Aleppo, città simbolo della guerra di Siria. Dopo cinque anni di scontri è distrutta, decimata e divisa in due settori: quello sotto le forze governative di Assad (il quartiere cristiano) e quello controllato dagli jihadisti. La storia degli uomini in quei luoghi ha calcato la mano, o meglio è sfuggita di mano lasciando spazio a ogni sorta di violenza. Per questo l’arcivescovo armeno-cattolico di Aleppo, monsignor Boutros Marayati, è venuto a Bologna nelle scorse settimane per chiedere a Dio, con la Chiesa locale, il dono della pace. Ad Aleppo vivevano 150.000 cristiani, oggi sono rimasti solo in 50.000. Anche mons. Boutros Marayati ha dovuto lasciare l’episcopio perché “zona calda” nei bombardamenti di questi giorni. «Dopo tre settimane di tregua – spiega – dal 25 aprile sono ripresi gli attacchi. La situazione è tragica. Eravamo ottimisti e avevamo festeggiato con tranquillità le funzioni di Pasqua e le prime comunioni. Poi tutto è ricominciato».
Qual è la situazione oggi sul campo?
I ribelli, gli jihadisti, si sono scatenati portando l’inferno sulla città. Tante anche le case distrutte dai bombardamenti che cercano di neutra-lizzare le basi dei ribelli dalle quali partono i missili. Ma spesso loro si confondano tra la popolazione civi- le. Qualche giorno fa è stato colpito anche un ospedale. È ricominciata la guerra civile fra le due fazioni della città di Aleppo con combattimenti intensi in queste ultime ore. Siamo senza acqua e senza corrente elettrica perché acquedotto e centrale sono sotto il controllo dei ribelli. Tramite la Croce rossa qualche volta otteniamo approvvigionamenti, ma siamo circondati.
Quali sono i rapporti con i musulmani?
Dove viviamo sotto il controllo del governo le relazioni con i musulmani sono ottime. Così abbiamo sempre vissuto in pace in Siria: cristiani e musulmani insieme. C’era un islam aperto, moderato. Abbiamo vissuto tutta la nostra vita così: tra loro e noi non c’era differenza. Oggi, nella parte di Aleppo occupata dai ribelli un cristiano non può vivere tra i jihadhisti perché verrebbe ucciso. Noi non abbiamo scelta: o siamo con il governo, e quindi protetti come minoranze, o, passando dall’altra parte, andiamo incontro alla morte.
Avete paura?
La grande paura è che un giorno questa città venga barattata o non ben difesa dall’esercito. Se arrivassero da noi gli jihadhisti sarebbe la fine dei cristiani, come è accaduto a Mosul in Iraq. La gente che prima aveva un po’ più di fiducia, perché erano arrivati i russi a proteggere almeno i cristiani, adesso ha sempre più paura. Questo timore è un incubo per la nostra gente.
Quale potrebbe essere una soluzione pacifica del conflitto?
Tutti questi accordi di Ginevra sono parole, parole. La chiave della soluzione è nelle mani delle due grandi potenze: l’America e la Russia. Se loro ordineranno di far tacere le armi allora ci sarà un cessate il fuoco. Oggi c’è una guerra sporca. Non si sa il suo perché e contro chi è; ma nel frattempo assume tutte le peggiori tinte del fanatismo e della violenza, strumentalizzando la religione.
Come si vive la fede ad Aleppo?
Abbiamo perso tante chiese; io ad esempio, come armeno cattolico, avevo cinque chiese ma due sono andate ormai distrutte. Su 4 scuole ne rimangono 2 in funzione. Malgrado tutto questo male, c’è anche il bene. La gente ha ritrovato la fede, o meglio l’ha riscoperta in maniera più autentica. Le nostre chiese sono piene, non solamente durante le feste ma ogni giorno ci sono tante manifestazioni religiose. Trovano rifugio in Dio e tra loro è nata tanta solidarietà. Le opere di bene, come la distribuzione di medicine e cibo, si mescolano a preghiere, adorazioni, liturgie. Una Chiesa di credenti uniti tra loro e con i loro sacerdoti. Pur nel travaglio sono certi che possono perdere tutto ma non la speranza e la fede in Dio.
L’intervista è stata realizzata per Avvenire-Bologna7 e quella video per 12 Porte, settimanale televisivo della diocesi di Bologna.