Il vostro ministero di guarigione trova una particolare espressione nell’impegno per il dialogo ecumenico e per la collaborazione interreligiosa. Prego affinché i vostri continui sforzi a costruire ponti di dialogo e ad unirvi ai seguaci di altre religioni nel tessere relazioni di pace producano frutti abbondanti per la riconciliazione nella vita del Paese. (…) E in questa guarigione ricordatevi che la Chiesa è un «ospedale da campo». Guarire, guarire ferite, guarire le anime, guarire. Questa è la prima vostra missione, guarire, guarire i feriti».
Soprattutto – ha detto ancora ai vescovi – «vorrei chiedervi un impegno speciale nell’accompagnare i giovani. Occupatevi della loro formazione ai sani principi morali che li guideranno nell’affrontare le sfide di un mondo minacciato dalle colonizzazioni ideologiche e culturali. Il prossimo Sinodo dei vescovi non solo riguarderà tali aspetti, ma interpellerà direttamente i giovani, ascoltando le loro storie e coinvolgendoli nel comune discernimento su come meglio proclamare il Vangelo negli anni a venire. Una delle grandi benedizioni della Chiesa in Myanmar è la sua gioventù e, in particolare, il numero di seminaristi e di giovani religiosi. Ringraziamo Dio per questo. Nello spirito del Sinodo, per favore, coinvolgeteli e sosteneteli nel loro percorso di fede, perché sono chiamati, attraverso il loro idealismo ed entusiasmo, a essere evangelizzatori gioiosi e convincenti dei loro coetanei».
E, per il futuro, papa Francesco ha chiesto ai vescovi di «mettere la comunità cattolica nelle condizioni di continuare ad avere un ruolo costruttivo nella vita della società, facendo sentire la vostra voce nelle questioni di interesse nazionale, particolarmente insistendo sul rispetto della dignità e dei diritti di tutti, in modo speciale dei più poveri e vulnerabili».
Poi da giovedì sera – notte in Italia – un’altra tappa complessa: il Bangladesh islamico dove papa Francesco incontrerà un gruppo di Rohingya. E qui potrà pronunciare il nome di questo gruppo perseguitato.