L’assassinio di due cittadini italiani di cui si è avuta notizia il 3 marzo ’16 segna uno spartiacque, o meglio la rottura di un diaframma tra un prima e un poi, che era sempre divenuto più esile nello scenario libico. Se prima di questo terribile episodio si poteva ancora pensare che in qualche modo la diplomazia potesse fare il miracolo, ora prevale la rassegnazione circa l’ineluttabilità di un intervento militare che veda l’Italia in prima linea. Ed i motivi stanno nella riprova, ora evidente per tutti, circa il fatto che la situazione in Libia sia completamente fuori controllo. Non essendo fortunatamente abituati a tali situazioni, per molti italiani non c’è la piena consapevolezza di che cosa comporti un intervento militare di guerra (perché di questo si tratta anche se si agirà sotto l’egida delle Nazioni Unite), ma si deve pensare che saranno impegnati pare come minimo tremila nostri uomini e che non si tratterà solo della Aviazione, ma anche della Marina e di truppe di terra. Il che significa scontri mortali sul suolo libico e rischio di attentati in Italia. A fronte di questa situazione, di cui dovrebbe esserci una logica e diffusa consapevolezza, i partiti non solo non sanno cosa sia il primato della coesione nazionale tipico dei momenti difficili per un Paese, ma peggiorano il livello delle loro polemiche da cortile, arrivando con Salvini ad accusare il Presidente della Repubblica dell’assassinio dei due italiani. Negli USA neanche Trump, che è riuscito nella impresa di litigare col Papa, riuscirebbe ad accusare Obama in una simile situazione, ma da noi tutto è possibile. Se non ci fosse la drammaticità di una guerra alle porte si potrebbe anche pensare che siamo su “scherzi a parte”. Ma non è così. E se la evoluzione (o meglio la involuzione) è quella pronosticata ci accorgeremo presto (e sarà troppo tardi) di cosa sia una guerra. Quella terza guerra mondiale nella quale siamo da anni ma di cui solo Papa Francesco ha parlato (e condannato) con chiarezza.